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29 Giugno 2025 - 23:36
interprete generale nazista durante la preparazione della scena "Il giorno dei traditori"
La memoria non è un esercizio retorico. È un dovere civile. Ogni gesto, ogni parola, ogni scena ricostruita con rigore può servire a contrastare l’oblio. E a impedire che le logiche che, meno di un secolo fa, hanno portato l’umanità sull’orlo della catastrofe tornino a ripresentarsi sotto mentite spoglie. Nulla va dato per acquisito. Soprattutto oggi, quando ritorna una politica che esalta l’identità etnica come valore assoluto e considera il potere come uno strumento di esclusione.
Eppure, quei meccanismi li abbiamo già visti all’opera. Li abbiamo vissuti. Il Novecento ha mostrato con spietata chiarezza fino a dove può arrivare l’ultranazionalismo quando non incontra ostacoli. Ma ha mostrato anche la possibilità di reagire. Le resistenze hanno cambiato i governi, innalzato la coscienza collettiva, generato nuove forme di responsabilità politica e sociale. Non è stata una parentesi: è stata una lezione.
Il 2 maggio 1945 fu un passaggio cruciale. In Piemonte e Liguria cessò l’occupazione tedesca, anche se la resa era stata formalizzata a Caserta solo tre giorni prima. Quei giorni carichi di tensione sono al centro del film “Il giorno dei traditori”, realizzato da Canavese Productions ODV, che ha scelto di ricostruire con attenzione storica le fasi finali del conflitto e la dissoluzione dell’alleanza tra i nazisti e la Repubblica Sociale Italiana.
Le riprese si sono svolte domenica 29 giugno 2025 presso il Castello di Mazzè, che fu realmente coinvolto negli eventi del 2 maggio 1945. Lì, il generale Hans Schlemmer, a capo del LXXV Corpo d’Armata tedesco, dopo un incontro a Biella, si recò per concordare con una delegazione alleata le modalità della resa. I soldati, una volta appresa la notizia, iniziarono a strappare le svastiche dalle divise o a cercare rifugio tra la popolazione. Il conflitto, almeno formalmente, si era chiuso.
Alle trattative parteciparono figure decisive: il Capitano Patrick Amoore per la Missione Inglese Cherokee, il Colonnello John Breit per gli americani, Giulio Borello in rappresentanza del CLN di Ivrea, il Capitano Felice “Monti” Mautino per la VII Divisione Giustizia e Libertà, e il Commissario “Walter” per i partigiani del biellese. Il documento di resa sancì la fine delle ostilità, l’assunzione del controllo del territorio da parte dei partigiani, l’assistenza logistica per i reparti tedeschi e la liberazione immediata dei prigionieri.
Parti del team per il lungometraggio a Mazzè
Canavese Production ODV durante le scene
Alcuni momenti di preparazione, a fianco del regista Roberto Gillone, interprete del Generale nazista, un ragazzo americano in sostegno del progetto
Il documento reale reso pubblico nel Comune di Mazzè
Tra il 2 e il 3 maggio, in Piemonte, si arresero più di 70.000 soldati tra tedeschi e fascisti. Ma il dopoguerra non fu privo di sangue. Seguirono vendette, fucilazioni, e episodi drammatici come l’eccidio all’ospedale psichiatrico di Vercelli. Anche nei territori intorno a Mazzè, la violenza non cessò subito. Due sedicenni in fuga dai rastrellamenti, Prola Silvio e Marco Camino, vennero colpiti da soldati in ritirata: il primo morì sul posto, il secondo spirò in ospedale il giorno dopo, proprio quando Benito Mussolini veniva giustiziato a Piazzale Loreto.
Il film “Il giorno dei traditori” si propone di raccontare questi fatti con precisione, senza enfasi ideologica ma con senso della responsabilità. Riporta l’attenzione su un luogo rimasto troppo a lungo fuori dalla grande narrazione della Resistenza. La ricostruzione non è fine a sé stessa: serve a restituire la complessità di quel passaggio storico e il peso delle scelte individuali.
“È stata una giornata di lavoro impegnativa. Il caldo ha reso le riprese ancora più difficili, ma siamo riusciti a raggiungere gli obiettivi. Un ringraziamento sentito va alla famiglia russa Ljubčenko, proprietaria del castello. Mikyel e Irina ci hanno accolti con grande disponibilità e ci hanno raccontato dettagli storici importanti, che meritano di essere valorizzati”, ha dichiarato Canavese Productions.
Questo progetto cinematografico non è solo un racconto d’epoca. È una presa di posizione. Ottant’anni dopo, mentre si moltiplicano i segnali di un ritorno a linguaggi autoritari e rivendicazioni etniche, ricordare non basta più: bisogna riconoscere i segnali, collegarli alla storia, e soprattutto schierarsi.
Il Castello di Mazzè, attraverso questa iniziativa, entra nella mappa dei luoghi da cui è possibile riconsiderare il nostro presente. Non serve mitizzare. Basta osservare con attenzione. La storia ci mostra che ogni tentativo di dominio assoluto, ogni costruzione identitaria escludente, è destinata a fallire di fronte alla forza delle coscienze libere. Le resistenze, ieri come oggi, sono il motore dei cambiamenti più duraturi.
Preservare la memoria significa esercitare un controllo sul presente. Significa impedire che ciò che è accaduto si ripeta, magari con altre forme, ma con la stessa brutalità. Non basta sfogliare un libro o partecipare a una cerimonia. Occorre assumersi la responsabilità di vivere consapevolmente ciò che si è appreso. Perché la storia non si onora con le celebrazioni. Si onora con le scelte.
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