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Qualcosa di sinistra

Astensione o partecipazione? Il senso (smarrito) del voto

Dalla classificazione degli elettori che disertano le urne alla scelta simbolica di Meloni: riflessioni su un diritto sempre più trascurato, tra Costituente, Corte costituzionale e precarietà globale

Astensione o partecipazione? Il senso (smarrito) del voto

Astensione o partecipazione? Il senso (smarrito) del voto

«Nel corso degli ultimi anni si registra un costante declino della partecipazione elettorale: alle prime elezioni repubblicane per la Camera dei deputati partecipò oltre il 92 per cento degli aventi diritto, alle elezioni europee del 2019 meno del 55 per cento». Questo l’incipit con il quale, nell’aprile del 2022, sul sito della Camera dei deputati si annunciava la relazione dal titolo «Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto».

voto

Che cosa ne sia stato dello studio non è dato sapere, certo che scorrerlo sarebbe, proprio oggi, di grande utilità. Ad esempio, la ricerca suddivide gli astensionisti in tre categorie: alienati, indifferenti, involontari. Se i primi manifestano un atteggiamento di «critica radicale, insoddisfazione, sfiducia» e il loro comportamento è di «astensione continua», pure gli indifferenti, che manifestano «distacco e disinteresse», si astengono in modo continuativo e sono disinformati. Infine gli astensionisti involontari, lo sono per «impedimenti personali», e la loro astensione è «intermittente».

In questi ultimi giorni si è molto detto sul diritto/dovere di voto, scomodando il dibattito alla Costituente e il compromesso raggiunto, condensato nella formula di «dovere civico» voluta da Meuccio Ruini, presidente della Commissione dei 75, ma non solo.

In proposito, nel 2005, la Corte costituzionale ebbe a sottolineare che «l’astensione nel voto è diversa dalla mancata partecipazione al voto» (le parole hanno un peso) e che «il non partecipare alla votazione costituisce una forma di esercizio del diritto di voto significante solo sul piano socio-politico». Quest’ultimo è proprio il significato della scelta della presidente Meloni: recarsi alle urne e non ritirare la scheda è significante solo sul piano politico e non della dottrina.

Ecco: nel dire un sì o un no al quesito referendario siamo stati chiamati a esprimerci in merito, non sull’opportunità di compiacere o di ostacolare questo o quello. Illuminante in proposito è l’articolo della ex ministra Elsa Fornero: «le riforme degli ultimi due decenni non hanno certo adeguatamente prodotto i risultati sperati», ma la «precarietà attuale non è frutto di quelle norme» bensì «dei cambiamenti dovuti alla globalizzazione».

Questi referendum hanno chiesto di esprimerci su norme che, per un ventennio, hanno dominato il mercato del lavoro, accendendo i riflettori sulle condizioni contrattuali e di sicurezza dei lavoratori.

Se vi sia stato calcolo politico nella scelta dei promotori dei referendum, se diversi tra gli esponenti politici, per sottrarsi ad una ponderata valutazione degli effetti delle leggi esistenti in materia di mercato del lavoro (delle quali, in qualche caso sono stati consapevoli artefici) hanno balbettato dei distinguo; se, infine, autorevoli esponenti del governo ci hanno invitato a disinteressarci del voto per questioni di bottega, poco importa.

Noi siamo stati chiamati a esprimerci nel merito e, questo, solo avrebbe dovuto contare.

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