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Cesare Verlucca è volato via. Restano i suoi libri, i suoi sorrisi, il suo amore

Il legato eterno di Cesare Verlucca: un viaggio tra cultura, poesia e sogni senza fine

Cesare Verlucca è volato via. Restano i suoi libri, i suoi sorrisi, il suo amore

Cesare Verlucca

Cesare Verlucca è morto. E con lui se ne va un secolo intero di cultura vissuta, di parole scelte con cura, di poesia cucita tra le righe della quotidianità. È morto l’uomo che aveva fatto della carta la sua missione, del racconto la sua religione laica, della bellezza un mestiere.

È morto l’ultimo signore dell’editoria umana, quella che non corre, che non urla, ma che accoglie. È morto con il sorriso, lo stesso sorriso che ha regalato a generazioni di lettori, autori, amici. Il sorriso che – chi l’ha conosciuto lo sa – era la sua firma.

La notizia si è sparsa come una lama gentile tra le strade di Ivrea, città che lo ha visto nascere nel 1927 e che non ha mai smesso di amarlo.

L’Ordine della Mugnaia, che lui aveva fondato nel 1977 insieme a un gruppo di donne straordinarie, lo ha salutato con parole colme di gratitudine.

“Uomo di grande carisma, amante del Nostro Carnevale, stimatissimo cittadino eporediese. Cesare, ci mancherai.”

Era stato Gran Segretario, e poi, per sempre, Gran Segretario d’Onore. Ma più di tutto era stato l’anima di quella comunità, il cuore buono che batteva al ritmo delle tradizioni.

Editore d’anima, lo ha definito la nipote Adriana Quaglia, che ha voluto salutarlo con una poesia struggente, una carezza in versi, un ritratto preciso di ciò che è stato: “Hai vissuto come si vive un racconto, stringendo mani, parole e destini.
Tra scaffali di carta, in un tempo raccolto, dispensando sogni a grandi e bambini.”

Ma chi era davvero Cesare Verlucca? Un uomo dalle molte vite, vissute tutte con grazia e intensità. Due lauree con lode all’Università di Genova, un passato alla RAI, poi vent’anni in Olivetti, con incarichi tra Italia, Belgio, Grecia e Medio Oriente. Era stato proprio Adriano Olivetti ad assumerlo, in uno di quegli incontri che cambiano tutto. Ma Cesare aveva un’altra strada nel cuore.

Nel 1971 fonda, insieme a Gherardo Priuli, la casa editrice Priuli & Verlucca, specializzata in pubblicazioni raffinate, visive, dedicate alla montagna, alla storia, alla cultura alpina e piemontese. Nasce un nuovo modo di raccontare il territorio: con eleganza, con verità, con poesia. E quando il tempo lo richiede, passa il testimone alla figlia Helena, che oggi guida Hever Edizioni, portando avanti il sogno con la stessa dedizione.

Non era solo editore, era scrittore, ideatore, curatore di bellezza. Nel 2017 pubblica “Una storia di carta”, autobiografia di una vita spesa tra scaffali, fiere, tipografie e passioni. Nel 2023, con Giorgio Cortese, firma “Amore che viene e che va. Dalle Alpi alla Sicilia”, un romanzo che è anche memoria e identità.

E poi, nel 2024, regala al pubblico un libro che è il suo testamento più intimo: “Quando la poesia incontra l’arte”, un dialogo emozionante tra i suoi versi e i dipinti di Michela Mirici Cappa.

Era sempre presente. Sempre curioso. Sempre innamorato della vita. Ai saloni del libro, alle presentazioni, tra gli scaffali. Non cercava applausi, cercava connessioni. E le trovava. Con le parole, con i gesti, con la gentilezza. Era una presenza lieve, eppure indelebile. Un punto fermo in un mondo che cambia troppo in fretta.

Oggi Ivrea lo piange, ma anche lo celebra. Perché Cesare ha lasciato un segno che non si cancella. È nei libri che ha pubblicato, nei sorrisi che ha donato, nei sogni che ha custodito. È nei suoi “tre puntini…” sempre tre, come un piccolo invito a continuare. A immaginare. A non chiudere mai davvero una frase.

Se ne va un uomo che ha reso la cultura accessibile, profonda, quotidiana. Se ne va un editore che credeva nella carta quando il mondo correva verso il digitale. Se ne va un padre affettuoso, un nonno saggio, un amico sincero.

Ma soprattutto, se ne va con il sorriso. Quello stesso sorriso che resterà per sempre nelle stanze dove ha lavorato, nelle righe che ha scritto, nei cuori che ha sfiorato.

Ciao Cesare. Grazie per ogni sogno. Per ogni libro.  Continua a mandare idee, da lassù. Appena puoi. Tre puntini… sempre tre.

cesare con la figlia e con Francesco Gioana

Cesare Verlucca era anche La Diana


Lo trovavi lì, ogni anno, alla presentazione de La Diana, il periodico di etnografia canavesana e dello Storico Carnevale di Ivrea che proprio lui s’era inventato trentatré edizioni fa.

Da Vino e Dintorni in via Arduino, con l’aria di chi sa già tutto ma finge di scoprirlo insieme a noi. Seduto al tavolo, sempre con quel tono leggero, sarcastico, da padrone di casa senza cravatta e senza palchi, ma con tutta l’autorevolezza di chi ci mette anima, passione, memoria.

Perché non era (e continuerà a non esserlo) solo un appuntamento pubblico, quello della presentazione. Era il frutto di mesi di lavoro, di scambi, di bozze lette e rilette, di titoli trovati per gioco, di sberleffi calibrati, di fotografie che lo facevano ridere prima ancora di scrivere la didascalia.

La verità è che tutti gli anni, Cesare Verlucca, con Francesco Gioana, costruiva quelle pagine, mattone su mattone, parola su parola. Contributi visibili e invisibili, con l’ironia che era la sua cifra e la lucidità di chi il Carnevale di Ivrea l’ha amato per davvero.

Accanto a lui, sempre la figlia, Helena, con quella fierezza dolce di chi condivide un’eredità vivente. Con Hever Edizioni, che pubblica ogni anno questo piccolo capolavoro collettivo, mezzo libro, mezzo rito. E intorno a loro, gli amici di sempre: oltre a Francesco Gioana, lo storico Franco Quaccia, l’oste Ciro Lubrano, e poi tanti altri, voci diverse che si accordavano perfettamente intorno al tono unico e insostituibile di Cesare.

Durante la presentazione, il copione non era mai davvero scritto. Lui sapeva come rompere gli equilibri, come rubare una risata, come interrompere una lettura seria con un commento che azzerava ogni retorica.

Non era mai fuori luogo, perché era proprio il luogo giusto: la voce del Carnevale, quella che sa ridere di sé e degli altri senza mai ferire. Quella che affonda e accarezza insieme.

E quando si apriva la rivista, fresca di stampa, si sentiva subito l’eco della sua penna: nei testi, nei titoli, nelle famose foto degli “gnoc”, negli editoriali mascherati da note a piè di pagina. Ogni numero portava dentro una fetta della sua intelligenza narrativa, della sua capacità di cucire il colto e il popolare, la storia e la cronaca, lo scherzo e l'affetto.

Per chi, come me, ha avuto la fortuna di contribuire a quella rivista – anche solo con poche righe, anche solo nelle ultime edizioni – l’orgoglio era tutto lì: sapere che Cesare avrebbe letto, sorriso, magari corretto, magari commentato con una battuta pungente, quel tuo pezzo.

Saperlo dietro le quinte, seduto alla scrivania, a sfogliare le bozze, a dire “qui ci vuole una frecciata” o “questo passaggio è troppo molle”. Era un editore vero, sì. Ma era anche un giullare colto, un regista invisibile, un direttore d’orchestra del disincanto.

Ora che non ci sarà, sarà impossibile fingere che non manchi qualcosa. Manca già.
Manca la sua voce durante la presentazione, manca il modo in cui alzava un sopracciglio mentre qualcuno cercava di prendersi troppo sul serio. Manca il suo modo unico di raccontare Ivrea: con amore, certo, ma senza mai cedere al sentimentalismo facile.

La Diana continuerà a uscire, certo. Perché lui avrebbe voluto così, e perché ci sarà Helena, ci saranno gli amici, ci saranno ancora penne affilate e cuori che battono per il Carnevale.

Ma quel suono lì, quello del suo sarcasmo che ti coglieva di sorpresa tra una pagina e l’altra, non si potrà imitare. Era solo suo. E ce lo porteremo dentro, ogni volta che sfoglieremo la rivista. Ogni volta che si parlerà di Carnevale con il tono che lui ci ha insegnato a usare: quello di chi ama e ride. Insieme.

Le condoglianze mie, sincere, appassionate, a Helena.

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