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09 Luglio 2025 - 18:11
Caterina Greco delegato metropolitano all'istruzione
C’è chi sostiene che la scuola sia il luogo dove si educa alla bellezza, al rispetto, alla cittadinanza. Ma basta farsi un giro nel cortile dell’Istituto Aldo Moro di Rivarolo Canavese per capire quanto questa retorica sia diventata fuffa istituzionale. Da aprile o maggio, all’ingresso del lato tecnico, i lavori si sono bloccati. La gru è ferma. Le transenne rosse sventolano al vento come bandiere di resa. E in mezzo al cortile – un tempo parcheggio, ora discarica – stazionano da mesi montagne di sacchi pieni di rifiuti edili. Fermi. Immobili. Come il senso del decoro.
Parliamo di quintali di macerie. Un angolo della scuola trasformato in un cimitero di materiali da costruzione, con tanto di vista privilegiata per chi si è trovato a sostenere gli esami di maturità. Sì, proprio così: i nostri studenti si sono diplomati tra sacchi di calcinacci, pezzi di lamiere arrugginite, reti arancioni mezze crollate, finestre sporche e muri scrostati. È la “scuola del futuro”, quella di cui si riempiono la bocca i politici a ogni taglio di nastro.
Nel frattempo, nessuno si è degnato di rimuovere quei rifiuti. Né a maggio. Né a giugno. Né a luglio. E siamo già a metà mese. Cosa bisogna aspettare? L’inizio del nuovo anno scolastico per vedere gli stessi sacchi fare da accoglienza agli studenti? O magari si punta a trasformare il cortile in una nuova installazione artistica urbana, opera d’avanguardia intitolata “L’abbandono pubblico”?
Eppure si tratta di una scuola superiore. Frequentata da centinaia di ragazzi e ragazze. Un edificio scolastico che dovrebbe essere un presidio di dignità civica, non una vetrina del degrado amministrativo. Ma nessuno fiata. Nessuno prende posizione. Le responsabilità, come sempre, si diluiscono tra enti e uffici: Città Metropolitana, Comune, Ufficio Tecnico, impresa esecutrice, dirigente scolastico. Tutti a dire: “Non è compito mio”. Ma intanto, in quella scuola, ci si vive. E si lavora.
Questa non è una semplice dimenticanza. È una fotografia brutale dell’inerzia. È l’incapacità, ormai sistemica, di portare a termine un intervento edilizio pubblico senza trasformarlo in una barzelletta infinita. Le transenne sembrano diventate parte del paesaggio. Le finestre guardano verso l’esterno come occhi rassegnati. Il cancello arrugginito, le reti sfatte, le sacche piene, le carte a terra. È tutto lì, davanti agli occhi. Ma evidentemente invisibile per chi dovrebbe vigilare.
Il problema, come spesso accade, è che si normalizza l’eccezione. E allora diventa normale che una scuola venga usata come deposito. Diventa normale che gli esami di Stato si svolgano in un ambiente indegno. Diventa normale che nessuno intervenga. E diventa normale che chi segnala venga bollato come polemico.
Ma questa non è polemica. Questa è una denuncia sacrosanta. Di una comunità scolastica abbandonata. Di un edificio pubblico degradato. Di istituzioni che non rispondono e non si vergognano.
E allora sì, lo diciamo con chiarezza: è ora che qualcuno si muova. E che si dia una risposta seria a una domanda banale: Possibile che in tre mesi non si sia trovato il tempo per portare via quei rifiuti? Possibile che, mentre si parla di sicurezza nelle scuole, *nessuno veda quel cortile ridotto a un ammasso di rottami?
Possibile, sì. Ma inaccettabile.
Chi deve intervenire? Chi deve essere chiamato in causa? Il sindaco? La Città Metropolitana? L’assessore metropolitano all’edilizia scolastica Caterina Greco? O bisogna scrivere direttamente ai giornali (ah, già…)? O fare una segnalazione alla ASL? Alla Prefettura? Alla Corte dei Conti?
Nel dubbio, cominciamo da qui. Da queste righe. E da queste foto. Perché l’unica cosa più triste del degrado, è l’abitudine al degrado.
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