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Torino tra ricchezza e declino: il paradosso di una città divisa tra capitali inattivi e un'imprenditorialità in crisi

Roberto Repole

Roberto Repole

Il dito nella piaga, stavolta, l’ha messo il cardinale Repole: «Torino ha immense sacche di povertà ma paradossalmente è anche la terza città d’Italia per numero di famiglie benestanti», ha affermato durante le celebrazioni per la festa del santo patrono, famiglie che «l’anno scorso hanno incrementato i patrimoni privati di un altro 6 per cento, 76 miliardi di euro chiusi nelle banche».
Già, la proverbiale parsimonia dei torinesi, nativi o acquisiti, è diventata immobilismo; Torino e il suo hinterland invecchiano e nessuno – a parte gli immigrati – fa più impresa, i soldi dormono nei caveaux o vengono tenuti sotto i materassi, insomma i capitali sono immobili.

A dare ragione al Cardinale di Torino, oltre agli studiosi dei fenomeni sociali, ci sono anche i numeri diffusi dalla Camera di Commercio: «nel 2024 si registra una nuova contrazione del numero di imprese. Poche le aperture, soprattutto da parte di giovani imprenditori», si legge nella relazione che l’Ente ha presentato a marzo di quest’anno. In aumento anche le chiusure nel breve periodo, come testimonia il tasso di sopravvivenza a 3 anni, che è in calo per la prima volta da un decennio.

D’altra parte come si fa a «rilanciare il mondo produttivo e il mercato del lavoro se il 98 per cento del risparmio gestito finisce fuori Italia. Resta investito nel nostro Paese solo il 2 per cento, ben poco. Le imprese si trovano senza carburante e il territorio declina». Insomma, cordoni della borsa stretti, poca voglia di rischiare, scarsa capacità d’intrapresa, ecco la fotografia della situazione torinese.

La prova? È negativo il tasso di crescita per le imprese individuali, per le società di persone e per le cooperative. Continua il calo generalizzato delle imprese del commercio anche all’ingrosso. Per i negozi, in caduta tutte le attività: edicole, abbigliamento, ferramenta, negozi di mobili, fiorai, negozi di ottica e fotografia e benzinai. In ambito alimentare si conferma la contrazione di panetterie, macellerie e negozi di frutta e verdura. Nel commercio ambulante sono in diminuzione tutte le categorie. Nel 2024 sono poco più di 20 mila le imprese giovanili, ovvero con titolari o prevalenza di soci al di sotto dei 35 anni, in netta diminuzione rispetto a fine 2023. La componente giovanile oggi rappresenta il 9 per cento delle imprese della città metropolitana di Torino.

Popolazione più anziana, meno consumi, meno negozi di prossimità e le aziende mostrano d’ignorare la responsabilità sociale verso il territorio che le ospita. Torino e la sua area metropolitana sembrano non farcela a sostenere il confronto con l’e-commerce, con la delocalizzazione, sembrano aver smarrito il «sapere» e il «saper fare» lasciati in dote da intere generazioni di torinesi. Anche con l’innovazione ce la caviamo male: «Torino è precipitata al 69esimo posto tra le città del Vecchio Continente per numero di brevetti, 175 registrati lo scorso anno».

Alla provocazione del vescovo torinese hanno risposto in diversi ma la politica e le istituzioni sono rimaste in silenzio.

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