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09 Luglio 2025 - 09:05
Alessio Abbinante
C'è chi affida i parchi a biologi, naturalisti, esperti di conservazione ambientale. E poi c’è il Piemonte di Alberto Cirio, dove se vuoi proteggere gli uccelli migratori… ti affidi a un cacciatore. Anzi, a un appassionato cacciatore di uccelli migratori, che di mestiere fa l’avvocato, ma di vocazione tiene il fucile a tracolla e la nostalgia nel cuore.
Il nuovo presidente dell’Ente di gestione delle aree protette del Po piemontese si chiama Alessio Abbinante, quota Fratelli d’Italia, provenienza Alessandria, curriculum: presidente regionale dell’ANUU, l’associazione che difende con orgoglio “le cacce tradizionali italiane”. Tradotto: le doppiette all’alba, i richiami vivi, le cartucce caricate a dovere e via a sparare alle ali leggere in viaggio lungo i corsi d’acqua. In particolare proprio quelli del Po, dove adesso — per un colpo di genio istituzionale — Abbinante sarà il massimo garante della biodiversità.
Una barzelletta? No, è tutto vero. Lo ha denunciato con toni al vetriolo Alberto Deambrogio, segretario regionale di Rifondazione Comunista per Piemonte e Valle d’Aosta, che ha definito la nomina “come mettere il lupo a fare il pastore”. Difficile dargli torto.
Perché Abbinante non è soltanto un entusiasta delle doppiette. È anche un cultore della memoria... quella sbagliata. Sui suoi social campeggiano post in onore di Giorgio Almirante, storico leader del Movimento Sociale Italiano, nonché citazioni e immagini nostalgiche delle guerre fasciste in Africa, come la famigerata frase “Mancò la fortuna, non il valore” riferita alla tragica disfatta di El Alamein. Abbinante la accompagna con un commento epico: “Gli eroi non si dimenticano mai!”. Peccato che si trattasse di migliaia di giovani italiani mandati al macello da Mussolini, senza scarpe né cibo, in nome della “gloria imperiale”.
E non è finita. Deambrogio ricorda con sarcasmo anche la memorabile gaffe di Cirio durante l’ultimo 25 aprile: “Un tributo ai tanti alpini che nella campagna di Russia hanno perso la vita per la nostra libertà”. Quale libertà, di grazia? Quella dell’Asse Roma-Berlino? O quella delle truppe mandate da Mussolini a combattere al fianco di Hitler nell’invasione dell’Unione Sovietica? Roba che neppure nei libri di storia scritti col bianchetto.
Ma forse è proprio questa la cifra culturale che si cerca di veicolare: l’elogio del patriottismo armato, del valore bellico, del romanticismo da trincea, declinato in chiave venatoria. Il Po come campo di battaglia, non tra lupi e aironi, ma tra fucili e passeri. Il parco come palcoscenico della memoria revanscista, dove non si celebra la natura, ma il diritto (costituzionalmente garantito?) di spararle addosso.
È evidente, sottolinea Deambrogio, che per Cirio e i suoi alleati la Costituzione è un optional, e la storia un esercizio creativo da piegare a uso elettorale. Basta dare una ripulita all’immaginario, un colpo di vernice alla camicia nera, e il gioco è fatto. Si può perfino nominare presidente di un parco un uomo che considera la caccia non solo un passatempo, ma una “nobile tradizione”. Perché in fondo, dai, cosa c’è di più poetico che sparare alle anatre al tramonto, mentre il sole cala sulla laguna del Po?
Rifondazione non ci sta e rilancia: “Il rispetto dei valori democratici della nostra Costituzione dovrebbe venire prima della nostalgia per il Ventennio e per il glorioso passato delle cartucce e dei fasci littori”. Ma il vento, ormai, soffia da destra. E magari anche gli aironi, se vogliono sopravvivere, farebbero bene a migrare altrove.
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