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01 Luglio 2025 - 15:38
Settimo Torinese, città laboratorio, capitale della creatività, fiera della sua vocazione al futuro. C’è il Festival dell’Innovazione, ci sono i droni, le biblioteche da manuale, le panchine intelligenti, i post su Facebook con tanto di hashtag e frasi motivazionali. Poi però basta fare due passi in via Roma per inciampare – nel senso letterale del termine – in quel meraviglioso paradosso che è l’ufficio manutenzioni comunale.
Sì, avete letto bene: ufficio manutenzioni. Il luogo dove si dovrebbero pianificare, coordinare e – con un briciolo d’ottimismo – eseguire gli interventi per tenere in piedi questa città. Il problema? L'edificio si sta letteralmente sfaldando. Una finestra con cornici che si sbriciolano come biscotti, intonaco che si stacca con la stessa facilità con cui si promettono grandi opere, vernice che cade a scaglie e una bella grata arrugginita che racconta, meglio di mille conferenze stampa, il significato profondo della parola “degrado”.
Non stiamo parlando di una baracca in un quartiere abbandonato. No: siamo in pieno centro, a due passi da tutto e da tutti. Davanti a quello che dovrebbe essere il biglietto da visita dell’efficienza municipale. Le immagini inviate da un cittadino parlano chiaro: lì dove si dovrebbe dare l’esempio, si è raggiunta la perfezione... nel lasciarsi andare.
Sembra una gag scritta da qualche comico disperato: l’ufficio che dovrebbe occuparsi della manutenzione che cade letteralmente a pezzi. La legge di Murphy trasformata in piano urbanistico.
Basterebbe poco, davvero poco: una pennellata, un secchio di cemento, una giornata di lavoro. Ma a quanto pare, a Settimo si preferisce investire in “policy visionarie”, “narrazioni innovative” e piani strategici scritti in corpo 12 Arial Bold. Altro che spatola e stucco: qui si vola alto. Talmente alto che i muri non li guardano più. Peccato che poi, i muri, cadano in testa.
Siamo pronti a scommettere che a breve arriverà Elena Piastra, la sindaca-ex insegnante diventata pasionaria del domani, per spiegarci – con sguardo assorto – che quei muri sono “testimonianze storiche da non alterare”, “frammenti identitari” o magari “architetture emotive”. Che non si toccano, perché raccontano la città.
E invece? La raccontano benissimo: la raccontano che fa schifo.
E se un giorno – speriamo mai – un pezzo di intonaco colpisce un passante? Di chi sarà la responsabilità? Dell’ufficio manutenzioni? Di quello che doveva essere l’ufficio manutenzioni? Della narrazione disfunzionale? Della pioggia? Del cambiamento climatico? Di chicchirichì?
La verità è che non servono opere straordinarie, ma la più elementare delle attenzioni: quella che ogni cittadino è costretto a prestare alla propria casa, mentre il Comune si concede il lusso di fregarsene.
Insomma, a Settimo il futuro è sempre dietro l’angolo. Peccato che per arrivarci bisogna scavalcare le macerie.
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