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Popillia japonica, il flagello delle vigne canavesane: raccolti distrutti, enoturismo a rischio

Il consigliere regionale Alberto Avetta interroga la Giunta: “Serve un piano urgente per fermare il coleottero e risarcire i produttori”. A rischio l’intero comparto vitivinicolo dell’Erbaluce di Caluso

Popillia japonica, il flagello delle vigne canavesane: raccolti distrutti, enoturismo a rischio

Alberto Avetta

C’è un flagello che si aggira tra le vigne del Canavese, silenzioso e spietato. Ha sei zampe, ali verdi metallizzate e un nome esotico: Popillia japonica. È un coleottero proveniente dal Giappone, sbarcato sulle sponde del Ticino e ormai penetrato a fondo nel cuore agricolo del Piemonte. Oggi la sua presenza è talmente pervasiva da mettere seriamente a rischio la sopravvivenza stessa di alcune coltivazioni simbolo del territorio, a partire dalla vite.

A lanciare l’allarme, nero su bianco, è il consigliere regionale Alberto Avetta del Pd, che il 14 luglio ha presentato un’interrogazione urgente a risposta orale in Aula per chiedere conto alla Regione Piemonte delle azioni concrete messe in campo per contrastare la diffusione dell’insetto. Una richiesta che si fa portavoce dell’angoscia crescente tra agricoltori e produttori vitivinicoli del Canavese, travolti da un’invasione che pare inarrestabile.

coleottero

Il quadro tracciato da Avetta è allarmante. Negli ultimi mesi la diffusione della Popillia japonica si è fatta “straordinaria e incontrollata”, colpendo duramente soprattutto le vigne. A essere maggiormente penalizzate sono le coltivazioni biologiche, più vulnerabili perché non sempre compatibili con l’uso degli insetticidi finora ritenuti efficaci. Le foglie divorate bloccano la maturazione della vite e rendono impossibile la produzione del grappolo: un danno diretto che si trasforma in perdite economiche secche per l’intera filiera.

Ma c’è anche un danno estetico, sottolinea Avetta, che ha conseguenze pesanti sul piano dell’immagine e quindi dell’enoturismo. Vigne “bucate” e sofferenti scoraggiano i visitatori e compromettono la narrazione di qualità e bellezza che tanto faticosamente si sta costruendo attorno al territorio canavesano.

I dati parlano chiaro. Nel Canavese si producono tra 1,2 e 1,6 milioni di bottiglie di Erbaluce di Caluso Docg, un vitigno simbolo che negli ultimi vent’anni ha conosciuto una crescita del 77%, passando da 128 vigneti nel 2000 a 227 nel 2020. Anche la produzione di uva è aumentata sensibilmente, da 10.380 a 16.520 quintali, con un valore dell’imbottigliato che si stima intorno ai 10 milioni di euro.

Un patrimonio agricolo, culturale e identitario che rischia di essere compromesso da un insetto che non guarda in faccia nessuno. “Là dove la popillia colpisce, la produzione va considerata persa”, si legge nel documento. E in un momento in cui giovani vignaioli stanno riscoprendo il territorio, recuperando vigne e “muretti a secco” in nome di un’agricoltura sostenibile e rispettosa del paesaggio, l’impatto è ancor più devastante.

La collina morenica, con i suoi cinque laghi, il lago di Candia e quello di Viverone, ha tutte le carte in regola per diventare meta d’eccellenza per l’enoturismo, e lo sta già facendo. Il mercato dell’Erbaluce è in espansione: cresce in Piemonte, Lombardia, Liguria e comincia a farsi largo anche all’estero, verso Nord Europa e Stati Uniti. Aumenta perfino il valore fondiario: tra i 28 e i 40 mila euro a ettaro, un segnale forte di fiducia e attrattività.

Ma tutto questo può essere travolto se non si interviene in fretta.

“La Regione deve attivarsi con estrema tempestività”, incalza Avetta, che chiede all’assessore competente quattro cose precise: sapere se e come la Regione sta agendo per contenere la diffusione del coleottero; se gli interventi già messi in atto hanno dato i risultati sperati; se le esperienze sul campo possono essere utili per elaborare soluzioni più efficaci per gli anni futuri; e soprattutto se ci sarà un piano per risarcire i produttori danneggiati dalla perdita di raccolto prevista nel 2025.

Non è solo una questione agricola. È una questione economica, turistica, paesaggistica e identitaria. Perché dietro ogni grappolo d’uva c’è una storia, un lavoro, un progetto di vita. E ogni foglia bucata è un colpo inferto a chi, giorno dopo giorno, scommette sul futuro del territorio.

Il tempo stringe. E la Popillia japonica non aspetta.

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