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23 Giugno 2025 - 22:55
Ospedali da terzo mondo: climatizzatori rotti, acqua non potabile, personale allo stremo, pazienti a rischio
Mentre il termometro si impenna, nelle corsie e nelle sale operatorie degli ospedali piemontesi si rischia il collasso. Non quello strutturale, ma quello umano. Medici, infermieri, operatori socio-sanitari sono costretti a lavorare in condizioni che, se si verificassero in un’azienda privata, farebbero scattare ispezioni e sanzioni immediate. Ma qui siamo nel cuore del sistema sanitario pubblico, dove l’emergenza caldo è ormai una ricorrenza estiva tanto prevedibile quanto ignorata dalle istituzioni.
La denuncia parte dai sindacati della Cgil aziendale della Città della Salute e della Scienza di Torino, ma riguarda una realtà generalizzata in tutte le strutture ospedaliere: «La situazione è fuori controllo», affermano senza mezzi termini. E non si tratta di semplici disagi: si parla di turni massacranti, reparti soffocanti, climatizzatori rotti o mai installati, e – udite udite – acqua non potabile per il personale e i pazienti. Un dettaglio che da solo sarebbe sufficiente a chiudere qualsiasi locale pubblico, ma che negli ospedali sembra essere diventato accettabile. Anzi, invisibile.
Temperature record anche in sala operatoria
«Le temperature elevate nelle sale operatorie aumentano il rischio di infezioni», spiegano i rappresentanti sindacali. E non servono studi clinici per comprenderlo: chiunque abbia provato a stare in piedi per ore in una stanza afosa con una mascherina sul volto sa bene cosa significhi lavorare in apnea, con la schiena sudata e le mani tremanti. L’inadeguatezza degli impianti di climatizzazione, spesso obsoleti o non funzionanti, sta mettendo a rischio non solo la salute degli operatori, ma anche quella dei pazienti, che si ritrovano in ambienti tutt’altro che sterili, nel pieno di un’operazione chirurgica.
E mentre il Ministero continua a predicare sicurezza, igiene e benessere sul luogo di lavoro, qui manca perfino l'acqua. Sì, l’acqua. E per ovviare a questo dettaglio apparentemente secondario – ma in realtà cruciale per la salute – i sindacati chiedono la distribuzione gratuita di bottigliette d’acqua al personale ogni giorno. Non un benefit, ma un diritto negato.
Divieti assurdi e bar interdetti a chi indossa la divisa
Come se non bastasse, una recente circolare vieta al personale sanitario di accedere al bar interno in divisa. Dunque, chi vuole acquistare una bevanda o uno spuntino durante una pausa (ammesso che riesca a farla), deve prima cambiarsi. Un’assurdità burocratica che costringe lavoratori stremati a perdere ulteriore tempo prezioso. E nel frattempo il bar resta vuoto, o quasi, e la pausa si trasforma in un’ennesima corsa a ostacoli.
Intanto, gli spazi di recupero psico-fisico? Non pervenuti. In nessun ospedale si registra una reale attenzione per il benessere mentale e fisico degli operatori, nonostante le continue raccomandazioni degli esperti. E gli effetti si vedono: negli ultimi giorni sono aumentati i casi di malore tra il personale, sintomo inequivocabile di un sistema arrivato al limite, dove l’eroismo quotidiano non basta più a compensare la disorganizzazione cronica.
Le richieste dei sindacati: interventi subito, non a settembre
«Climatizzazione funzionante in tutte le aree, turni sostenibili, locali per il recupero, acqua gratuita e accesso al bar in divisa, revoca di divieti inutili e interventi immediati sugli impianti idrici», è la lista chiara e circostanziata che i sindacati hanno posto all’attenzione dell’azienda sanitaria e delle istituzioni regionali. Richieste più che legittime, di fronte a una situazione che ogni estate si ripresenta con puntualità chirurgica, tra comunicati, promesse e zero soluzioni concrete.
Nel frattempo, chi lavora negli ospedali continua a farlo tra sudore, disidratazione, orari insostenibili e l’angoscia di non poter offrire cure in condizioni minimamente sicure. Perché quando la temperatura supera i 30 gradi anche in corsia, la sanità si trasforma da diritto a roulette russa. E chi ci rimette, alla fine, sono sempre gli stessi: gli operatori e i pazienti. Ma a quanto pare, la politica – climatizzata e ben rifornita – ha deciso di voltarsi dall’altra parte, almeno finché non sarà troppo tardi.
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