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30 Giugno 2025 - 15:03
Marco Bussone
C’è un’Italia che sale. Letteralmente. Che torna a popolare le sue montagne, che non ha più paura delle alture e dei dislivelli, che sfida i luoghi comuni e si riappropria di territori che per decenni sono stati descritti soltanto come vuoti a perdere. È questa l’Italia che emerge dalle quasi 800 pagine del Rapporto Montagne Italia 2025 promosso da UNCEM, l’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani.
Un documento monumentale, presentato a Roma presso l’Università Mercatorum, che racconta un Paese in cui le comunità montane non sono più confinate al margine del discorso pubblico ma tornano, dati alla mano, al centro della scena. Non è solo un’inversione di tendenza, è un cambio di paradigma. Dopo anni di spopolamento inesorabile, desertificazione demografica e servizi dismessi, le montagne italiane stanno attirando nuovi residenti, nuove famiglie, nuovi progetti di vita. Il dato simbolo è tanto sorprendente quanto eloquente: tra il 2022 e il 2023, le aree montane hanno registrato un saldo migratorio positivo di quasi 100.000 persone, di cui oltre 64.000 cittadini italiani.
Non turisti, non amanti delle seconde case, ma abitanti veri, intenzionati a rimettere radici dove sembrava che nessuno volesse più vivere. È un’Italia che riscopre il valore del silenzio, della lentezza, delle relazioni autentiche. Ma che non rinuncia all’innovazione, anzi. Molti dei nuovi montanari sono giovani, smart worker, artigiani digitali, imprenditori sociali. Portano con sé la fibra ottica e la fibra della volontà. Aprono coworking nelle ex scuole elementari, trasformano le vecchie stalle in birrifici artigianali, reinventano l’accoglienza turistica con modelli sostenibili e partecipativi. La montagna, insomma, si riaccende. E non è un fuoco di paglia.
A confermarlo sono le pratiche delle Green Community, modelli di sviluppo territoriale pensati per valorizzare le risorse locali attraverso filiere sostenibili e circolari. Ma anche la Strategia Nazionale per le Aree Interne, che seppur tra mille ostacoli burocratici e ritardi, sta contribuendo a ridurre il divario tra centro e margine, tra città e borghi, tra pianura e montagna. Il Rapporto UNCEM racconta tutto questo con un rigore scientifico impressionante, ma senza perdere il contatto con la realtà viva delle comunità. Non è un esercizio accademico, è un manifesto politico. E la politica, quella vera, dovrebbe ascoltarlo. Perché se è vero che la montagna torna ad attrarre, è altrettanto vero che servono politiche pubbliche coraggiose e lungimiranti per permettere a chi arriva – o a chi non se n’è mai andato – di restare. “Non bastano i finanziamenti a pioggia o i bandi scritti in burocratese”, ha detto il presidente di UNCEM Marco Bussone durante la presentazione. “Servono infrastrutture, scuole, presidi sanitari, trasporti, ma anche un nuovo patto sociale tra territori”.
Nel fulcro del Rapporto c’è un appello chiaro: costruire una governance multilivello, dove Comuni, Regioni, Ministeri, GAL, Comunità Montane e Green Community lavorino insieme, con ruoli chiari e strumenti operativi efficaci. I piccoli Comuni montani, spesso con personale ridotto e risorse limitate, non possono affrontare da soli la complessità dei progetti europei o dei fondi PNRR. Hanno bisogno di reti, di supporto tecnico, di strumenti snelli e accessibili. Ma soprattutto, hanno bisogno di essere riconosciuti come interlocutori a pieno titolo. Perché nessuno meglio di un sindaco di montagna conosce le necessità, le potenzialità e le fragilità del proprio territorio. E allora il Rapporto UNCEM diventa anche un atto di dignità istituzionale. Rivendica il diritto della montagna ad avere voce. A non essere più trattata come un’eccezione o un problema da risolvere, ma come una risorsa per l’intero Paese. “Non esistono città forti in territori fragili”, si legge nelle prime pagine del documento. E non è solo uno slogan: è la sintesi di una verità geopolitica che troppo a lungo è stata ignorata.
Nel disegnare la geografia della rinascita montana, il Rapporto distingue con lucidità tra il mondo alpino e quello appenninico. Le Alpi, più abituate alle relazioni transfrontaliere e al turismo strutturato, mostrano segni di vitalità già consolidati. Gli Appennini, invece, risultano più frammentati, più vulnerabili, meno sostenuti da politiche coerenti. Ma è proprio in queste fragilità che il documento UNCEM individua i germi di una possibile rigenerazione. Perché se è vero che i numeri dell’Appennino sono più scoraggianti, è anche vero che è proprio lì che si moltiplicano le esperienze di cooperazione dal basso, di presidio sociale, di resilienza comunitaria. Il Rapporto racconta di cooperative che gestiscono farmacie comunali e ambulanze, di giovani che tornano per aprire aziende agricole biologiche, di sindaci che si reinventano manager territoriali. Sono storie vere, documentate, che smentiscono la retorica della montagna condannata a scomparire. Anzi, dimostrano che la montagna può essere il luogo della sperimentazione sociale più avanzata, della democrazia di prossimità, della cura reciproca.
Ma per fare tutto questo, serve un cambio culturale. Bisogna smettere di considerare la montagna come un “altrove” esotico, una parentesi romantica da visitare nei weekend. Serve una nuova alleanza tra città e montagna, fondata sulla consapevolezza che i territori non sono compartimenti stagni ma ecosistemi interdipendenti. Le città hanno bisogno della montagna per l’aria pulita, per l’acqua potabile, per la biodiversità. La montagna ha bisogno delle città per le competenze, per la ricerca, per i servizi di rete. Solo un patto autentico, basato sulla reciprocità, potrà garantire un futuro sostenibile e giusto per tutti. In questa prospettiva, il Rapporto UNCEM 2025 non è solo una raccolta di dati. È una visione. Una proposta politica. Una chiamata all’azione.
La sua forza sta anche nel modo in cui è stato costruito: un lavoro corale, plurale, che ha coinvolto Comuni, ricercatori, operatori, cittadini.
Un documento che nasce dal territorio e che al territorio restituisce valore. In un’epoca in cui i territori interni vengono ancora trattati come zavorre da alleggerire, questo volume dice con chiarezza che la montagna è parte integrante del progetto-Paese. E che investire sulla montagna significa investire sulla coesione, sulla giustizia sociale, sulla resilienza ambientale. “Una montagna abbandonata è un’Italia più fragile. Una montagna viva è un’Italia più forte”, recita l’incipit del Rapporto. Non è poesia, è strategia. E anche se siamo abituati a vedere le montagne come entità immobili e silenziose, oggi parlano. Parlano con i numeri, con le storie, con le comunità. Sta a noi decidere se ascoltarle davvero.
Ho cercato, letto, confrontato. Ho aperto blog, scartabellato articoli, guardato facce nei video, scrollato profili social pieni di boschi, neve e galline felici. Volevo capire se dietro le statistiche del Rapporto Montagne Italia 2025 di UNCEM ci fossero davvero volti, voci, storie concrete. E la risposta è sì. Non solo ci sono, ma sono più vere, più complesse e più sorprendenti di quanto immaginiamo. La montagna non è più solo il rifugio dei pastori e dei vecchi: è il posto in cui sempre più italiani scelgono di ricominciare.
Valeria e Nicolò hanno poco più di vent’anni e un passato da romani con le giornate scandite dal traffico del Raccordo e dagli aperitivi di Trastevere. Una vacanza in Val di Cembra, in Trentino, cambia tutto. Si innamorano – non solo l’uno dell’altra, ma del silenzio tra gli alberi, della calma che ti obbliga a respirare, di un tempo che non ti rincorre. Decidono di restare. Ora lavorano lì, vivono lì. Raccontano la loro storia sui social, ma la verità sta tutta in quella frase che Valeria ha detto a un giornalista: “Qui non siamo più di passaggio. Qui stiamo costruendo una vita”.
Francesca e Simone, invece, arrivano da Milano. Lauree, uffici, bollette e asilo nido. Quando nasce Lorenzo, capiscono che vogliono qualcosa di diverso. Vanno a Bormio, in Valtellina. Si trasferiscono, non per giocare agli Heidi metropolitani, ma per dare a loro stessi e al figlio un orizzonte più largo e un’aria più respirabile. “In città stavamo comodi, ma non eravamo felici. Qui è dura, ma ogni giorno ha un senso”. Lorenzo ora gioca con la neve, non con l’iPad.
Poi ci sono Simone e Romina, i “due vagamondi”, come si fanno chiamare su Instagram. Una coppia con la faccia pulita e il cuore pieno di chilometri. Hanno mollato tutto per vivere in montagna. Non si atteggiano a santoni del minimalismo, ma ti guardano dritto negli occhi e ti dicono che lì, tra le piante e il gelo, hanno trovato la verità. “Abbiamo dovuto imparare tutto da zero, anche ad accendere una stufa. Ma è così che si rinasce”.
La storia di Silvia Montanaro è quella di una fuga al contrario: da Madrid alle montagne italiane. Mentre tanti giovani italiani vanno all’estero in cerca di stimoli e futuro, lei fa il percorso opposto. Lascia la capitale spagnola, il lavoro sicuro, la frenesia. Cerca un altro tipo di pienezza. E la trova tra i sentieri, in una casa che scricchiola, in un villaggio che all’inizio la guarda come una marziana. “All’inizio mi sentivo fuori posto. Ora, se mi allontano, mi manca tutto: anche il silenzio, anche la fatica”. La montagna, racconta, ti mette alla prova. Ma se l’ascolti, ti cambia per sempre.
E poi c’è lui, il più montanaro di tutti: Carlo Budel, che ha lasciato la fabbrica per vivere sulla Marmolada, al rifugio Capanna Punta Penia, il più alto delle Dolomiti. Gestisce quel luogo a tremila metri con una dedizione che ha del mistico. Racconta le sue giornate su Facebook, con foto che non hanno bisogno di filtri. “Quassù sei solo con te stesso. O lo accetti, o impazzisci”. Lui ha accettato. E da quell’altezza ci ricorda ogni giorno che si può vivere in cima al mondo anche senza dominare niente.
Ma c’è anche un Piemonte che non si arrende. Che risorge, passo dopo passo. Nella Valchiusella, ad esempio, c’è chi ha scelto Traversella per riaprire un negozio, per lanciare una bottega, per far nascere un’attività là dove tutto sembrava finito. Grazie ai contributi a fondo perduto del Comune, alcuni giovani hanno riportato luce nelle vetrine chiuse da decenni. “Ci dicevano che qui non c’era più nulla. Ma noi abbiamo visto il possibile dove gli altri vedevano solo macerie”, ha raccontato un artigiano di ritorno da Torino.
In Valle Soana, tra Foresta e Piamprato, ci sono giovani coppie che hanno aperto piccoli B&B immersi nel silenzio, che coltivano erbe officinali, che camminano ogni giorno in mezzo ai camosci per dare un senso alla parola vita lenta. In molti arrivano grazie ai contributi del bando Vado a vivere in montagna della Regione Piemonte: c’è chi lascia Biella, chi Milano, chi addirittura la Francia. In cambio, trovano un villaggio che respira, una valle che accoglie. “Il primo inverno è stato durissimo. Ma in primavera, quando abbiamo riaperto le persiane, c’era un futuro ad aspettarci”.
In Valle Orco, tra Sparone e Locana, giovani famiglie stanno rilevando vecchie baite, ristrutturandole con le loro mani. Alcuni sono piemontesi tornati, altri sono milanesi che hanno mollato la city per vivere con meno, ma vivere davvero. Le scuole tornano a sentire voci di bambini, i campi si riempiono di mani nuove. Il ripopolamento non è più un sogno da convegno, ma un gesto quotidiano.
E nelle Valli di Lanzo, là dove si sale verso Balme, Ceres, Usseglio, ci sono pensionati che aprono librerie, ragazzi che coltivano frutti di bosco, ex educatori che insegnano ai turisti a camminare dentro i boschi e dentro sé stessi. Alcuni si sono conosciuti durante esperienze di volontariato, altri sono tornati al paese dei nonni. “Ci dicevano: ma cosa ci vai a fare lassù? Ora ce lo chiedono con invidia”.
Sono storie diverse, ma con lo stesso ritmo di fondo. Quello del cambiamento, della fatica, del ritorno. Non tutte sono facili, non tutte sono “vincenti” secondo i criteri della società di oggi. Ma tutte parlano di una montagna che non è nostalgia, non è rifugio da sconfitti, ma spazio fertile per una nuova idea di vita. E allora i numeri di UNCEM – quei quasi 100.000 nuovi residenti in montagna – non sono solo freddi dati ISTAT: sono Valeria, Nicolò, Francesca, Simone, Silvia, Carlo. Sono anche Michela a Locana, Alberto a Traversella, Luca a Forno Alpi Graie, Giulia a Ingria, Marco a Frassinetto. Sono figli, madri, amori, scelte. Sono radici che tornano a cercare terra. E questa volta, la trovano. Tra neve (quando c'è), silenzio e un po’ di coraggio.
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