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Ombre su Torino

“L’amore è suicidio”: Laura e Alberto, insieme fino alla fine. Succede a Samone (Ivrea)

Una flebo, un biglietto e due corpi stesi sul letto a Samone. Lei supplente, lui anestesista. Una storia che non fa rumore, ma che parla più di mille urla: disperazione, affetto, resa. E un ultimo desiderio mai esaudito

L'amore è suicidio.

L'amore è suicidio...

Questa è una vicenda che scorre via in un lampo.

Un racconto da pagine interne, da cronaca locale, da mettere vicino ai morti sulle strade o all’arresto di una banda che si occupa del racket dei parcheggi. A cui dedicare qualche trafiletto smettendone di parlare dopo qualche giorno ma non per disinteresse ma perché, se anche si arrivasse ad avere risposta ai quesiti inevasi relativi a questo fatto, in fin dei conti non cambierebbe niente.  

Quando, anche stavolta per caso, siamo venuti a conoscenza di questa storia, un fulmine tra le sinapsi ci ha riportato immediatamente al testo di una canzone.

The empty bodies stand at rest
Casualties of their own flesh
Afflicted by their dispossession
But nobody's ever knew
Nobody's Nobody's felt like you
Love is suicide.

I corpi vuoti riposano/Vittime della loro stessa carne/Afflitti dal loro esproprio/Ma nessuno lo ha mai saputo/Nessuno/Nessuno si è sentito come te/L’amore è suicidio.

L’autore di questa canzone, Billy Corgan, ha formato i suoi The Smashing Pumpkins proprio nell’anno in cui accade questa tragedia, nel 1988.

Tutto inizia con un telefono che squilla a vuoto, da due giorni. Si trova al secondo piano di un vecchio palazzo a Samone, vicino Ivrea, dove una coppia vive da pochi mesi.

Lei si chiama Laura Lenarduzzi, ha 35 anni e fa la supplente nelle scuole elementari della zona. È un’ottima insegnante, ben voluta dai ragazzi e dai colleghi ma con un unico cruccio: diventare di ruolo, vedere, finalmente, riconosciute le proprie capacità.

È fidanzata da 5 anni con Alberto Cortese, un anestesista di 42 anni che lavora all’ospedale di Castellamonte. Descritto ugualmente come un ottimo professionista, sembra non avere grossi problemi se non qualche inquietudine dovuta ai soldi che non bastano mai.

“Litigava col denaro da quando aveva 20 anni, era vaccinato a certi problemi” dicono gli amici. È lui che si accorge per primo che quel telefono suona senza risposta.
È il 3 marzo 1988 e Alberto è di turno in sala operatoria dal mattino presto ma, ogni volta che ha una piccola pausa, tenta di mettersi in contatto con la compagna senza riuscirci. Il suo primario, il professor Fiandino, intorno alle 13,15, gli dice che, se ne avesse avuto bisogno, sarebbe potuto recarsi a casa.

L’uomo accetta e torna nella struttura un’ora dopo, notato da un’infermiera che lo vedrà andar via di nuovo, quasi subito, con una scatola in mano.

Arriva il giorno successivo, il 4 marzo. Di nuovo, al mattino, l’apparecchio suona ma nessuno alza la cornetta in quell’alloggio di Samone. A chiamare, stavolta, è la sorella di Laura, Clelia. Prova per ore e poi, insieme a due colleghi di Alberto, si presenta direttamente nell’abitazione.

Quando aprono la porta, si trovano davanti all’epilogo tragico di una meravigliosa ma terribile storia d’amore. Sul letto c’è Laura che non respira più chissà da quante ore. Di fianco, per terra, la busta di nylon e il cordino con cui si è soffocata e che gli sono stati strappati da dosso quando ormai era troppo tardi.

Sul comodino un biglietto e poche parole vergate dalla sua mano: “Sono stanca, stammi vicino”. Sotto la risposta, con una calligrafia diversa: “Si, ti starò vicino, ti voglio bene”. Chi ha scritto quella frase ha poi lasciato un’altra annotazione, su un ricettario: “Una sola cosa vogliamo. Essere cremati insieme e che Dio abbia misericordia di noi”.

Il suo autore, Alberto, è steso di fianco a lei. Alla sua sinistra l’apparecchio per la flebloclisi e l’ago conficcato in una vena del braccio. Vicino, la scatola da cui ha tirato fuori un barbiturico e un flacone di curaro, tutte cose di uso comune in ospedale. Si è stordito con un tranquillante, ha appoggiato la sua mano su quella della sua defunta amata e poi ha aperto il tubicino per far scendere il veleno, morendo in pochi secondi.

Uno accanto all’altra, negli ultimi momenti di vita terrena, non verranno accontentati per quella nell’aldilà: lei viene seppellita a Samone, lui a Bairo Canavese.

Capire, fino in fondo, le motivazioni che portano le persone a compiere il gesto estremo per eccellenza, il suicidio, è impossibile. Inutile, addirittura. Irrispettoso, forse.

Anche perché, la realtà, probabilmente assomiglia ai versi della canzone nelle prime righe di questo pezzo. Nessuno lo ha mai saputo. Nessuno. Nessuno si è sentito come te. L’amore è suicidio.

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