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Carceri piemontesi al collasso: sovraffollamento, degrado sanitario e strutture fatiscenti. L’allarme dell’Associazione Luca Coscioni

L’indagine rivela un sistema penitenziario in crisi cronica. ASL inascoltate, Ministero della Giustizia assente. E in Piemonte si sfiora l’inabitabilità

Un carcere sedato

Strutture fatiscenti, sovraffollamento cronico, condizioni igienico-sanitarie disastrose. Questo il quadro devastante che emerge dalle relazioni redatte dalle Aziende Sanitarie Locali del Piemonte, ottenute grazie a un accesso civico promosso dall’Associazione Luca Coscioni. La situazione nelle carceri piemontesi è da allarme rosso: un sistema al collasso, dove il diritto alla salute è sistematicamente calpestato e la dignità umana sembra essere uscita da tempo dalla lista delle priorità istituzionali.

Secondo i dati aggiornati al 31 luglio 2024, nelle carceri piemontesi si contano 4.186 uomini e 160 donne detenute, a fronte di una capienza largamente inferiore. Il tasso di sovraffollamento è del 109%, con punte drammatiche come quella di Vercelli, dove a fronte di una capienza effettiva di 227 posti si registrano 303 detenuti.

Il report nazionale, che si basa sulle risposte di appena 66 strutture sanitarie pubbliche, evidenzia un problema sistemico: assenza di direttive, mancanza di manutenzione anche ordinaria, nessuna strategia condivisa tra Ministero della Giustizia e sanità territoriale. Un’inerzia che, sommata all’esplosione della popolazione detenuta (oltre 62.700 detenuti su 51.280 posti regolamentari disponibili a livello nazionale), trasforma ogni carcere in una bomba sociale e sanitaria pronta ad esplodere.

Nel dettaglio, i documenti raccolti offrono una mappatura impietosa degli istituti penitenziari piemontesi:

  • Alessandria: si mangia in cella, senza areazione forzata, con acqua fredda nei bagni e scarafaggi nella sezione dei collaboratori di giustizia. Le criticità denunciate negli anni passati? In gran parte ignorate.

  • Asti: muffa alle pareti, bagni guasti, farmaci conservati in modo inadeguato. Qualche miglioramento c’è stato, ma nulla che possa far parlare di condizioni dignitose.

  • Torino: muffe, infiltrazioni, locali dichiarati inagibili, assenza di accessi per disabili. In una sezione la situazione è così grave che si parla apertamente di inabitabilità.

  • Cuneo, Saluzzo e Fossano: pareti scrostate, rifiuti gestiti male, pavimenti logori. Un degrado che testimonia anni di incuria, confermati dalle relazioni dell’ASL Cuneo 1.

  • Alba: parte del carcere chiusa da anni per un’epidemia di legionellosi. Nelle zone operative mancano anche i presidi antincendio.

  • Biella: la ASL chiede una valutazione alla Regione Piemonte. Risposta? Nessuna.

  • Novara: unica nota quasi positiva. Le condizioni sono accettabili, ma il consumo dei pasti in cella e il sovraffollamento (171 detenuti su 158 posti) restano problemi irrisolti.

  • Ivrea: il magazzino dei farmaci è da adeguare, urge una pulizia straordinaria e servono misure correttive sul piano di autocontrollo alimentare.

  • Verbania: situazione tutto sommato sotto controllo, ma il problema cronico del sovraffollamento permane.

  • Vercelli: sovraffollamento da codice rosso e impianti della cucina e dei servizi igienici da rifare urgentemente.

Davanti a questo scenario, l’Associazione Luca Coscioni non si limita alla denuncia pubblica. Annuncia infatti nuove azioni legali per far emergere le responsabilità dell’Amministrazione penitenziaria e del Ministero della Giustizia per il mancato rispetto delle più basilari raccomandazioni sanitarie. A supporto, c’è anche la piattaforma FreedomLeaks, attiva dal 2024, che consente a detenuti, familiari e operatori di segnalare in modo sicuro e anonimo le violazioni del diritto alla salute.

“Negli istituti di pena italiani non sono stati effettuati nemmeno gli interventi di ordinaria manutenzione” – denuncia l’Associazione – “una negligenza che, aggravata dal sovraffollamento al 134%, rischia di rendere alcune strutture totalmente inabitabili”.

Un’amara constatazione che non riguarda solo la violazione dei diritti umani, ma interroga anche la tenuta costituzionale di un Paese che, dietro le sbarre, continua a calpestare sistematicamente la legalità e la dignità umana.

Viaggio nell’inferno invisibile delle carceri piemontesi

C’è un mondo che respira a fatica dietro le mura alte e cieche delle carceri piemontesi. Un mondo fatto di uomini e donne che esistono ai margini della coscienza collettiva, rinchiusi in celle dove l’aria stagna, la muffa si fa parete, e il tempo non passa: marcisce.

Immagina una stanza di pochi metri quadri, illuminata da una finestra con le sbarre e un vetro opaco che lascia entrare una luce malata. Dentro ci vivono in tre, a volte in quattro. Il letto è a castello, il materasso sottile, l’odore acre di sudore, di sigaretta fredda, di detersivo vecchio e acqua stagnante. Il bagno – se così si può chiamare – è un angolo della cella diviso da un muro a metà altezza: un wc senza tavoletta, acqua solo fredda, niente sapone. La privacy non è un diritto. Nemmeno l’igiene.

Nella casa circondariale di Alessandria, si mangia in cella. Non c’è un refettorio, nessun luogo comune dove posare lo sguardo altrove, dove distogliere la mente dalla solitudine. I pasti arrivano tiepidi, quando arrivano. Vengono consumati accanto alla branda, tra le blatte e gli scarafaggi che corrono nei corridoi, infilano le crepe nei muri, risalgono dai lavandini. Nessuna aerazione forzata, nessun cambio d’aria. Solo la convivenza forzata con insetti, umori e umiliazione.

Ad Asti, i detenuti convivono con la muffa, con i servizi igienici guasti, con le pareti umide che odorano di malattia. I farmaci, per chi ne ha bisogno, sono stipati senza criterio, in armadi logori, in ambienti dove la sanità si trasforma in parodia. A Torino, c’è una sezione che è stata definita inabitabile: locali inagibili, muffe, infiltrazioni, senza accesso per disabili. Qui, se ti rompi una gamba, resti immobile. Se sei disabile, sei solo un problema da nascondere dietro una porta chiusa.

Ogni carcere racconta una storia diversa, ma l’eco è sempre la stessa. A Cuneo, a Saluzzo, a Fossano, le pareti si sgretolano sotto le dita, l’intonaco cade come neve sporca, i pavimenti sono consumati, i rifiuti gestiti con incuria. I luoghi comuni – i corridoi, i cortili, le docce – trasudano abbandono. Ad Alba, un’intera ala è chiusa da anni per un’epidemia di legionellosi. Il male, qui, resta dentro. Non viene bonificato, né ascoltato.

A Biella, si aspetta da mesi una risposta dalla Regione. Una domanda lanciata nel vuoto, rimasta sospesa come tutte le richieste che escono dalle carceri. A Novara, l’ASL è stata benevola, ha definito la situazione “positiva”, ma anche lì si mangia in cella, anche lì i numeri parlano chiaro: troppi corpi, troppo poco spazio. A Vercelli, ci sono 303 detenuti per 227 posti effettivi. In cucina, gli impianti non funzionano. Nei bagni, i tubi gocciolano, le porte non si chiudono.

A Ivrea, si raccomanda una pulizia straordinaria. Come se bastasse. Come se l’anima potesse essere lavata via con un colpo di scopa. Ma non è la polvere il problema. È la dignità. È la certezza di non contare nulla.

4.346 persone vivono oggi nelle carceri del Piemonte. 109% di sovraffollamento. Sono numeri, certo. Ma sono soprattutto fiati spezzati, occhi persi, vite dimenticate. Non c’è rieducazione. Non c’è recupero. C’è solo attesa. Un’attesa che non redime, che non insegna, che logora.

E mentre le celle si riempiono, l’ossigeno manca. Manca la volontà politica, manca la manutenzione ordinaria, manca il rispetto per la Costituzione. Le ASL scrivono, segnalano, chiedono. Ma le loro relazioni finiscono nei cassetti. Nessuno risponde. Nemmeno quando si parla di legionella, di blatte, di disabili abbandonati, di farmaci mal conservati, di locali inagibili. Nemmeno quando si dice che una sezione è inabitabile. Nemmeno quando la salute è in pericolo.

Eppure, dentro quelle mura, la vita continua. Malgrado tutto. Si lotta per un libro, per una telefonata, per un momento d’aria. Si scrive. Si prega. Si grida. Si aspetta. Perché in carcere non si vive: si sopravvive.

L’Associazione Luca Coscioni, attraverso la piattaforma FreedomLeaks, ha aperto un varco. Un luogo dove chi vive, lavora o entra in carcere può denunciare, in modo anonimo e sicuro, ciò che non funziona. Un piccolo spiraglio di libertà, in un sistema che ancora oggi, nel 2025, sembra aver dimenticato che anche chi ha sbagliato resta un essere umano.

La verità è che in Piemonte ci sono mura che non si vedono. E dentro quelle mura, un’umanità che chiede soltanto di non essere sepolta viva.

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