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Punto Rosso
01 Luglio 2025 - 07:00
Una bandiera per stare dalla parte giusta della storia
Avrei potuto parlare dello stemma di Ivrea, la cui digitalizzazione ha irritato il consigliere Cantoni, ma anche, andando agli antipodi, dell’emergenza sanitaria causata dalle liste di attesa infinite e sulle quali la conferenza dei sindaci, garanti della salute dei cittadini, sembra immobile, potrei indignarmi per il costoso obolo che la nostra Asl ha destinato ad una confessione religiosa, dimenticando che alle risorse delle Asl contribuiscono tutti cittadini con le tasse (evasori esclusi) e il pagamento dei ticket, e quindi è d’obbligo per l’ente pubblico essere laico.
Ma ogni tema, passa in secondo piano, per quanto importante sia per la nostra vita, fino a quando arriveranno notizie quotidiane di sterminio di una popolazione inerme a Gaza. Fino a quando crimini contro l’umanità, impuniti o, peggio, giustificati, saranno sotto i nostri occhi e agiti anche con il coinvolgimento dei nostri paesi, senza che sanzione alcuna possa neanche essere nominata contro lo Stato israeliano.
Era solo poco più di un mese fa quando duemila persone hanno dato vita a Ivrea ad una straordinaria manifestazione per Gaza e la Palestina tutta. C’era la popolazione, c’erano tanti sindaci. Un momento di speranza del risveglio della consapevolezza di essere testimoni di un genocidio in atto.
Mi chiedo se quei sindaci e quelle sindache presenti alla manifestazione, tornati nel loro comune, abbiano esposto la bandiera palestinese al balcone del loro Municipio. Non lo so, so che il sindaco di Ivrea non l’ha fatto, nonostante la richiesta firmata da centinaia di cittadini e cittadine e ripetuta in diverse occasioni, ogni settimana al Presidio per la Pace. Sul balcone del Palazzo comunale in piazza Ferruccio Nazionale, non c’è neppure più la bandiera della Pace, prima spostata in un balconcino laterale e poi sparita.
Saranno contenti i consiglieri di minoranza, in particolare quelli di FdI che del genocidio non vogliono sentir parlare, che quasi negano il massacro quotidiano di civili inermi e non riescono ad elaborare una ferma condanna e presa di distanza verso chi compie crimini di guerra e contro l’umanità.
Non esporre la bandiera palestinese è appunto un “non esporsi” che, pur con le dovute enormi differenze, fa coppia con la negazione. Il sindaco Chiantore fece un ottimo intervento alla manifestazione del 24 maggio, perché allora fatica ad esporre la bandiera di un popolo sotto assedio (e non dal 7 ottobre 2023), e massacrato con l’obiettivo finale della sua annientazione?
Se alle parole non corrispondono i fatti, tutto rimane vano.
Mi chiedo anche, però, quale sia il sentimento di tutta la giunta eporediese, perché è vero che il sindaco è il “capo”, ma nelle decisioni di giunta uno vale uno (salvo parità, lo so).
Qualcuno si chiederà perché fissarsi con la bandiera palestinese sul Municipio, in fondo è solo un gesto simbolico. Una sola ragione: i gesti simbolici aiutano le azioni concrete.
Scrive Francesca Fornario:
“Dice che tanto non cambia niente. Se manifesti, Se metti la bandiera alla finestra, se posti i video dei civili uccisi in fila per il pane. Ma il modo più sicuro per non cambiare niente è: non cambiare niente. Vivere come se niente fosse, come se quei civili non li stessimo massacrando con le nostre armi. Tanti sentono di dover fare qualcosa. E allora, la fanno.”
Ivrea avrebbe anche un motivo in più per far sventolare la bandiera palestinese sul balcone comunale, siamo gemellati con Beit Ummar, cittadina della Cisgiordania. Quella regione palestinese occupata in espansione da coloni israeliani che compiono le peggiori angherie e violazioni dei diritti umani elementari da decenni, sostenuti dall’esercito regolare.
I coloni non soddisfatti di aver tolto ai palestinesi le terre, distrutto le case, impedito una vita normale, limitato fortemente la libertà di movimento con i famigerati check point, compiono quotidianamente raid gratuiti, pura ferocia, certi dell’impunità. Anche Beit Ummar è fra i luoghi colpiti dai coloni.
Nelle ultime settimane ci sono arrivate notizie terribili, case e negozi devastati, “confisca” di denaro, cellulari, automezzi. Il tutto contro famiglie, civili, inermi. L’ultimo blitz, ci raccontano, è durato 5 ore, ore di terrore per bambini, donne e uomini che abitano le loro case, la loro terra, e non hanno alcuna colpa, se non quella di esistere, secondo gli occupanti.
Se il Sindaco, la Giunta, ma anche tutti i rappresentanti della popolazione eporediese in consiglio comunale, si calassero per un attimo, con minimo di empatia, nel quotidiano di quelle donne, bambini, uomini, che vivono ogni giorno nel terrore di venir colpiti, essere feriti, morire, veder morire i propri cari, perdere tutto, pur resistendo con eccezionale caparbietà, se solo per un attimo chi sta nel palazzo potesse chiudere gli occhi e vedersi a Beit Ummar o a Gaza in fila per un pugno di farina a dover scegliere se rischiare di morire sotto i colpi dell’esercito israeliano o di fame, forse ripenserebbe, ognuno con i propri strumenti culturali e intellettuali, che almeno un gesto simbolico va fatto. Non sufficiente, ma necessario.
Difendere l’indifendibile, chiudere gli occhi, fare filosofia, far prevalere le posizioni di rendita o di principio, non attivarsi per la revoca di ogni rapporto con Stati che attuano crimini di guerra e l’umanità, restare indifferenti, è colpa grave che segnerà la nostra storia, ma soprattutto permetterà che tutto questo orrore continui.
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