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26 Giugno 2025 - 19:05
Pierino con l'imprenditore di Ciriè
“Buon viaggio caro Alvaro… grazie per tutte le risate che ci hai fatto fare e il piacevole tempo passato insieme, indimenticabile.” A scriverlo è Furio Ceciliato, imprenditore di Ciriè, titolare della Origamo, un’azienda che produce biglietti augurali, ma soprattutto emozioni in carta piegata. Non sono solo parole di circostanza: Furio ha davvero conosciuto Alvaro Vitali, lo ha incontrato, ci ha lavorato insieme, ha riso con lui. Era l’autunno del 2019 quando Pierino arrivò a Ciriè grazie a Mister Who, un personaggio dissacrante creato dal disegnatore sanmauriziese Mauro Gariglio, già matita della Pimpa per Altan. Vitali divenne così il testimonial ufficiale di una serie di biglietti Origamo, con quell’ironia sfrontata che lo ha reso famoso e amato. In quel progetto c’era molto di più di una semplice collaborazione: c’era il riconoscimento affettuoso di una maschera italiana, popolare, autentica. E oggi che Alvaro non c’è più, quel ricordo ha il sapore dolce e struggente delle cose vere.
È morto Pierino. È morto Alvaro Vitali. E con lui se ne va un pezzo d’Italia. Non quella da salotto, non quella dei premi letterari e delle cineteche, ma quella che sapeva ridere. Anche quando non c’era niente da ridere. Se n’è andato a 75 anni, a Roma, con discrezione, come se avesse capito che questo Paese aveva ormai dimenticato la bellezza di una risata scomposta. Era il volto sghembo della commedia all’italiana più irriverente, quella che non chiedeva permesso, che entrava nelle case con la battuta pronta e il grembiulino da scolaretto. Era il sorriso furbo del ragazzino impertinente, il monello che faceva arrossire le maestre e ridere i papà. Era Pierino, certo. Ma era anche molto di più.
Prima del successo planetario con la commedia popolare, Vitali era un elettricista. Uno del popolo. Uno qualsiasi. Ma Fellini, che aveva il talento di vedere la poesia nel grottesco, lo notò. Lo volle nel Satyricon, poi in Amarcord, Roma, I clowns. Aveva capito tutto: dietro quelle smorfie, dietro quella fisicità minuta e buffa, c’era un’anima piena di malinconia. Un potenziale narrativo che nessun altro aveva colto. Ma è con Pierino che Alvaro è entrato nella leggenda. Un personaggio scorretto, fuori dagli schemi, oggi probabilmente inaccettabile per il moralismo dominante. Ma allora era uno specchio fedele di un’Italia che cercava leggerezza a ogni costo. Un’Italia che, uscita dal buio degli anni di piombo, aveva bisogno di ridere anche per non piangere. I suoi film – Pierino contro tutti, Pierino colpisce ancora, Pierino medico della Saub – erano risate sguaiate, sì, ma vere. Risate da cinema parrocchiale, da sedie di plastica, da estate italiana.
Quel successo, però, lo ha pagato a caro prezzo. Quando il vento è cambiato, quando la cultura ha cominciato a vergognarsi delle proprie risate, Pierino è diventato un fardello. I registi hanno smesso di chiamarlo, le tv lo hanno relegato a ruoli marginali, spesso grotteschi, dentro reality e parodie. Ma lui, con una dignità rara, non ha mai rinnegato nulla. “Ho fatto ridere. E far ridere non è mica da tutti.” Lo diceva con orgoglio. E aveva ragione. Perché far ridere, davvero, è un’arte che richiede coraggio, intelligenza, verità. E Alvaro, anche se non era passato per l’Accademia, lo sapeva fare. Istintivamente, visceralmente.
La sua vita privata è stata segnata da dolori silenziosi. Un primo matrimonio, un figlio – Ennio, avvocato – che ha scelto una strada lontana dalla scena. Un secondo grande amore, lungo vent’anni, con Stefania Corona, naufragato pochi mesi fa tra silenzi e recriminazioni. E poi la salute, che negli ultimi anni ha presentato il conto: asma bronchiale, broncopolmonite recidiva. Ma nemmeno la malattia ha spento il fuoco comico che lo animava. Anche da malato, continuava a raccontare barzellette, a fare battute, a sorridere. Perché se sei Pierino, lo sei per sempre.
L’Italia, oggi, non sa più ridere come una volta. Ha paura di offendere, di esagerare, di sembrare poco elegante. Si nasconde dietro il sarcasmo sottile, dietro l’intelligenza forzata, dietro l’ironia moralista. Ma la risata di Alvaro era vera. Era pancia, era cuore. Era libertà. E forse è proprio per questo che se n’è andato in punta di piedi, lasciando un silenzio che fa rumore. Ma chi l’ha conosciuto, chi anche solo una volta si è seduto davanti a uno schermo con lui, con Pierino, con la sua pernacchia irriverente, oggi sa che non era un buffone. Era un giullare. E i giullari, quelli veri, sono gli unici che riescono a far ridere e piangere allo stesso tempo.
Addio, Alvaro. Addio Pierino. Grazie per averci ricordato che si può vivere anche con poco, ma non senza una risata.
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