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Lo Russo canta, Cirio balla e Torino sogna di diventare Miami

San Giovanni tra pop, politica e Panda: la patronale diventa uno show istituzionale a colpi di selfie, fuochi d’artificio e Qr code per cambiare il mondo (o quasi)

Lo Russo canta, Cirio balla e Torino sogna di diventare Miami

Torino canta. Canta davvero. Canta a squarciagola, con le mani al cielo e i piedi che battono il tempo, mentre le note di Annalisa e Mahmood rimbalzano tra i palazzi di piazza Vittorio Veneto e i fuochi d’artificio iniziano a colorare il cielo sopra il Po. Ma tra il pubblico e gli artisti, tra la folla e i maxischermi, a prendersi la scena sono loro: Stefano Lo Russo e Alberto Cirio. Il sindaco e il governatore. Due politici che per una sera si trasformano in fan, padri, cittadini – e cantanti improvvisati.

Li vedi lì, in prima fila. Il primo, sindaco della città, con la figlia Beatrice stretta al fianco, le labbra che si muovono senza esitazione, il sorriso largo e quella spontaneità da festa in famiglia. Il secondo, presidente della Regione, che balla accanto a lui, anche lui accompagnato dalla figlia, anche lui con l’aria di chi, almeno per un attimo, mette da parte bilanci e mozioni per lasciarsi andare. Lo Russo e Cirio, sul fronte del palco, sembrano più un duo pop che due amministratori: si guardano, ridono, cantano. La città, attorno, guarda. E applaude.

È questa l’immagine più potente della sera di San Giovanni, patrono di Torino: due politici che non parlano, ma cantano. Che non si attaccano, ma si muovono a ritmo di musica. Che per una volta non fingono di essere dalla stessa parte ma sullo stesso palco. In una Torino che prova a raccontarsi diversa, più allegra, più aperta, più viva.

“Torino è fantastica”, recita il titolo del concertone sponsorizzato da Stellantis, con la nuova Panda come madrina d’onore, e un parterre di stelle da far invidia a un festival: Annalisa, Mahmood, Gianna Nannini, Antonello Venditti, Tananai, Il Volo, e anche qualche volto giovane dai talent show. In piazza ci sono più di 50.000 persone, accorse da tutta la città e oltre. Il palco è una nave ancorata nel cuore barocco della città, tra le luci della sera e il brusio dell’estate.

Il sindaco non perde l’occasione per rilanciare quello che ormai è diventato il suo mantra: «Torino vuole diventare città turistica». Lo dice davanti ai microfoni, ma anche nei sorrisi che regala dal palco, nell’energia che trasmette ballando con la figlia, nell’emozione che si legge quando ringrazia i presenti: «La luce più bella è quella che vedo nei vostri occhi quando parliamo di Torino». Parole da comizio? Forse. Ma qui, tra applausi e cori, funzionano. Sono il linguaggio della festa, quello che non si misura in atti deliberativi ma in battiti del cuore.

Poi c’è il City Branding. Il futuro. Il QR code che appare sui maxischermi, invitando i torinesi a dire la loro sulla città che verrà. E c’è il logo di TO33, la candidatura di Torino a Capitale Europea della Cultura 2033, con quella “O” trasformata in un occhio con una scintilla, disegnato dagli studenti dei licei e delle scuole torinesi coordinati da Armando Testa. Un piccolo segno, ma carico di significato: perché dentro questa festa c’è anche un’idea di Torino che guarda avanti.

Eppure, come sempre accade quando la festa è grande, ci sono luci e ombre. I commercianti di via Po, ad esempio, non cantano. O meglio, cantano fuori dal coro. «San Giovanni - dicono - un tempo, era il giorno in cui lavoravamo di più. Oggi, con le restrizioni imposte dalla sicurezza, tanti sono stati costretti a chiudere». Non è polemica sterile, ma un segnale di malessere che si annida sotto l’entusiasmo ufficiale. «C’era un’atmosfera bella, di lavoro e di festa insieme. Oggi non è più così», qualcuno aggiunge.

E ancora, tra la folla, c’è chi si lamenta per i blocchi, per i varchi d’accesso, per la polizia municipale che impone divieti. La sicurezza è sacrosanta, certo. Ma per molti la città, in questi eventi, diventa irraggiungibile. O peggio, impraticabile.

Ma la serata scorre. I problemi, almeno per qualche ora, vengono messi da parte. I fuochi esplodono sul Po. La musica non si ferma. John Elkann è lì, con la moglie Lavinia e i tre figli, a godersi lo spettacolo. E mentre Il Volo intona Nessun dorma, il richiamo all’opera diventa anche un messaggio: questa città non deve dormire. Deve svegliarsi, sognare, cantare.

E chissà se Lo Russo, tra una strofa e l’altra, non abbia davvero canticchiato il suo “Vincerò” pensando al 2027, anno di possibili nuove sfide politiche. Intanto, per una notte, la politica ha smesso di urlare per iniziare a cantare. E Torino, tra entusiasmi e contraddizioni, si è riscoperta capace di stupire. Con una festa che è parsa – davvero – la festa di tutti.

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