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09 Luglio 2025 - 16:26
Giorgia Meloni
È in Commissione Bilancio che il Movimento 5 Stelle ha deciso di rompere il silenzio su una delle questioni più calde delle ultime settimane: l’ipotesi di un aumento delle aliquote IRPEF in Piemonte. A sollevare il velo è stata la consigliera regionale Sarah Disabato, affiancata dai colleghi Alberto Unia e Pasquale Coluccio, che non hanno usato mezzi termini: “Impensabile un ritocco delle tasse che finirebbe per colpire ancora una volta i ceti medi, già strangolati dall’imposizione fiscale”.
Il timore non nasce dal nulla: secondo notizie di stampa, l’ipotesi di un incremento dell’IRPEF sui redditi medio-bassi sarebbe al vaglio della Regione. Un’eventualità che, a detta dei 5 Stelle, si tradurrebbe in una “mazzata” sulle spalle delle famiglie piemontesi, “proprio quelle che in questi anni hanno dovuto affrontare inflazione, caro energia, mutui alle stelle e servizi pubblici sempre più in difficoltà”.
Durante la seduta, l’assessore al bilancio Andrea Tronzano non ha escluso la possibilità di un ritocco alle aliquote. Anzi, ha ribadito le difficoltà dei conti regionali, attribuendole ai “sacrifici imposti dal Governo centrale”. In pratica, Roma taglia, Torino si arrangia. La decisione definitiva, tuttavia, sarà presa solo dopo il 16 luglio, quando arriverà il giudizio di parifica della Corte dei Conti.
Ma il Movimento 5 Stelle non ci sta: “Negli ultimi anni non sono mancati i fondi per la Regione – sottolineano Disabato, Unia e Coluccio – a partire da quelli ottenuti grazie al Governo Conte, che con il PNRR ha garantito risorse su edilizia sanitaria, residenziale, ambiente e borse di studio. Si poteva e doveva usare quel denaro con visione, con lungimiranza, programmando un bilancio sostenibile e solidale. E invece?”
La stoccata è servita: “Invece, nonostante le promesse della Giunta Cirio, le tasse rischiano di aumentare. È già successo con il bollo sulle auto ibride, potrebbe accadere ora con l’IRPEF. Una scelta miope, ingiusta e socialmente pericolosa”.
E se le colpe della Regione sono sotto accusa, il bersaglio grosso resta il Governo Meloni. “Lo Stato – attaccano i consiglieri del M5S – chiede sacrifici alle Regioni, ma poi stanzia miliardi per l’acquisto di armamenti. Una follia belligerante che calpesta i reali bisogni delle persone: sanità, scuola, trasporti, ambiente. Questo è il prezzo che paghiamo per le scelte di un governo che ha smarrito la rotta”.
Il gruppo pentastellato promette battaglia: “Faremo tutto ciò che è in nostro potere per impedire che si colpisca ancora una volta chi vive di reddito da lavoro o da pensione. Chi ogni mese fa i conti con le bollette e con le rate. Chi non ha conti offshore ma solo sacrifici reali. Un aumento dell’IRPEF sarebbe una dichiarazione di guerra ai cittadini onesti. E noi non ci stiamo”.
Il messaggio è chiaro: il 16 luglio sarà una data cruciale. Ma per il Movimento 5 Stelle, la linea rossa è già stata tracciata. E non intendono oltrepassarla.
C'è chi sogna l’autonomia differenziata. E poi c’è chi la applica con metodo scientifico: il Governo decide, le Regioni incassano gli insulti. Ma attenzione, non è un aumento dell’IRPEF, è un “ritocco”. Un lifting fiscale, un filler alle detrazioni, un piccolo sacrificio a beneficio dell’armonia globale e dell’industria bellica.
In Piemonte, il presidente Cirio fa il pesce in barile: aspetta il 16 luglio come si aspetta l’estrazione del Superenalotto. Potrebbe andarci bene. Oppure potremmo dover dire ai ceti medi che lo Stato – anzi, lo Statista – li considera mucche da mungere per finanziare cannoni, droni e ministeriali conferenze sulla pace.
Nel frattempo, Giorgia Meloni tace. E tace con quella eleganza con cui si lasciano gli altri a reggere la grana. Il gioco è noto: si taglia la sanità, si spolpano i trasporti, si lascia che il welfare si occupi da sé della propria eutanasia, poi si osservano i conti in rosso e si dice alle Regioni: “Cavoli vostri. Ma fate presto.”
Il Piemonte, come tante altre Regioni, si trova davanti a due scelte: tagliare ciò che è già stato tagliato, oppure fare quello che a Roma nessuno ha il coraggio di annunciare in conferenza stampa: alzare le tasse alla gente normale. Non ai super-ricchi, sia chiaro. Quelli non si toccano, hanno già dato. Anzi, hanno già preso.
E allora ecco che arriva l’IRPEF a geometria variabile. Colpisce i lavoratori dipendenti, gli insegnanti, gli artigiani, i pensionati troppo onesti per evadere. Quelli che hanno un reddito abbastanza alto da non essere poveri, ma non abbastanza alto da essere difesi. Quelli che non contano niente, ma che pagano tutto.
Nel frattempo, Meloni spiega al mondo che l’Italia è una Nazione solida, responsabile, forte, e per dimostrarlo ordina armamenti a sei zeri mentre negli ospedali manca il personale per staccare i referti. Ma guai a dire che è un problema. È patriottismo. È sicurezza. È visione strategica. In effetti, ci vuole una certa strategia per riuscire a svenare i cittadini sotto la bandiera del “governo del popolo”.
E così, mentre le borse di studio si fanno con i punti del supermercato e le liste d’attesa vengono ereditate come i mobili della nonna, lo Stato investe nel solo settore che non ha mai conosciuto tagli: la guerra.
L’aumento dell’IRPEF? Colpa delle Regioni. La mancanza di fondi? Colpa del passato. Il dissesto sanitario? Colpa delle cavallette. La verità è che il Governo ha scelto di spendere miliardi per armi e propaganda, e chiede ai contribuenti di saldare il conto con un sorriso.
Meloni non dice una parola, ma aspetta il plauso. E lo otterrà, magari, da qualche think tank atlantico, mentre in Piemonte si smontano ambulanze per fare bilancio.
E allora lo si dica con onestà: non è l’IRPEF che aumenta. È la faccia tosta.
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