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13 Giugno 2025 - 18:52
Alberto Avetta e Alberto Cirio
È successo di nuovo. Giovedì 12 giugno 2025, il treno 2717 – il più usato da medici, infermieri, OSS, impiegati e magistrati che ogni mattina raggiungono Ivrea da Torino – ha alzato bandiera bianca.
Da giorni accumula ritardi tra i 30 e i 50 minuti, una costanza talmente prevedibile da sembrare parte integrante dell’orario.
Dovrebbe partire alle 7:25 da Porta Nuova e arrivare alle 8:23. Un orario perfetto per chi lavora all’ospedale, al tribunale, nelle scuole o nelle aziende del Canavese.
Tutto bene fino a Chivasso ma è solo una pia illusione. Pochi chilometri dopo, nei pressi della stazione di Montanaro, si blocca. Nessun annuncio, nessuna spiegazione. Solo una lunga, estenuante attesa di 20 minuti. E, quando ormai la pazienza ha lasciato il posto alla rassegnazione, il treno riparte. Lentamente. Lentissimamente. Fino alla stazione di Rodallo. Poi stop.
Il capotreno avvisa i passeggeri della carrozza di testa. Gli altri? Abbandonati a se stessi.
“Abbiamo capito che dovevamo scendere solo perché vedevamo persone sulla banchina”, racconta Maurilia Ognibene, una delle viaggiatrici coinvolte. Nessun altoparlante, nessuna scritta sui display. Solo il passaparola visivo. E va in scena l’ennesima beffa.
Tutti ad aspettare il treno successivo, il locale 11356 proveniente da Novara. Previsto per le 8:27, arriva alle 9. Non resta che contare i minuti. Uno dopo l’altro, come gocce d’acqua che scavano la pazienza. L’arrivo a Ivrea, previsto per le 8:18, slitta alle 9:45. Un’ora e mezza di ritardo, e una mattinata ormai andata.
Il guasto? Un passaggio a livello in tilt a Montanaro. Ma il motivo della soppressione? Un mistero. Nessuna informazione. Nessuna spiegazione. Solo l’invito a scendere. Come se fosse normale. Come se la vita, il lavoro e i diritti dei passeggeri potessero essere sospesi, ogni giorno, a discrezione di un convoglio.
Qualcuno è riuscito ad arrangiarsi. Altri – medici e giudici inclusi – sono arrivati quando le loro responsabilità li avevano già attesi invano.
“Ci sono diversi colleghi della cardiologia, tre della medicina e uno della radiologia che ogni giorno prendono quel treno” racconta Francesca Renon, medico in cardiologia all’ospedale di Ivrea e pendolare. “Ieri, al lavoro, è andata bene, per una serie di coincidenze, ma in tante giornate i ritardi compromettono l’intero programma delle visite. L’impressione è che questi disservizi siano sempre più frequenti.”
E non è tutto. Sempre il 12 giugno è stato cancellato anche il treno 2716 delle 8:41 da Ivrea a Torino. Chi doveva rientrare a lavoro nel capoluogo è stato costretto a prendere un treno locale per Novara, nella speranza di aggirare la disfunzione.
La sera, infine, il 2737 era “corto”. Meno carrozze, zero sedili, tante bestemmie. E nonostante la fine dell’anno scolastico abbia ridotto il flusso degli studenti, le carrozze erano stipate. Treni pollaio. Treni-lotteria. Treni che umiliano.
“La sera ci sono solo due treni: uno alle 16:40 e uno alle 18:40. Ma non bastano. Servirebbe una corsa intermedia, intorno alle 17:40, che darebbe respiro ai pendolari del rientro e migliorerebbe l’organizzazione del personale sanitario” denuncia ancora Renon, che non è l’unica a chiedere maggiore attenzione per chi garantisce servizi fondamentali.
La salute non può aspettare, come pure la giustizia. Dall’ospedale al tribunale. A Ivrea, giovedì, sono saltate delle udienze. Il personale giudiziario non è riuscito ad arrivare in tempo.
“Non possiamo lamentarci che nessuno partecipa ai concorsi pubblici per posti disponibili a Ivrea se manca la precondizione: un collegamento ferroviario degno di questo nome” denuncia per la centesima volta il consigliere regionale Alberto Avetta del Pd, che rilancia.
“Invito il governatore Cirio e l’assessore Gabusi a prendere un treno con me. Vediamo quanto ci mettono ad arrendersi.”
L’interrogazione urgente è già pronta. Ma le interrogazioni non bastano più. “La situazione è insostenibile. Serve un collegamento metropolitano. Serve continuità, frequenza, affidabilità. Serve rispetto per chi lavora e tiene in piedi il Canavese ogni giorno” – continua Avetta – “Medici, giudici, pendolari non possono essere lasciati soli. Non possiamo permetterci di perderli solo perché non arriva un treno.”
E se a Torino si discute, a Ivrea si propone. Il consigliere comunale Massimiliano De Stefano è netto.
“È ora di agire - commenta - Non possiamo più rimanere spettatori passivi. Chiedo al sindaco Matteo Chiantore di organizzare un sit-in in stazione, coinvolgendo tutta la popolazione. Basta silenzi, basta attese. Facciamoci sentire. Organizziamo una raccolta firme. Un’iniziativa collettiva per dire che Ivrea non è un binario morto.”
La realtà è questa: chi lavora a Ivrea, ma vive a Torino – e sono tanti – non ha garanzie. Treni soppressi, ritardi cronici, informazioni scarse. E nessuno che paghi per questo. I pendolari sono stanchi, e ora anche arrabbiati. Lo sono i cittadini, lo sono i professionisti della salute, lo sono gli operatori della giustizia.
E se nessuno li ascolta, è giusto che si facciano sentire. Anche a colpi di fischietti, striscioni e proteste.
Sulla linea ferroviaria Ivrea-Torino non cambia mai nulla. Anzi, sì: ogni mese peggiora. E la Regione Piemonte che fa? Resta a guardare. Sempre più indifferente. Sempre più complice. Sempre più inutile.
A denunciare questa situazione ormai fuori controllo è da anni il consigliere regionale del Partito Democratico Alberto Avetta. Appena qualche giorno fa ha presentato un’interrogazione urgente documentando con precisione disarmante giorni, numeri di treno, ritardi e disagi. Non opinioni, ma fatti. Non lamentele, ma una cronaca nuda e cruda del disastro quotidiano che da mesi — anzi, da anni — si consuma sulla tratta Aosta–Ivrea–Torino.
Non è solo una questione di treni corti. Non è solo una questione di ritardi. È diventata una questione di dignità violata. La linea è il simbolo di un sistema che non funziona, sotto gli occhi impassibili dell’assessore ai Trasporti Marco Gabusi, che da tempo ha scelto di non scegliere: non difende i pendolari, non punisce Trenitalia, non risolve. Asseconda.
E così il 22 maggio il 2714 è “corto” e pure in ritardo. Come il 2737 lo stesso giorno. E come il 2714 e il 2737 il giorno prima. Il 20 ancora il 2714. Il 14 maggio entrambi con 30 minuti di ritardo. Il 13 maggio solo uno, ma basta e avanza. Il 16 aprile? Gente a terra a Chivasso, treno “corto”. E poi 3, 2, 1 aprile. 20 e 19 marzo. Il bollettino è lungo. Sfiancante. Umiliante.
La colpa? Diffusa, ma precisa. Trenitalia sbaglia. Ma la Regione tace. E dunque acconsente. E mentre i treni della Valle d’Aosta, acquistati a tre carrozze e non potenziabili, vengono fatti circolare anche sulla parte piemontese della linea, nessuno a Torino si pone il problema: “È giusto? È sostenibile?” No. Ma si fa lo stesso. Perché tanto, chi viaggia, può anche soffrire.
Il contratto di servizio — lo strumento con cui la Regione dovrebbe far rispettare regole e standard — è carta straccia. Ci sarebbero penali. Ci sarebbero clausole. Ma non si applicano mai. Al massimo si “monitorano i flussi”, si “interlocuisce con il gestore”, si “valutano margini di intervento”. Intanto, la gente resta in piedi. O a terra.
Silenziosa la Regione, taciturno il Comune, non abbastanza "arrabbiati" gli industriali. Nessuno batte i pugni sul tavolo. Nessuno urla. Nessuno pretende. E così l’indifferenza diventa abitudine. Il degrado, sistema.
Poi è arrivato il 3 giugno. La risposta. Finalmente. Di Marco Gabusi. In Aula, l’assessore è salito in piedi per dire ciò che tutti temevano: niente. O quasi. Ha minimizzato, parlando di “alcuni episodi di disservizio”, portando in Aula statistiche di puntualità complessive, come se la media matematica potesse nascondere il disastro quotidiano delle ore di punta, quando i disagi esplodono e quando la gente ha bisogno che il treno ci sia, e arrivi in orario.
Una risposta che indigna.
“Da anni i pendolari denunciano disagi e da anni li portiamo in Aula - ha poi commentato il consigliere regionale Alberto Avetta - Ma nulla è cambiato. E non è solo un problema degli utenti. È un problema di territorio, di competitività, di attrattività. La Giunta Cirio parla sempre di rilancio del Canavese, ma intanto sono gli stessi imprenditori a dire che un trasporto pubblico inefficiente è un freno allo sviluppo. Le aziende non trovano personale disposto a spostarsi, se il treno è un incubo quotidiano.”
Avetta ha poi definito i bimodali “inadeguati”, sottolineando che “spesso i passeggeri vengono abbandonati in stazione a Chivasso”.
A sorpresa in Aula è saltata fuori una novità: Trenitalia avrebbe proposto di usare carrozze piemontesi su servizi valdostani, misura che appare sensata ma che non verrà applicata nell’immediato “per ragioni tecniche”.
“Ma quali ragioni tecniche?”, ha chiosato il consigliere. “Il presidente Cirio governa il Piemonte da sei anni. Le promesse vanno bene in campagna elettorale. Poi bisogna mantenerle. Oggi è il tempo delle scelte. La Giunta Cirio deve decidere: sta dalla parte di Trenitalia o degli studenti, dei lavoratori e degli imprenditori eporediesi?”
E mentre Avetta parlava, nessuno rispondeva davvero. Gabusi aveva già preso i fogli, li aveva rimessi nella cartelletta. Tutto normale. Tutto archiviato. Fino al prossimo disastro. Fino al prossimo 2714 “corto”. Fino alla prossima giornata in piedi. O in attesa. O in silenzio.
Insomma, in Piemonte tutti parlano di mobilità sostenibile, di diritto al viaggio, di transizione ecologica. Poi arriva il treno, e di sostenibile c’è solo la rassegnazione. Tutto il resto è vagone.
Commenti all'articolo
Sovietico Eporediese
13 Giugno 2025 - 21:43
Oltre ai tagli alla Sanità Pubblica che è il cavallo di battaglia del partito del Policlinico di Monza e cliniche allegate, i tagli al trasporto pubblico decennale sempre a firma del partito di Cirio, a Cirio forse non sta simpatico l'eporediese/Canavese dato pure la farsa del Ponte Preti.
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