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Crodino, 60 anni da leggenda: da Crodo all’America, il biondo che fa impazzire il mondo

Nato nel 1965 tra le montagne piemontesi, l’aperitivo analcolico più famoso d’Italia cambia stabilimento ma non identità. Campari lo esporta negli USA, mentre Crodo celebra con orgoglio la sua creatura, ora prodotta a Novi Ligure. Una storia italiana tra memoria, marketing e futuro

Crodino celebra 60 anni: un brindisi al passato e al futuro di Crodo

Chi avrebbe mai detto che un piccolo analcolico biondo, nato in un paesino incastonato tra le Alpi Lepontine, avrebbe fatto impazzire il mondo? Nessuno avrebbe potuto immaginare, nel pieno boom economico degli anni Sessanta, che da quel borgo di montagna chiamato Crodo, conosciuto più per le sue sorgenti d’acqua e per l’aria buona che per le innovazioni agroalimentari, sarebbe partito un prodotto destinato a diventare un simbolo popolare dell’aperitivo italiano. Eppure è andata proprio così.

Il Crodino, nato nel 1965, continua oggi a brillare nel firmamento delle icone del Made in Italy. È una stella gentile, discreta, sobria: non sbronza, non scandalizza, non divide. È un aperitivo analcolico che sa mettersi d’accordo con tutti: il ragazzino che vuole sentirsi grande, il nonno che preferisce evitare l’alcol, il guidatore designato che non rinuncia al gusto, e perfino l’astemio incallito che si stanca dell’acqua. In un’epoca in cui l’identità dei prodotti passa spesso attraverso eccessi, il Crodino ha saputo mantenere una dignità sobria, frizzante, elegante.

“Il biondo che fa impazzire il mondo”: non era solo uno slogan pubblicitario. Era una verità di fatto. Negli anni ’80, le sue campagne pubblicitarie, ironiche e intelligenti, lo fecero entrare nell’immaginario collettivo. Ricordiamo tutti le scene al bar, con il cameriere che sa già cosa portare, e il cliente che annuisce soddisfatto. Il Crodino diventava così un gesto, una ritualità, un'abitudine quotidiana che non conosceva classi sociali, età, mode.

E oggi, sessant’anni dopo, quel biondo frizzantino è ancora lì, sulle tavole italiane, nei bar di paese, nei lounge bar cittadini, nei supermercati e negli scaffali delle case, pronto a conquistare anche nuovi palati, oltre oceano. La decisione di Campari Group, attuale proprietario del marchio, di esportarlo negli Stati Uniti rappresenta molto più di un’operazione commerciale: è un passo strategico per trasformare un simbolo nazionale in un ambasciatore globale del gusto italiano.

Sette gli stati americani coinvolti nella prima fase della distribuzione, tra cui California, Texas, New York, Florida e Illinois, piazze fondamentali per sondare il potenziale appeal del prodotto. In quelle latitudini lo chiamano “The Italian non-alcoholic spritz”: una definizione che agli italiani può sembrare un ossimoro, ma che per il pubblico americano suona come una novità intrigante, in linea con le tendenze low-alcohol e alcohol-free che stanno rivoluzionando il mercato globale del beverage.

Ma per comprendere fino in fondo la forza simbolica del Crodino bisogna tornare là dove tutto è cominciato. Crodo, altitudine 525 metri, provincia del Verbano-Cusio-Ossola, ai piedi delle Alpi, tra pascoli, acque termali e silenzi antichi. È qui che nel 1965, nello stabilimento che sfruttava le acque oligominerali della zona, nacque il Crodino, frutto di una ricetta rigorosamente segreta ma perfettamente bilanciata. Quindici ingredienti, tra cui cardamomo, coriandolo e noce moscata, venivano messi a macerare, estratti e lasciati maturare per sei mesi in botti di rovere, con un processo ispirato alla tradizione erboristica italiana. Il risultato? Un liquido ambrato, profumato, amarognolo e dolce al tempo stesso, servito in una bottiglietta da 10 cl con collo corto e tappo in metallo: la firma inconfondibile di una bevanda che si distingueva da tutto il resto.

Per decenni, Crodo ha custodito con fierezza il suo tesoro. Il nome del paese era inciso nel vetro della bottiglia, e nel nome stesso della bevanda: Crodino, cioè “di Crodo”. E per la comunità locale, quella fabbrica non era solo una fonte di occupazione: era un pezzo di identità collettiva, una bandiera.

Ma nulla è eterno, nemmeno le alchimie perfette. E così, nel 2023, il gruppo Campari ha deciso di trasferire la produzione a Novi Ligure, in provincia di Alessandria, all’interno di uno dei suoi poli industriali più avanzati. Una scelta dettata da logiche di ottimizzazione, logistica e concentrazione produttiva, che ha segnato la fine di un’epoca per Crodo. Con la chiusura della linea produttiva del Crodino, il paese ha perso il suo prodotto simbolo, e la bottiglietta ha perso la connessione fisica con il suo luogo d’origine.

Eppure, Crodo non si è arresa. Lo stabilimento è stato acquistato e rilanciato dalla Royal Unibrew, multinazionale danese con sede centrale a Faxe, leader in Europa nella produzione di birre, soft drink e bevande energetiche. Un colosso nato nel 1989 dalla fusione dei birrifici Faxe, Ceres e Thor, e oggi presente in oltre 60 Paesi. In Italia, opera attraverso Ceres S.p.A. e proprio a Crodo ha deciso di puntare per mantenere viva la tradizione della produzione di bevande analcoliche storiche come Lemonsoda, Oransoda e Tonic, garantendo occupazione a una settantina di dipendenti tra fissi e stagionali. Ogni giorno, 30 tir carichi di bottiglie lasciano la fabbrica: un flusso continuo che testimonia la capacità di resistenza e adattamento del territorio.

Il legame con il Crodino, però, non è stato spezzato. Vive ancora nella memoria collettiva, nella narrazione locale, nella volontà di commemorare il passato senza rinunciare al futuro. Proprio in occasione del sessantesimo compleanno della bevanda, il sindaco Pasquale Folchi ha promosso un programma di eventi, mostre e visite guidate per valorizzare la storia industriale di Crodo. “Il Crodino è parte di noi”, ha dichiarato, “e anche se non si produce più qui, continua a essere il nostro biglietto da visita. Un volano per il turismo, per la cultura, per il racconto di un’Italia che sa innovare senza dimenticare le sue radici”.

Intanto, a Novi Ligure, il Crodino continua la sua seconda vita. Lo stabilimento è oggi un hub di eccellenza del Gruppo Campari, che ha concentrato lì la produzione di diverse sue etichette di successo. Il trasferimento ha permesso di integrare tecnologie più avanzate, ottimizzare i processi e garantire una maggiore capacità produttiva per affrontare le sfide dei mercati internazionali. Il gusto, però, è rimasto quello di sempre. La ricetta non è cambiata. Né la bottiglia. Né il colore. Né quell’inconfondibile profumo che precede ogni sorso.

jj

Nel frattempo, il mercato globale del beverage analcolico cresce vertiginosamente. L’aumento della sensibilità verso uno stile di vita sano, la guida responsabile, le nuove generazioni meno attratte dall’alcol, e l’evoluzione del concetto di aperitivo stanno contribuendo a una vera rivoluzione culturale. Il Crodino si inserisce perfettamente in questo scenario: non è una rinuncia, è una scelta. Una scelta di gusto, di identità, di eleganza. Una dichiarazione di stile.

Servito in un bicchiere con ghiaccio, con una fetta d’arancia fresca, il Crodino oggi è molto più di una bevanda: è una piccola cerimonia, un rito gentile, una storia liquida che scorre tra passato e futuro.

Sessant’anni dopo, quel piccolo analcolico biondo continua a fare impazzire il mondo.
Ma prima ancora, continua a far battere il cuore di un’Italia che non dimentica.
E da Crodo a Novi Ligure, passando per New York, Los Angeles e Austin, è ancora lui:
il biondo che fa impazzire il mondo.

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