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Costume e società

Massimo Barbiero rompe il silenzio: il nuovo disco è un atto di resistenza

Con “The Billia Session” il percussionista eporediese rompe il silenzio, attraversa i confini e trasforma il suono in gesto politico, memoria e speranza. Perché ci sono musiche che non accompagnano: interrogano. E chiedono da che parte vogliamo stare

Massimo Barbiero rompe il silenzio: il nuovo disco è un atto di resistenza

Il trio Gulliver

A Ivrea, città dove l’industria ha lasciato il posto alla memoria, e la cultura cerca ogni giorno spazi nuovi per farsi sentire, il nome di Massimo Barbiero non ha bisogno di presentazioni. Da anni, la sua presenza è una costante nel panorama musicale e culturale locale: fondatore e direttore artistico dell’Open Papyrus Jazz Festival, punto di riferimento per generazioni di musicisti, educatore, sperimentatore, uomo di pensiero prima ancora che percussionista.

Barbiero è uno di quelli che il suono non lo “suona”, lo attraversa. Lo interroga. Lo fa parlare. E proprio da questa urgenza nasce The Billia Session, il nuovo lavoro firmato dal trio Gulliver – con Maurizio Brunod alla chitarra, Danilo Gallo al contrabbasso e Massimo Barbiero alle percussioni – insieme al sax soprano di Roberto Ottaviano, uno dei musicisti più raffinati e politicamente consapevoli della scena europea. Il disco, prodotto dall’etichetta Dodicilune, è molto più di una raccolta di brani: è un progetto di pensiero, una dichiarazione artistica, un gesto.

“Rompere il silenzio. Ricominciare dal suono.” È una frase che potrebbe aprire un editoriale o una pagina di filosofia, ma qui introduce un’opera musicale. Perché in tempi in cui tutto sembra gridare, in cui la voce dell’arte rischia di essere anestetizzata, addomesticata o ridotta a intrattenimento, serve chi abbia il coraggio di ricordare che il suono è anche resistenza. È visione. È responsabilità.

Il riferimento ai Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, che dà nome al trio, non è un vezzo letterario. È un orientamento preciso. Come il protagonista del romanzo, anche questi musicisti scelgono di attraversare mondi diversi, lasciandosi spaesare, ascoltando l’altro come condizione per comprendere sé stessi. Non suonano per rappresentare. Suonano per partecipare. Per prendere posizione. Per dichiarare, senza proclami e senza retorica, che la musica può ancora essere uno strumento attivo di trasformazione.

Quattro brani ispirati a temi popolari palestinesi – Lilliput, Brobdingnag, Laputa, Houyhnhnm – sono il cuore pulsante del disco. Non sono solo omaggi. Sono metafore sonore di un mondo lacerato, in cui la neutralità equivale sempre più spesso alla complicità. Scegliere di suonare la Palestina oggi non è una posa, ma un atto politico. È un’affermazione che brucia sotto la pelle: ci sono popoli che ancora resistono, e non saranno vinti finché il loro canto continuerà a vivere nella voce di chi li ascolta.

Ma The Billia Session non si chiude in un’unica direzione. Al contrario: si apre, si allarga, attraversa frontiere. Ogni traccia è un varco. Dalla Grecia classica evocata in Sèikilos al lirismo sospeso del brano finlandese En Voi Sua Unhoitaa Poies, dalle suggestioni turche di Misirli alla ninna nanna spagnola Nanita Nana, fino alla commovente dolcezza yiddish di Kinder Yorn e alla spiritualità profonda di Ethiopian Song. E poi il Sud America, solare e resistente. Apure En Un Viaje è danza e slancio vitale. Ma è El Pueblo Unido Jamás Será Vencido, che chiude idealmente il disco, a segnare il passaggio definitivo: non più solo musica, ma testimonianza. Un grido che non si limita a ricordare, ma rilancia. Invita. Chiede. E si fa promessa: quella di un popolo che non è stato e non sarà mai sconfitto, finché la sua canzone continuerà a essere suonata.

In quella interpretazione c’è tutto: la tensione e la dolcezza, la memoria e la visione, la rabbia e l’amore. È un momento di verità collettiva. Un frammento di umanità che non si può più ignorare.

La cifra di Barbiero, ancora una volta, è l’equilibrio tra istinto e pensiero, tra gesto e ascolto. Le sue percussioni non accompagnano: chiamano. Aprono spazi. Creano dialoghi. Sono architetture emotive che reggono tutto il disco, senza mai imporsi, ma facendo vibrare ogni passaggio. Nella musica di Gulliver, ognuno ascolta l’altro. Nessuno guida, nessuno segue. È un fluire continuo, libero dai confini tra generi. Una musica popolare e colta, acustica e spirituale, materiale e politica.

Ma per capire davvero Massimo Barbiero, bisogna allargare lo sguardo. Nato a Ivrea nel 1963, si forma con i percussionisti della RAI di Torino Fiorenzo Sordini e Giorgio Gandino, per poi frequentare masterclass con giganti della batteria mondiale: da Jack DeJohnette a Steve Gadd, da Peter Erskine a Roy Haynes, da Daniel Humair a Pierre Favre, da Bob Moses a Marilyn Mazur. È un percorso che non si limita all’apprendimento tecnico: è un viaggio attraverso scuole di pensiero, estetiche e visioni della musica.

Nel 1984 fonda Enten Eller, ensemble storico del jazz italiano, con cui incide dischi entrati nella storia del genere – come Melquiades (1999), con il sassofonista Tim Berne, acclamato dalla critica internazionale. Con Enten Eller collabora anche Iva Bittová, straordinaria cantante e violinista ceca, nell’album Lisistrata, altro capitolo recente di una discografia sempre in dialogo con il presente.

Nel 1989 dà vita a Odwalla, gruppo di sole percussioni che si muove tra performance musicale, teatro e danza. Con Odwalla ha collaborato con artisti del calibro di Billy Cobham e Baba Sissoko, portando avanti una ricerca originale sulle percussioni come linguaggio totale, corpo, rituale e scrittura.

Barbiero è stato protagonista anche in Progetto Originale, Multiphonics, Perk e molte altre formazioni. Ha inciso oltre cinquanta dischi. Ha composto musiche per teatro, danza, documentari. Ha insegnato in tutta Italia. E ha continuato, testardamente, a suonare partendo da Ivrea.

The Billia Session è una di quelle opere che non si accontentano. Che non cercano l’applauso, ma la presenza. È un disco che ha dentro il silenzio delle attese, ma anche il rumore delle rivolte. Ha il suono delle strade, delle lacrime, delle culle, dei mari attraversati e delle terre perdute. E anche quando tace, dice.

Ivrea, con la sua lunga storia di utopie industriali e di sperimentazione culturale, è il terreno naturale per un musicista come Massimo Barbiero. Qui ha saputo radicarsi senza mai diventare prevedibile, restando ogni anno una voce necessaria nel panorama musicale italiano. La sua musica continua a fare quello che la buona musica dovrebbe sempre fare: non consolare, ma risvegliare.

E se c’è un messaggio che The Billia Session ci lascia, è che il mondo ha ancora bisogno della musica per cambiare. Ma non di qualsiasi musica. Di quella che prende posizione. Di quella che ci guarda negli occhi. Di quella che ha il coraggio di chiedere:

“E tu, da che parte stai?”

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