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Ivrea in Azione

San Savino, tra fritti, cavalli e lamenti: il solito, irresistibile spettacolo eporediese

La festa patronale di Ivrea si conferma un rito collettivo tra sacro e profano, tra nostalgie equestri e trionfi gastronomici. E mentre si critica, si mangia: perché a San Savino, come sempre, si torna

San Savino, tra fritti, cavalli e lamenti: il solito, irresistibile spettacolo eporediese

San Savino

Come quei film che conosci a memoria ma continui a guardare, anche quest’anno la festa patronale di Ivrea si è chiusa con il solito misto di nostalgia, polemiche e profumo di fritto nell’aria. Un déjà vu collettivo che si rinnova puntualmente a ogni estate. Gli eventi? I mercatini? Certo, c’erano. Ma il protagonista indiscusso è stato lui: il food truck, moltiplicatosi come funghi dopo la pioggia. Un trionfo di panini, patatine e costine, più che una celebrazione religiosa.

“Troppi food truck e pure carissimi”, mormoravano i cittadini al bar, mentre sorseggiavano il caffè. Si guardavano attorno con l’espressione di chi cerca invano una giostra per bambini o un cavallo vero, e trova invece il solito stand di arrosticini. Perché a Ivrea, lo sappiamo, l’unico sport praticato con costanza olimpionica è il lamento da bar. Ma anche quello, in fondo, è parte della tradizione.

E mentre gli amanti della tradizione equestre storcevano il naso – “Ci sono più auto esposte che cavalli!” – la salsiccia al forno continuava imperterrita a sprigionare aromi che avrebbero fatto vacillare pure un vegano convinto. Certo, il contrasto tra cavalli e camioncini del kebab è forte. Ma chi ha mai detto che non possano convivere puledri e panini, come fratelli di banco nella stessa classe indisciplinata?

In mezzo a tutto questo teatrino urbano, però, c’è chi se la gode davvero: i visitatori. Gente venuta da fuori, che non si scandalizza per due ruote al posto degli zoccoli. Anzi, si prende un tagliere di salumi, un bicchiere di vino, una porzione di gnocco fritto, e parte per un piccolo tour gastronomico delle meraviglie. Per loro, il sacro e il profano sono solo ingredienti di un unico, gustoso minestrone. E quando si ha fame, diciamolo, un buon panino è sacro quanto un santo.

Si brontola, certo. Ma poi, ogni anno, tutti tornano. Perché San Savino è anche questo: un appuntamento irrinunciabile, un rito collettivo che si ripete puntualmente, come il Carnevale. E infatti, prima ancora che il tendone venga smontato, al bar già si parla del Carnevale. Perché a Ivrea il tempo è circolare, come la ruota di un carro allegorico, e finisce sempre a panini, fagioli, vino e arance.

San Savino

La verità? San Savino è diventato un grande circo gastronomico, dove cavalli, automobili e polemiche girano nella stessa pista, avvolti da una nube di profumi e recriminazioni. Una bolla in cui ci tuffiamo volentieri, anche solo per dire che non è più come una volta. Ma in fondo, chi vorrebbe davvero tornare a “una volta”? E chi lo dice davvero con convinzione?

Perché mentre si critica, si mangia. Mentre si storce il naso, si alza il bicchiere. E mentre si dice “non ci torno più”, già si pensa all’anno prossimo, con lo stesso entusiasmo con cui si aspetta il nuovo capitolo di una serie che non delude mai.

Certo, si può migliorare. E bisogna farlo. Senza però perdere lo spirito autentico della festa, senza trasformare la città in un luna park privo d’identità. Ivrea è una cartolina vivente, e ogni sua festa dovrebbe rispettarne i contorni, non sbiadirli. Il folklore ha senso se è radicato, se racconta una storia, se non dimentica le sue origini.

E allora, arrivederci San Savino. Torneremo, ancora e ancora, con il sorriso un po’ ironico di chi sa che ci sarà sempre qualcosa che non va. Ma anche con la fame di chi sa che c’è ancora tanto da gustare.

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