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14 Giugno 2025 - 16:07
Sipario. Luci. Slide. Applausi finti. Entra il presidente della Regione Alberto Cirio, elegante come al solito, pettinatura impeccabile e sorriso da spot. Lo affianca l’assessore alla Sanità Federico Riboldi, che ha già pronto il copione: un anno di miracoli, una lista di imprese titaniche, una raffica di numeri sparati con l’enfasi di un conduttore da televendita.
“Abbiamo aumentato la produzione!”, “Abbiamo assunto!”, “Stiamo riducendo le liste d’attesa!”, “Ci siamo dotati di un cruscotto digitale!”. È l’ora della grande messa in scena: la conferenza stampa dei miracoli sanitari.
Che poi, chiamarla conferenza stampa è riduttivo: sembra più la presentazione di un’auto elettrica che vola o del nuovo iPhone 37. Invece si parla di sanità pubblica. Di ospedali, ambulatori, medici, infermieri, pazienti. Anzi, no: dei pazienti quasi mai. Perché in mezzo a tutto quell’entusiasmo, i malati non si vedono. Sono un fastidioso rumore di fondo, una statistica da piegare, un numero da far tornare nel grafico. L’importante è lo storytelling: Piemonte regione modello, Piemonte che risorge, Piemonte che brilla.
E allora vai con i numeri: 65.000 visite ed esami recuperati tra febbraio e maggio 2025! 771.981 prestazioni in 4 mesi! 23% di aumento per le urgenze U e B! Mentre la platea di giornalisti segna, pochi si azzardano a chiedere: ma rispetto a quale domanda reale? rispetto a quale fabbisogno? quanta gente rimane comunque fuori? Il 92% rispetto al 2019, ci dicono. Quindi ancora sotto. Eppure sembra che dovremmo stappare lo champagne.
Intanto le liste d’attesa reali continuano a essere un incubo. Per una risonanza si aspetta mesi, per una colonscopia c’è da farsi il testamento prima. Le urgenze (le famose classi U e B) forse vanno meglio, ma basta essere solo lievemente malati e si viene automaticamente spediti in un limbo temporale. Ma loro parlano del “piano straordinario extra orario”, che in sostanza significa: spremere ancora di più il personale, far lavorare medici e infermieri anche la sera e nei weekend, nella totale assenza di un piano strutturale.
E qui entra in scena il secondo numero del musical: le assunzioni! Ben 1.775 persone in un anno! Peccato che nessuno dica quanti ne sono andati via. Burnout, prepensionamenti, fughe verso la sanità privata o verso altri paesi. Una goccia nel deserto, ma venduta come se avessimo raddoppiato l’esercito. E poi 600 nuovi posti in arrivo grazie ai concorsi con Azienda Zero. Il tutto, ovviamente, nei prossimi mesi. Per adesso, ci arrangiamo. Con i gettonisti, con i turni massacranti, con i buchi di organico che fanno rabbrividire anche l’Inps.
Poi arriva il momento più esilarante della conferenza: il Nuovo CUP!. Un Cup che sarà nuovo, rivoluzionario, integrato, con intelligenza artificiale, cloud, app, call center e pure la sezione per pazienti cronici e post dimissioni. Quando? Ma ovviamente dal primo gennaio 2026. Perché la gente, si sa, ama aspettare. Lo stesso principio applicato alle visite mediche ora vale anche per le riforme: si progettano oggi, si realizzano dopodomani, si utilizzano mai. Intanto si continua con il vecchio Cup, quello dove prenotare una visita è come vincere al Superenalotto, solo con più bestemmie.
Ed eccoci al capitolo edilizia sanitaria. Altra fanfara, altra slide. Parco della Salute di Torino? Firmato il contratto! Ospedale di Novara? Finita la valutazione! Inail? Pronti a costruire sette ospedali! Peccato che nel frattempo la gente vada in ospedali vecchi di 60 anni, con le finestre rotte e i soffitti che si scrostano. Ma tranquilli, abbiamo una Academy con il Politecnico. Dove si formeranno tecnici che, con ogni probabilità, lavoreranno in ospedali che – se tutto va bene – esisteranno tra dieci anni.
Poi ci sono le sigle che piacciono tanto: IRCCS, PNGLA, PNRR, COT, AFT. Sembrano più i nomi dei robot di Guerre Stellari che strumenti per salvare vite. Ma si sa, più metti acronimi, più sembri competente. Anche se dietro molti di questi ci sono solo promesse, piani parziali e qualche inaugurazione in pompa magna di locali vuoti. L’importante è che in conferenza stampa facciano scena.
Sulla sicurezza nei pronto soccorso, poi, ci vorrebbe un film comico. Sei milioni per le telecamere intelligenti. Che sarà mai? Basta essere ripresi mentre vieni preso a male parole o strattonato da un paziente esasperato per sentirsi subito più sicuri. L’umanizzazione dei reparti, ci dicono, passa per i sensori e i software. Ma forse sarebbe più umano mettere qualcuno in più nei reparti, dare respiro agli operatori, smetterla di farli lavorare come carne da macello.
La telemedicina, infine, è la ciliegina su una torta indigesta. Finanziata col PNRR, con piattaforma e infrastruttura collaudate. E poi? Poi si vedrà. Forse sarà pronta entro fine 2025. Ma già oggi si parla di televisita di livello 2, telemonitoraggio avanzato, teleconsulto sincrono. Manca solo il teletrasporto e siamo a posto. Il problema, però, è sempre lo stesso: il paziente vero, quello fragile, anziano, solo, disorientato, non ha bisogno di una visita via app. Vuole un medico. Vero. In carne ed ossa. Non un algoritmo.
Insomma, quello andato in scena in Regione è stato uno show ben confezionato, pieno di effetti speciali, parole in inglese e ottimismo istituzionale. Ma appena si esce dalla sala, si sbatte contro la realtà. Una realtà fatta di attese estenuanti, personale stremato, ospedali da ristrutturare, medicina territoriale allo sbando e cittadini sempre più tentati dal privato.
Ma loro no. Loro brindano. Si autoincensano. Si autoassolvono. E intanto ci fanno sapere che il Piemonte è la prima regione ad aver concluso l’accordo con i medici di medicina generale. Evviva. Peccato che, per trovarne uno che ti riceva, serva ancora una botta di fortuna. O un santo protettore.
Nel dubbio, conviene sempre tenersi il numero del medico privato. Che magari non ha il cruscotto digitale, ma almeno visita. Sul serio. E senza slide.
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