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05 Luglio 2025 - 16:25
Appena la voce si è diffusa, con quel tono mellifluo da comunicato stampa studiato a tavolino dal presidente della Fondazione dello storico Carnevale Alberto Alma, tra un verbale e una stretta di mano, la gente ha cominciato a chiamare in redazione con una furia che manco dopo una sconfitta dei Tuchini. “Con un diavolo per capello”, verrebbe da dire, se non fosse che qui il diavolo c’è sul serio. E non ci sta a essere sfrattato. “Quella era la nostra piazza!”, gridano. “Perché se nessuno si sogna di spostare i Tuchini dal Borghetto, allora perché proprio noi?”.
Eh già, perché proprio i Diavoli? Forse perché troppo disciplinati, troppo rispettosi, troppo vincitori. Troppo tutto. E quindi facilmente spostabili, come una bancarella al mercato. “Faremo una petizione”, dicono. Anzi, pare che qualcuno abbia già cominciato a raccogliere firme, rabbia e nostalgia. Tra i più inferociti, gli anziani: quelli con le ginocchia consumate dall’asfalto, le mani rotte dalle arance e la memoria piena di Rondolino. Trenta, quaranta, cinquanta battaglie sulle spalle. E ora? In Freguglia, che detta così sembra un gusto nuovo del gelato.
E lui? Il papà di tutti i Diavoli? Il fondatore, il presidente per cinquant’anni, Antonio Vernetto, detto Didon? Lui – uomo di altri tempi – chissà che cosa ne pensa… Beh, non sbraita. Non urla. Ma lo dice, eccome se lo dice:
“Lo spostamento dal Rondolino per noi vecchi aranceri non è una gran bella cosa ma non voglio essere di peso in queste decisioni. Voglio essere amico di tutti… - commenta - Il tempo passa, largo ai giovani. Da quello che so, nel corso della serata in cui si è votato per questa cosa c’era una marea di gente e la gran parte ha detto che andava bene così. I vecchi non erano d’accordo, ma il futuro è dei giovani. Io la mia epoca l’ho fatta, più di tanto è impossibile… Le polemiche non servono a nulla. La verità è che quella piazza è un buco con un muro. Detto questo, è evidente che in futuro ci vorranno delle regole. Per esempio in Piazza di Città è impossibile tirare le arance. Stanno stipati come le acciughe… Arriveranno anche lì delle soluzioni. ..”.
Parole che grondano dolore e dignità. Parole da cui traspare un amore infinito per quella squadra e per quel Carnevale, ma anche la frustrazione di chi – nonostante tutto – viene messo da parte con una pacca sulla spalla. Grazie Didon, adesso però fate spazio che dobbiamo spostare i Diavoli come in una partita a scacchi.
E su questo silenzio garbato di Didon, rimbomba ancor più assordante il silenzio borioso di Alberto Perro, presidente dell’Associazione Aranceri a Piedi. Interpellato? “Con voi de La Voce non parliamo”. Ah beh, allora. Ci scusi, Presidente. È che eravamo rimasti all’idea che la stampa servisse al dibattito. Ma se preferisce il soliloquio, buon divertimento.
Del resto Perro pare non abbia ancora digerito la nostra “polemichetta” sulla reintroduzione del Palio, quella prova di mira e abilità che a noi era sembrata una trovata da luna park. Una specie di torneo delle freccette travestito da tradizione eporediese. Per capirci: come se dopo il Palio di Siena si facesse una partita a briscola con punti da sommare alla corsa. Una cagata pazzesca, per citare chi le battaglie le faceva al cinema, ma con più onestà di certi tavoli riuniti al chiuso.
Eppure, Perro non è stato solo polemiche e scazzi. Va detto: sotto la sua guida, nel gennaio 2025, sono stati registrati come marchi i simboli delle squadre di aranceri a piedi – Diavoli, Tuchini del Borghetto, Scacchi, Pantera Nera… Tutto marchiato, tutto protetto. Il merchandising solo previo nulla osta, modello SIAE applicato alla pettorina. Un modo – dicono – per tutelare le identità. Un modo – diciamo noi – anche per metterci sopra un bel timbro con la scritta “autorizzato da chi decide”.
Il punto è che si sta perdendo l’anima. Perché i simboli si registrano, ma la memoria no. Le magliette si marchiano, ma le piazze si vivono. E quella dei Diavoli non è una piazza: è la piazza. È il Rondolino. È la battaglia fatta storia, condita di sudore, ginocchiate, abbracci e arance. Altro che “fluidità logistica”.
Insomma, largo ai giovani, sì. Ma largo anche al rispetto per chi ha fatto il Carnevale prima che arrivassero le app per il voto digitale e i bersagli da centrare come al tiro a segno. Perché da queste parti, finché ci saranno aranceri con 50 carnevali sulle spalle che si emozionano al nome di Didon, il Rondolino non sarà mai solo un parcheggio da liberare.
Palio. Nuova piazza. Logistica. Senso di comunità e i Diavoli, che da trionfatori seriali diventano gli inquilini sfrattati. Ma sia chiaro: nessuno ce l’ha con loro, per carità. Sono solo coincidenze. Succede. Un po’ come quando ti accorgi che piove sempre il giorno in cui hai steso le lenzuola. E infatti piove.
Perché guarda caso, proprio la squadra che ha vinto più di tutte negli ultimi vent’anni (tredici primi premi, giusto per gradire), viene spedita in Freguglia. Una scelta “tecnica”, “necessaria”, “per la sicurezza”… tutte parole che in genere si usano quando si vuole far passare una fregatura con il sorriso.
Ma il dettaglio più tenero è un altro: nel CdA della Fondazione che ha deciso lo spostamento siedono ben due Diavoli. Il presidente Alberto Alma (diavolo di nome e di fatto) e Fabio Vaccarono. Quindi – se vogliamo crederci – si sarebbero autospostati. Tipo: “Scusate, ci levate di lì che stiamo vincendo troppo?”. Roba da sindrome di Stoccolma.
E viene da dire che meno male che ci sono loro, perché se non ci fossero stati li spostavano direttamente a Lessolo. In uno slancio di decentramento territoriale o di punizione biblica.
La domanda è: ma è davvero tutto casuale? Oppure è in atto un piccolo, elegante, chirurgico “riequilibrio eporediese”, per dare spazio a qualcun altro? Un po’ di sano complottiamo, giusto per non farci mancare nulla. Nessuno lo ammetterà mai, ma qui più che logistica pare geometria: si spostano i pezzi migliori e si ridisegna la scacchiera. E i Diavoli? Muti. O quasi. Tranne gli anziani, quelli che telefonano che ci chiedono di fare "casino".
Ma si sa, a Ivrea il Carnevale è guerra. E nella guerra – anche quella in maschera – chi vince troppo spesso, prima o poi, si ritrova nel mirino. Altro che bersaglio del Palio.
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