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25 Luglio 2025 - 01:05
Finire sulla copertina del Time non è una cosa che capita a tutti. È un gesto simbolico, quasi una consacrazione. Non è un premio, non è un endorsement. È un riconoscimento di rilevanza. E oggi, Giorgia Meloni, presidente del Consiglio dei ministri italiano, ha conquistato quella prima pagina che racconta al mondo chi è al centro della scena. Con il titolo “Where Giorgia Meloni Is Leading Europe”, il settimanale americano le dedica una lunga intervista, un ritratto intimo e politico che fotografa una realtà: la premier italiana è oggi una delle figure più influenti del continente europeo.
Nella storia del giornale, solo una manciata di italiani hanno avuto l’onore – o l’onere – di essere immortalati in copertina. Tra questi, Mario Draghi, quando era presidente della Banca Centrale Europea, Matteo Salvini, leader della Lega, e prima ancora Silvio Berlusconi, Papa Giovanni Paolo II (di origini polacche ma profondamente legato all’Italia) e naturalmente Papa Francesco. Ma se ci limitiamo agli attuali o ex presidenti del Consiglio, Meloni entra in un club ristrettissimo. È la prima donna premier italiana a guadagnarsi la copertina. E forse, proprio per questo, l’effetto mediatico è ancora più potente.
Insieme a lei, solo pochi altri leader europei attualmente in carica hanno ricevuto lo stesso trattamento da parte del settimanale statunitense. Emmanuel Macron, presidente della Repubblica francese, è apparso in copertina nel 2017 e ancora nel 2022. Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina, è stato protagonista di diverse copertine tra il 2022 e il 2023, celebrato come simbolo della resistenza alla guerra. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, è finita su Time nel 2020 ed è stata anche inserita più volte nella lista delle 100 persone più influenti del mondo. Sono eccezioni. La regola è che solo chi segna davvero una stagione politica merita quella vetrina. E oggi, nel 2025, a quella ristretta élite si è aggiunta Giorgia Meloni.
Nell’intervista firmata da Vivienne Walt, Meloni si racconta senza difese, ma anche senza arretrare di un millimetro dalle sue posizioni. Rievoca l’infanzia in un quartiere popolare di Roma, l’assenza del padre, l’incendio che cambiò la sua vita a quattro anni, e l’approdo in politica a soli 15 anni tra le fila del Fronte della Gioventù. Un’infanzia difficile, trasformata in carburante politico, che ancora oggi alimenta quella narrazione di “underdog” caparbia e implacabile.
Ma il cuore dell’intervista è politico. Time racconta come la leader dei Fratelli d’Italia, partito di radici post-fasciste, abbia saputo smentire i timori diffusi al momento della sua elezione. Niente rottura con l’Unione Europea, nessuna sfida alla NATO, nessun passo indietro sull’Ucraina. Al contrario: Giorgia Meloni ha sostenuto con forza Kiev, ha rinsaldato l’asse con Washington, ha mantenuto il PNRR e, con l’incontro a Bruxelles con Ursula von der Leyen, ha avallato anche l’ipotesi di un secondo mandato per la leader del PPE alla guida della Commissione.
Non mancano, però, le zone d’ombra. Meloni difende le sue politiche sull’immigrazione – fortemente restrittive – e ribadisce che “non è razzista, né omofoba”, ma i dossier aperti su diritti civili, libertà di stampa e giustizia sociale restano al centro del dibattito europeo. A chi la accusa di voler concentrare troppo potere con la riforma presidenzialista, Meloni risponde con una narrazione rassicurante, quasi tecnocratica: “Vogliamo solo garantire stabilità”. E quando le si chiede del passato fascista del partito, taglia corto: “Ho già risposto mille volte. Noi siamo fuori da quella storia.”
Nell’incontro con Time, Meloni parla anche del suo rapporto con Donald Trump, rivelando che non ha esitato a contraddirlo sull’Ucraina. “Ho detto a Trump: ‘Vladimir Putin è stato l’aggressore’. È semplice. È un fatto”. Parole forti, che mostrano quanto la premier italiana si senta a proprio agio sulla scena internazionale, a volte più che su quella nazionale.
Essere sulla copertina di Time, per una figura politica, è come salire su un palcoscenico globale. Significa essere percepiti come determinanti. E oggi, nel bene e nel male, Giorgia Meloni lo è. In un’Europa alla ricerca di leadership stabili, tra crisi economiche, guerre ai confini e tensioni sociali crescenti, l’Italia – spesso considerata un’anomalia – esprime una leader che non solo resiste, ma si impone.
Il ritratto del Time è tutt’altro che agiografico. È puntuale, analitico, e mette in luce anche i rischi: Meloni è forte perché l’opposizione è debole, perché il contesto lo permette, e perché ha saputo cambiare tono senza cambiare pelle. Ma è un equilibrio instabile. E proprio per questo, terribilmente interessante.
In conclusione, quella copertina dice che il mondo guarda a Giorgia Meloni. Ma, soprattutto, che aspetta di vedere dove davvero porterà l’Italia – e forse l’Europa – nei prossimi anni.
C'è qualcosa di irresistibilmente italiano nel modo in cui reagiamo quando un nostro connazionale – meglio ancora se un politico, possibilmente controverso – finisce sulla copertina di un giornale straniero. È come se all’improvviso ci guardassimo allo specchio e ci scoprissimo famosi. Non da soli, ovviamente: con l’aiuto degli altri. Gli altri sono quelli veri, quelli seri. Gli americani, i francesi, i tedeschi. Quelli che fanno le copertine che contano. E noi, come scolari diligenti in cerca di approvazione, ci illuminiamo: “Avete visto? Siamo su Time!”
Così, puntuale come il traffico sulla tangenziale di Torino in un lunedì mattina, parte la liturgia nazionale: servizi speciali in TV, paginate intere nei quotidiani, analisi dei titoli, dei font, delle sfumature cromatiche della foto scelta ("guardate come la luce valorizza il profilo combattivo della premier!"), e infinite disquisizioni semantiche sulla differenza tra profilo, intervista, ritratto e consacrazione.
Naturalmente, anche noi ne stiamo parlando, con zelo e curiosità. Perché resistere è impossibile. Perché siamo dentro il paradosso: critichiamo il provincialismo, ma solo dopo esserci tuffati di testa. E perché, in fondo, ci piace far finta che il mondo ci guardi, anche quando ha di meglio da fare.
Nel frattempo, a Parigi nessuno si scompone se Macron finisce su Time. A Berlino, se Frank-Walter Steinmeier ci finisce (evento assai raro), il commento più diffuso è un laconico “ah, interessante”. Negli Stati Uniti, se Trump viene ritratto, è la ventesima volta, fa parte del mestiere. Nessuno stappa lo champagne. Nessuno titola a tutta pagina “Siamo sulla copertina del mondo!”. E soprattutto: nessuno pensa che la copertina sia più importante della sostanza. Solo noi abbiamo questo bisogno disperato di essere visti per esistere. Solo noi, ogni volta, ci aggrappiamo a quelle prime pagine straniere come se fossero l’unico modo per convincerci che valiamo qualcosa.
Non si tratta di Giorgia Meloni. È un riflesso condizionato. Una sindrome culturale. Il nostro modo di misurare l’identità: se ci mettono in copertina "gli altri", allora esistiamo davvero. Altrimenti siamo solo italiani, e non basta.
Il bello è che a Time, ai francesi, ai tedeschi – diciamolo – non frega assolutamente nulla delle nostre copertine. Nessuno a Parigi sta scrivendo un editoriale sulla volta in cui L’Espresso ha messo Macron a tutta pagina. Nessun tedesco analizza con cura l’ultima prima del Corriere. Nessuno in Inghilterra discute animatamente dell’intervista esclusiva rilasciata a Panorama da Re Carlo. La verità è che siamo noi a guardare loro, non il contrario. E ogni volta che uno sguardo ci sfiora, anche solo per sbaglio, ci sentiamo al centro dell’universo.
È un meccanismo tenero, a tratti commovente. Ma anche sintomatico. Perché se il riconoscimento esterno diventa il principale metro del nostro orgoglio nazionale, forse qualche domanda dovremmo farcela. E magari anche risponderci: “Siamo sulla copertina di Time!”, sì. Ma quella copertina non cambia la politica italiana. Non migliora la sanità. Non risolve l’immigrazione. Non ci rende meno disillusi. È solo una foto. Un titolo. Un lampo nel flusso delle notizie.
E domani, sarà qualcun altro. Un altro Paese. Un altro premier. Un’altra copertina.
E noi, da bravi italiani, saremo lì a guardare. Con un misto di invidia, entusiasmo e provincialissima venerazione.
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