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Aspiratori rotti e carrelli impazziti. All’ospedale di Chivasso si lavora nell’indifferenza criminale dell’ASL TO4

Due lettere della UILTuCS denunciano una situazione inaccettabile: aspiratori rotti, ambienti insalubri, infortuni già avvenuti e silenzio assoluto da parte della direzione sanitaria

Aspiratori rotti e carrelli impazziti.  All’ospedale di Chivasso si lavora nell’indifferenza criminale dell’ASL TO4

Aspiratori rotti e carrelli impazziti. All’ospedale di Chivasso si lavora nell’indifferenza criminale dell’ASL TO4

All’ospedale di Chivasso non serve l’autopsia per capire che qualcosa è morto da tempo: il rispetto per chi lavora. Le condizioni in cui sono costretti a operare molti dipendenti della struttura parlano da sole. Impianti rotti, aria irrespirabile, pericoli ignorati e un silenzio assordante da parte della dirigenza dell’ASL TO4, che, con ostinata arroganza, continua a far finta di niente mentre a ogni turno qualcuno rischia di farsi male, sul serio. A dirlo, questa volta, non sono voci di corridoio, ma documenti ufficiali. Due lettere protocollate, firmate dalla segretaria territoriale Ilenia Posa per conto della UILTuCS del Canavese, che non lasciano spazio a interpretazioni: all’interno del P.O. di Chivasso si lavora in condizioni inaccettabili, e il tempo delle richieste cortesi è finito.

Il primo caso riguarda il locale riservato al lavaggio delle stoviglie. Un ambiente già di per sé faticoso, trasformato ora in una fornace invivibile da un impianto di aspirazione e climatizzazione che non funziona da tempo. Non da giorni. Da mesi, forse anni. Le innumerevoli segnalazioni inviate all’ASL e alla ditta Dussmann Service Srl sono rimaste sistematicamente ignorate. Il risultato? Un ambiente saturo di vapori, caldo, umido, insalubre. Letteralmente invivibile. La situazione è talmente grave da aver costretto il sindacato a minacciare l’interruzione del servizio: “Dal 21 luglio – scrive la UILTuCS – l’attività di lavaggio stovigliame non potrà più essere garantita”.

Non è una provocazione, è una necessità. Nessuno può pretendere che un essere umano lavori a quelle condizioni senza rischiare la salute. E se l’ASL pensa che il problema si risolva da solo, sappia che da lunedì ci saranno piatti sporchi e mani pulite. Pulite da ogni responsabilità, perché Ilenia Posa, in rappresentanza dei lavoratori, ha messo nero su bianco tutto. Anche questo.

corridoio

Ma se nel locale lavaggio si soffoca, nei corridoi si rischia di essere investiti. L’altra segnalazione inviata dallo stesso sindacato, lo stesso giorno, è ancora più agghiacciante. Oggetto: movimentazione carrelli termici. Detto in parole povere: ogni giorno, per portare i pasti nei reparti, un lavoratore spinge carrelli alti, larghi e pesanti. Troppo alti per vedere davanti. Troppo larghi per passare agevolmente nelle porte. Troppo pesanti per essere manovrati da una sola persona, come invece accade. E infatti, si procede “alla cieca”, in mezzo a pazienti, infermieri, visitatori. Gli incidenti non sono una minaccia ipotetica: “sono già avvenuti”, scrive ancora Posa. Eppure, nulla si muove. Nemmeno quando si scopre che, in alcuni casi, i carrelli devono essere sollevati a mano per affrontare dislivelli e salire negli ascensori. Uno sforzo fisico che definire usurante è poco. Un pericolo costante che sembra non preoccupare nessuno, né la Dussmann né la direzione sanitaria.

La verità è che l’ASL TO4, di fronte a questi scenari, continua a scegliere la via più comoda: quella del disinteresse. Legge, riceve, archivia. E spera che passi la nottata. Ma la nottata non passa. Perché a pagare le conseguenze di questa sciatteria organizzativa sono persone in carne e ossa. Lavoratori che ogni giorno entrano in ospedale non per farsi curare, ma per lavorare. Che però si ammalano lo stesso: di stanchezza, di frustrazione, di umiliazione. Costretti a scegliere tra subire o fermarsi. Tra rischiare la schiena o prendersi la responsabilità di bloccare un servizio che l’ASL dovrebbe invece garantire in piena sicurezza.

Non c’è più spazio per le ambiguità. I documenti parlano chiaro. Le responsabilità sono state chiamate per nome e per PEC. Spresal incluso. Ora la palla passa agli organi ispettivi, ai vertici della sanità pubblica, alle istituzioni. E anche alla cittadinanza, che ha il diritto di sapere che tipo di inferno quotidiano si nasconde dietro le porte di un ospedale pubblico. Un inferno fatto non di patologie, ma di incuria strutturale, indifferenza gestionale e disprezzo per chi lavora. A meno che qualcuno non pensi davvero che il problema, in fondo, siano i piatti sporchi. In quel caso, che si prepari a lavarli da solo. Nell’acqua stagnante. E col sudore di chi non ha più voce, ma adesso ha trovato qualcuno che la scriva.

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