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Ombre su Torino

Spara al suo migliore amico per 200 milioni. Poi va in pizzeria con gli amici

Da giovane promettente a assassino in fuga: l’8 gennaio 1988 il presidente della Pro Loco di Volvera uccide il suo mentore in collina a Torino e tenta di dimenticare tutto con una pizza

La folle ambizione di Luigino Cairola
Come un lampo nella notte.
C’è un uomo che corre, gambe in spalla, cercando di mettere più strada possibile, il più in fretta che può, tra sé e il disastro che ha appena combinato.
Sa di essere stato visto, di non avere possibilità di scampo ma, nonostante tutto, nonostante voglia arrendersi, nonostante non possa fare altro che arrendersi, salta su una BMW serie 3 e sgommando lascia alle sue spalle le meravigliose villette immerse nel verde di viale Enrico Thovez 35, in collina a Torino.
Non sa bene né che fare né dove andare e, incredibilmente, nella sua testa l’unico pensiero è quello di tentare di dimenticare quanto appena accaduto: non è stato lui, è stato qualcun altro. È per questo che, sfrecciando sull’autostrada manco fosse in pista, prima raggiunge i genitori nel loro cascinale a Bruino e poi, come se nulla fosse, chiama alcuni suoi amici e se ne vanno tutti insieme in una pizzeria del paesino dove abita, Volvera.
Finito di mangiare, l’uomo saluta i suoi commensali e se ne va di filato al comune della sua città. La sala consiliare è piena e l’assemblea è animata perché si sta organizzando la locale parata di carnevale. Al nostro fuggitivo, per altro, la cosa interessa anche direttamente poiché è il presidente dell’associazione Volvera Insieme, ma, quella sera, non riesce a prendere parola.
Passa qualche minuto dal suo arrivo quando, tra le decine di voci che si accavallano nella stanza, si sentono le sirene della polizia.
Due agenti bloccano l’ingresso e un altro paio di si dirigono dritti verso il nostro uomo che, senza fare la minima resistenza, si fa arrestare e li segue.
Il protagonista di questa storia si chiama Luigi Cairola, ha 33 anni e gli mettono le manette ai polsi intorno alle 21,40 dell’8 gennaio 1988.
Scapolo, dopo essersi diplomato al liceo linguistico a Rivoli, parte militare e poi inizia a lavorare nell’azienda agricola dei genitori. Dopo un po’, però, la vita agreste evidentemente lo stanca e, verso la fine degli anni ’70, vince un concorso da vigile urbano. Questo mestiere lo appassiona particolarmente ed è amatissimo dai suoi concittadini ma, di nuovo, anche stavolta forse non è abbastanza.
Nel 1984, allora, apre un’agenzia di assicurazioni a Volvera nella quale, tra una polizza e l’altra, si diletta come finanziere, investendo i danari di diversi risparmiatori in operazioni a reddito fisso e in alcuni fondi. Arriva ad avere centinaia di clienti e a manovrare cifre a nove zeri ma ancora non gli basta. Diventa presidente di Volvera Insieme, della locale podistica e animatore di tantissime attività in città, tra cui Il palio dei borghi, la più importante festa comunale.
Ostenta una BMW 320 dotata di radiotelefono (oggetto preziosissimo ai tempi) e progetta di entrare in politica: una vita in rampa di lancio.
Qualcosa, però, inizia ad andare storto.
C’è il caso, per esempio, di Francesco Morena. 40 anni, brigadiere della municipale ed ex collega di Cairola, si suicida. Non lascia biglietti ma i testimoni dei suoi ultimi giorni di vita lo hanno sentito maledire alternativamente la ex moglie che lo aveva lasciato e proprio il fu vigile poiché, a detta sua, lo avrebbe raggirato con le sue operazioni in borsa.
Sbucano poi fuori otto persone che lo denunciano per truffa: Cairola li avrebbe convinti a comprare dei titoli al portatore dando a garanzia una fotocopia di una ricevuta della sua finanziaria e, una volta effettuato l’acquisto, avrebbe rivenduto i titoli pagando di tasca sua gli interessi.
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E poi c’è “zio Bob”.
Dietro al nomignolo che gli ha dato il protagonista di questa vicenda, si cela un personaggio conosciutissimo e molto importante a Volvera e dintorni. È il migliore amico dell’assicuratore e anzi “Luigino” lo considera un parente, uno zio. Si chiama Roberto Caffaratti.
66 anni all’epoca dei fatti, è da poco andato in pensione dopo una vita come titolare di una farmacia nel paese, in via Ponsanti 2, ad appena un isolato dall’agenzia di Cairola. Oltre a questo, tra il 1972 e il 1980, è stato per due volte sindaco da indipendente ritirandosi a vita privata nel 1987.
Una volta mollati lavoro e politica, complici anche due fastidiosi interventi chirurgici, decide che è arrivato il momento di cambiare aria e si trasferisce con la moglie, Laura Negri, in una bellissima villetta immersa nella collina di Torino.
In viale Enrico Thovez 35.
8 gennaio 1988, ore 19,30.
Cairola arriva a casa Caffaratti. Saluta i coniugi che però sembrano distaccati, freddi, quasi infastiditi dalla sua presenza. Mentre la signora Laura va in cucina a preparare la cena, Luigino e Bob si chiudono nello studio di quest’ultimo. Il loro incontro dura pochissimo. Iniziano a vociare animatamente e poi, all’improvviso, il boato di un colpo di pistola riempie l’aria. Un proiettile, uno solo, dritto al cuore: l’ex vigile urbano ha appena ucciso il suo migliore amico.
Non pago, uscito dalla stanza, si trova davanti la Negri e le spara per tre volte. In questo caso è meno preciso ma non meno letale: la donna rimarrà semiparalizzata per il resto della sua vita.
Arrestato, come detto, la sera stessa, Cairola confessa quasi subito. Il giorno dopo, su La Stampa Sera, si scopre anche il movente. Nella stessa pagina in cui il presidente del Milan Berlusconi promette 200 milioni di lire di premio alla sua squadra nel caso avesse battuto la Juventus, è un identico quantitativo di denaro ad essere stato fatale a Caffaratti. Quest’ultimo, infatti, lo aveva prestato al finanziere nella primavera del 1987 con la promessa di ricevere indietro i soldi a fine anno, insieme a un interesse di 13 milioni.
Quella sera Cairola va dal suo creditore, di cui per altro gestiva altri 700 milioni in investimenti, per farsi accordare una proroga. Gli racconta che ha prestato quella cifra a un amico per aprire un bar, che è questi ad essere scappato col malloppo, che non è colpa sua. Caffaratti probabilmente gli richiede un interesse più alto o minaccia di denunciarlo e l’altro, come se nulla fosse, caccia fuori una Steyr calibro 9 (un’arma di addirittura 70 anni prima, usata durante la Prima guerra mondiale) e lo manda al creatore.
Nel 1991, dopo un travagliatissimo iter processuale, Luigi Cairola viene condannato definitivamente all’ergastolo.
La fine della corsa di un uomo in cui spregiudicatezza, ambizione e spietatezza hanno viaggiato parallele per tutta la vita. Fino ad incontrarsi una terribile sera in collina a Torino.
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