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Ombre su Torino
03 Luglio 2025 - 14:37
Torino, luglio 1969.
Da circa due mesi nello stabilimento di Mirafiori della FIAT il livello dello scontro tra lavoratori e padronato si è irrimediabilmente alzato. Scioperi, blocco della produzione e sabotaggi sono all’ordine del giorno.
La città che fa da sfondo a questa situazione incendiaria è quella in cui “non si affitta ai meridionali” in centro ma in cui gli immigrati dal sud e dal nord-est (che ancora non è la locomotiva d’Italia) in alcune periferie sono il 70% degli abitanti. Almeno la metà degli operai della catena di montaggio è arrivata a Torino solo nell’ultimo decennio e molti vivono in soffitte o scantinati; altri finiscono a dormire in dei letti in cui riposare a rotazione, secondo la ripartizione dei turni della fabbrica.
E’ in questo clima che il 3 luglio che CGIL, CISL e UIL organizzano uno sciopero generale per protestare contro gli aumenti degli affitti e contro il sistematico ricorso agli sfratti.
E’ la scintilla definitiva.
Davanti ai cancelli della FIAT, già presidiati dalla mattina dalla polizia, si presentano in 4000. Sono in gran parte operai, ma con loro anche studenti e abitanti del quartiere. Sembrano dirigersi verso il centro ma poi cambiano idea e puntano verso Corso Traiano. E’ la composizione sociale del corteo a creare la cesura.
Il prima e il dopo.
Non ci sono gli operai specializzati, sindacalizzati, legati al PCI, che rivendicano diritti in base alle proprie capacità produttive. Ci sono quelli che verranno chiamati “operaio-massa” che vogliono l’autonomia dalla concertazione sindacale, da capi e capetti e politici. Vogliono 100 lire di aumento salariale per tutti, l’aumento di livello, la riduzione dei tempi di lavoro, la parificazione normativa tra operai e impiegati. Emblematico un cartello in testa al corteo: “Cosa vogliamo: TUTTO”.
Vengono caricati praticamente appena si mettono in marcia, brutalmente, ma quello non è un corteo come tanti altri del periodo. Il fronte operaio-studentesco resiste allo scontro, contrattacca. In Corso Traiano e nelle strade limitrofe vengono erette le barricate, il corteo si scioglie e si creano piccoli gruppi di guerriglia corroborati da persone comuni scese in strada dai palazzi intorno.
Le forze dell’ordine vengono bersagliate anche dai balconi con vasi, biglie e pezzi di ferro. Divampano incendi, volano molotov e sassi e la rivolta si estende fino alla sede di architettura al Valentino, in via Maroncelli, in via Nizza, in piazza Bengasi e più in là fino a Nichelino e Moncalieri. La polizia è costretta a ritirarsi e il bilancio sarà di 70 feriti (ma solo quelli ricoverati in ospedale) 160 fermati e 28 arresti.
Questo evento sarà visto come sintomatico della nascita dell’autonomia operaia (che diventerà poi un movimento con lo stesso nome qualche anno dopo) e che sarà un attore fondamentale della contestazione del decennio successivo. Sui volantini distribuiti fuori dalle fabbriche sarà possibile leggere l’intestazione “Lotta Continua” e LC diventerà il raggruppamento di sinistra extraparlamentare più importante degli anni ’70.
Ma i fatti di Corso Traiano saranno, soprattutto, prodromici del cosiddetto “Autunno caldo” del 1969 che porterà a grandi conquiste sociali di rilievo quali lo Statuto dei lavoratori e altre norme specifiche in loro difesa.
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