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14 Luglio 2025 - 09:34
Il ritorno di Alda: Ivrea è ancora "bella"
C’è qualcosa di struggente, di profondamente umano, in certe parole che spuntano all’improvviso su un gruppo di Facebook. Un post, poche righe, e ti si stringe il cuore. Perché ci trovi dentro una vita intera. È la storia di Alda Chiarini, e delle sue radici che tornano a cercarla a Ivrea, quando meno se lo aspetta, quando ormai pensava di essersi lasciata tutto alle spalle.
Era il pieno degli anni Settanta. Anni di lotte operaie, di fermento politico, di scuole che provavano a cambiare il mondo un bambino alla volta. Alda era lì, insegnante alle medie di Bellavista, immersa nel tempo pieno, dentro una città che pulsava di sogni, di lavoro, di tensione. Ma come spesso accade, la vita porta altrove. A Bologna, poi in Toscana, tra vigne, colline e olio biologico. Un’altra vita. Un’altra avventura.
Eppure, qualcosa mancava. “Una bella attività, ma… amicizie vere nessuna”, scrive Alda. Un vuoto che nemmeno il vino e l’olio della terra più poetica d’Italia potevano colmare. Il tempo, inesorabile, avanzava. Così lei e suo marito hanno fatto una scelta che pochi trovano il coraggio di fare: tornare indietro. Tornare a Ivrea. Non per nostalgia, ma per bisogno. Di senso, di affetto, di riconoscersi negli occhi degli altri.
Ed ecco che succede la magia. Quella che solo chi ha lasciato un pezzo di cuore in un luogo può capire. Amici che li riconoscono per strada, come se il tempo non fosse mai passato. La città che li riabbraccia. Le montagne che si stagliano all’orizzonte, imponenti e bellissime. “Che quando lavoravo non guardavo nemmeno!” ammette lei con disarmante semplicità.
Ivrea è lì. Non è più quella delle lotte operaie, ma è ancora una città “a misura d’uomo”. E forse è proprio questo il segreto: poter tornare e scoprire che nonostante tutto, ci si può sentire di nuovo a casa. Più che mai.
Ma cos’è, davvero, questa misura d’uomo? Cosa vuol dire quando a dirlo è una donna che ha attraversato decenni, luoghi e stagioni? Ivrea, vista da fuori, sembra ancora conservare quella dimensione sottile e preziosa che altrove si è perduta: una città che respira, che non divora, che lascia spazio alle relazioni, alla memoria, al paesaggio. Una città che — paradossalmente — sa accogliere meglio chi torna che chi resta. Forse perché chi resta, giorno dopo giorno, si abitua a non vedere più. A lamentarsi, a misurare solo ciò che manca, a dimenticare il bello.
E allora le parole di Alda diventano uno specchio. Per chi a Ivrea vive, ma non la abita più con il cuore. Per chi ci cresce e non se ne accorge. Per chi dà per scontato il silenzio delle montagne, il riflesso della Dora, il passo lento del centro storico, la cortesia di un saluto ritrovato dopo quarant’anni. Per chi rincorre sempre qualcosa altrove, senza accorgersi che la vera ricchezza può essere lì, a portata di mano.
“Un ritorno che sta riempiendo di felicità l’ultima parte della nostra vita”. È una frase semplice, ma dentro c’è tutto. C’è gratitudine, consapevolezza, verità. C’è la certezza che si può ancora scegliere la felicità. Anche dopo una vita intera.
Grazie, Alda, per avercelo ricordato. A noi, gente distratta, sempre un po’ troppo arrabbiati e un po’ troppo ciechi davanti alla bellezza.
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