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Garziera incanta Pavone Canavese: all’Oratorio Santa Marta si rivive l’epopea elettronica della Olivetti

L’8 luglio oltre tre ore di racconto, tra memoria, innovazione e orgoglio eporediese

Garziera incanta Ivrea: all’Oratorio Santa Marta si rivive l’epopea elettronica della Olivetti

Lunedì 8 luglio, all’Oratorio Santa Marta di Pavone Canavese, si è svolto un incontro che ha unito passato e presente, tecnica e visione, memoria e consapevolezza. Protagonista della serata, promossa da appassionati e cultori della storia olivettiana, è stato Gastone Garziera, uno degli ultimi testimoni diretti della più straordinaria stagione innovativa che Ivrea abbia conosciuto nel dopoguerra: quella che ha condotto la Olivetti dalla meccanica all’elettronica, dal calcolo manuale al primo vero computer da scrivania.

La sala era piena. Gente arrivata da ogni angolo del Canavese ha occupato ogni sedia, in piedi lungo le pareti, in ascolto. Silenzio e attenzione hanno accompagnato tre ore fitte di contenuti, immagini, aneddoti, riflessioni. Un viaggio meticoloso e appassionato, condotto con rigore e umanità da Garziera, che ha saputo ricostruire i passaggi chiave di una stagione irripetibile, dando volti e nomi a un’evoluzione industriale e culturale che ha reso Ivrea, per almeno un decennio, un punto di riferimento internazionale dell’innovazione tecnologica.

oratorio santa marta

oratorio

Il punto di partenza di questo percorso è il 1949. Enrico Fermi, in visita agli stabilimenti Olivetti, consiglia ad Adriano Olivetti di guardare da vicino ciò che stava accadendo nel campo dell’elettronica. Il consiglio viene preso molto sul serio: tre anni dopo nasce un primo laboratorio elettronico negli Stati Uniti, con funzione di osservatorio. Nel 1954, Olivetti decide di fare il grande passo anche in Italia e affida la guida del nuovo laboratorio a Mario Tchou, brillante ingegnere elettronico nato a Roma, figlio di diplomatici cinesi, docente alla Columbia University. È lui a portare a Ivrea il sapere, l’apertura culturale, il respiro internazionale.

Nel frattempo, a Pisa, l’Università lavora – grazie a un cospicuo finanziamento pubblico – alla realizzazione di una calcolatrice scientifica. La Olivetti coglie l’occasione: affitta una villa a Barbaricina, avvia un proprio laboratorio autonomo e nel 1957 chiama a farne parte un giovane ingegnere che farà la differenza: Piergiorgio Perotto. Con lui si forma un’équipe compatta, dinamica, capace di pensare non solo a ciò che si può costruire, ma soprattutto a ciò che serve al mondo che cambia.

È un periodo di grande fermento. Insieme a Tchou e Roberto Olivetti, nasce la SGS – Società Generale Semiconduttori, fondata insieme a Telettra per risolvere l’annoso problema della reperibilità dei componenti elettronici. Un’intuizione fondamentale, che darà vita alla futura STMicroelectronics e che aprirà la strada anche a figure come Federico Faggin, destinato a progettare i primi microprocessori e a lasciare un segno profondo nella storia dell’informatica mondiale.

Nel 1958, a Borgolombardo, viene completato l’Elea 9003, il primo calcolatore completamente transistorizzato al mondo. La macchina, straordinaria per logica, funzionalità e visione architettonica, rappresenta un salto tecnologico notevole. Ma l’Elea è anche una dichiarazione di stile e filosofia industriale: il design è firmato da Ettore Sottsass, che interpreta il pensiero di Adriano Olivetti secondo cui l’uomo deve essere al centro del prodotto, non la macchina. L’Elea riceverà il Compasso d’Oro e sarà adottato da numerose aziende e istituzioni pubbliche italiane: banche, industrie, enti statali. Il sogno olivettiano sembra farsi sistema.

il gruppo di progetto

Poi, tutto cambia. Il 27 febbraio 1960, Adriano Olivetti muore improvvisamente su un treno diretto in Svizzera. È un colpo durissimo. La sua figura era insostituibile. L’anno successivo, un altro dramma: Mario Tchou muore in un incidente stradale mentre si reca a Ivrea. Le sorti dell’azienda si incrinano. La famiglia si divide, e l’azienda, priva della sua guida più illuminata, passa sotto il controllo di un gruppo d’intervento formato da Fiat, Pirelli, Mediobanca, Imi. Poco dopo, in un clima di rassegnata opacità, la Divisione Elettronica viene venduta alla General Electric. Il grande progetto elettronico italiano si chiude, senza dibattiti pubblici, senza clamore, senza difese.

Ma proprio in quei mesi, lontano dalle prime pagine, Perotto, Garziera, Giovanni De Sandre e Giancarlo Toppilavorano a un’idea che cambierà tutto. Il progetto è riservato. Non si tratta più di un grande calcolatore industriale, ma di un nuovo oggetto: una calcolatrice elettronica da tavolo, portatile, autonoma, facile da usare, adatta agli uffici e alle persone comuni. Non solo più veloce, ma programmabile.

Nel 1965, al salone BEMA di New York, viene presentata la Programma 101. È il primo personal computer del mondo. Il suo design compatto, la sua intuitività, la sua potenza fanno immediatamente colpo. La NASA ne acquista diversi esemplari per le missioni Apollo. La stampa americana la definisce “la calcolatrice del futuro”. Eppure è italiana. Anzi, è eporediese. Nata nei corridoi della Olivetti, cresciuta con il talento e la determinazione di un gruppo di ingegneri che non ha mai smesso di credere nel progetto.

L’8 luglio, Gastone Garziera ha raccontato questa epopea con precisione, sobrietà e passione. Ha ricordato i colleghi, le scelte, le difficoltà, le intuizioni. E ha mostrato, dal vivo, una Programma 101 funzionante, collegata a un moderno PC attraverso la tecnologia Arduino. Un gesto che non aveva nulla di nostalgico: piuttosto, una dimostrazione concreta che l’ingegno, quando è ben progettato, non scade. Si adatta. Si trasforma. Dialoga ancora.

La serata si è conclusa con un invito: visitare il Laboratorio-Museo Tecnologic@mente di Ivrea, dove la storia della Olivetti è custodita e raccontata attraverso macchine, documenti, installazioni, esperienze. All’interno dell’Oratorio Santa Marta, sede dell’incontro, è esposta anche la suggestiva “fabbrica dei mattoni rossi”, una delle opere più evocative di Renzo Bonato, artista che ha saputo trasformare la memoria industriale in forma estetica.

Lunedì 8 luglio, a Ivrea, non si è semplicemente celebrata una storia. Si è ricordata, con lucidità e senso critico, una stagione in cui le scelte industriali venivano dettate da idee, visione e responsabilità. Una stagione in cui l’innovazione si faceva senza slogan, ma con metodo. E in cui il futuro si costruiva non per rincorrere altri, ma per offrire qualcosa che prima non c’era.

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