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Qualcosa di sinistra
23 Giugno 2025 - 15:58
L’ignoranza della guerra. Una generazione senza memoria, ma non senza responsabilità
La mia generazione non ha mai udito il rombo delle «fortezze volanti» a pieno carico e, dopo essersi alleggerite, quello meno cupo del rientro; né ha memoria del ronzio di «Pippo», impiegato nella ricognizione dei bersagli da colpire, né ha visto luce dei «bengala», in grado di illuminare a giorno gli obiettivi.
Non conosce il suono delle sirene antiaeree, il fragore dei crolli, gli incendi, i lamenti dei feriti, la ricerca affannosa dei superstiti, non sa delle menomazioni causate dagli ordigni, non ha memoria dei lutti.
La mia generazione è ignorante della guerra perché non l’ha provata sulla sua carne.
Vado a memoria: da ragazzi abbiamo visto la «distensione» tra le due superpotenze, con la messa al bando dei test e la sottoscrizione del trattato di «non proliferazione» delle armi nucleari, ma anche l’affermarsi dei regimi totalitari in America latina, da sempre considerata il «cortile di casa» degli Usa, la definitiva decolonizzazione del continente africano, il consolidarsi del movimento dei «Paesi non allineati».
Da giovani abbiamo assistito alla crollo del «regime dei colonnelli» in Grecia, alla «rivoluzione dei garofani» in Portogallo, alla fine del franchismo in Spagna, alla prima rivoluzione islamica, alla fine della guerra in Vietnam.
Da adulti siamo stati spettatori della fine dell’apartheid in Sud Africa, degli accordi per la riduzione delle armi strategiche, del crollo incruento dell’Urss e del muro di Berlino.
Allora abbiamo creduto che, con la «fine della storia», la democrazia liberale e il capitalismo avrebbero pervaso, gradualmente, tutte le nazioni del pianeta, portando una sorta di pace universale stipulata intorno al mercato; la storia però ha bussato prepotentemente alle nostre porte con la guerra in Bosnia e nel Kossovo e il coinvolgimento diretto dell’Italia.
Il nuovo secolo ci ha messo di fronte all’affermazione definitiva delle teocrazie nel mondo islamico, alla drammatica crisi umanitaria conseguente alle guerre nell’Africa subsahariana, al terrorismo internazionale, all’impegno crescente in cosiddette missioni di pace degli Stati europei e dell’Italia, ad una seconda guerra nel cuore dell’Europa, all’ecatombe in Palestina, all’aumento esponenziale delle spese militari.
La comunità internazionale si è dotata di aggettivi che hanno reso la guerra ancora più mostruosa: guerra umanitaria (1999, intervento Nato nel Kossovo), guerra preventiva (2003, invasione Usa dell’Iraq), «operazione militare speciale» (2022, l’aggressione russa all’Ucraina).
La dottrina della «guerra preventiva» utilizza il pericolo di aggressione «una delle più tradizionali giustificazioni della guerra» e richiede una «complessa strategia prebellica di costruzione del pericolo e del nemico»: nel 2003, il Segretario di Stato americano denunciò, al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il possesso di armi batteriologiche da parte del regime di Saddam Hussein, giustificando così l’invasione dell’Iraq.
Oggi la guerra è tornata il normale mezzo di risoluzione dei conflitti, messa all’opera senza bisogno di tante scuse.
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