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Quando Ivrea insegnava l’informatica al Giappone. In nome di Osnaghi

Il 29 maggio 2025, presso la Sala Confindustria di Ivrea, si è tenuto un evento di eccezionale intensità storica e tecnica

Quando Ivrea insegnava l’informatica al Giappone. In nome di Osnaghi

Castelli, Mazza, Marra, Lomas, Scuderi, Monti

Il 29 maggio 2025, presso la Sala Confindustria di Ivrea, si è tenuto un evento di eccezionale intensità storica e tecnica: “Gli anni straordinari dell’Informatica Olivetti (1970 - 1990) – Omaggio a Sandro Osnaghi”. Organizzato dalle Spille d’Oro Olivetti, il convegno ha avuto come obiettivo quello di ridare luce a un ventennio di innovazione informatica che ha visto Ivrea e l’Olivetti al centro del progresso mondiale. E lo ha fatto rendendo omaggio a uno dei suoi protagonisti più incisivi: Sandro Osnaghi.

Una narrazione corale, lucida e affascinante, capace di restituire un'immagine nitida di ciò che fu davvero l’Olivetti degli anni Ottanta: non solo macchine da scrivere e fascino umanistico, ma un’avanguardia tecnologica senza pari, capace di precorrere i tempi in un contesto internazionale estremamente competitivo. A distanza di decenni, sono gli stessi attori di quella stagione a raccontarla: ingegneri, ricercatori, informatici, pionieri del software e dell’hardware, testimoni diretti del “decennio glorioso ma dimenticato”.

Frascari, Serughetti, Monti, Castelli, Scuderi, Casaglia, Marra, Lomas, Baruzzi

Frascari, Serughetti, Monti, Castelli, Scuderi, Casaglia, Marra, Lomas, Baruzzi

Franco Marra ha aperto il convegno con una panoramica appassionata e documentata sulla situazione tecnologica tra gli anni Sessanta e Ottanta, ponendo le basi per comprendere la portata rivoluzionaria dei progetti Olivetti. È stato lui a ricordare come già nel 1969, mentre nascevano le reti Ethernet e si trasmetteva il primo messaggio su Internet, Olivetti muoveva i primi passi per superare le sue stesse soluzioni obsolete. “Il sistema TC800 e il suo sistema operativo COSMOS” – spiega – “furono una svolta epocale: anticipavano i concetti di LAN, multitasking e gestione delle risorse in tempo reale, ben prima che diventassero uno standard”.

Ma è con John Lomas che si è davvero entrati nel cuore dell’omaggio a Sandro Osnaghi. La sua presentazione è stata un viaggio nel decennio 1974-1984, quando l’ideazione e lo sviluppo del sistema operativo MOS proiettarono Olivetti ai vertici della tecnologia mondiale. “In quegli anni, mentre UNIX prendeva piede negli ambienti accademici, noi a Cupertino con Osnaghi puntavamo già oltre”, racconta Lomas, evidenziando l’architettura distribuita del file system, la natura real-time e l’uso del linguaggio Pascal+ con i monitor di Hoare: scelte radicali che avrebbero trovato spazio altrove solo molto dopo.

Riccardo Mazza, Franco Marra, Tonina Scuderi, John Lomas

Riccardo Mazza, Franco Marra, Tonina Scuderi, John Lomas

Gianluigi Castelli, coinvolto già dal 1979 nella progettazione dei compilatori, raccontò un’altra faccia dell’innovazione: quella della lotta quotidiana contro i limiti tecnici, con imprese che oggi sembrano leggendarie. Tra tutte, il “Progetto Frankenstein”: la creazione di un compilatore FORTRAN 77 per la Linea 1 MOS realizzato in soli quattro mesi, fondendo il front-end F77 dei Bell Labs con un generatore di codice PCC per Z8000, senza documentazione e con il solo ausilio della determinazione e del talento di un piccolo gruppo di ingegneri.

Enrico Frascari ha invece aperto una finestra sul futuro: l’Intelligenza Artificiale. Già nel 1984, con l’AI Centerdiviso tra Ivrea e Cupertino, Olivetti collaborava con Stanford, SRI, Caltech e con aziende come Xerox PARC e Digitalk. Venivano sviluppati sistemi esperti per la diagnostica e l’analisi del credito. Si usava Smalltalk, il linguaggio che avrebbe ispirato Java e Python, e si lavorava su Lisp Machine e PC M28. “Nel 1987, Olivetti fu protagonista della più importante conferenza mondiale sull’AI, l’IJCAI di Milano. Eravamo all’avanguardia”.

Flavio Serughetti, con una relazione tecnica e narrativa, ha catapultato il pubblico al centro della Software Factory Olivetti: un sistema produttivo integrato, distribuito tra Italia, California e Giappone, che – già nei primi anni ’80 – impiegava reti di calcolatori collegati da Ivrea a Cupertino via linea dedicata voce/dati, in un embrione di Internet ante-litteram. Tutto su UNIX e BSD, con compilatori, file transfer, mailing system, database Ingres, VAX 780 e PDP11. “Un sistema che metteva in rete 2000 utenti, dai firmware agli sviluppatori hardware. Nessuno in Europa aveva qualcosa di simile”.

Il momento più atteso, e anche il più sorprendente, è arrivato però con il racconto di Tonina Scuderi del Progetto Nokyo a cui partecipò anche Cesare Monti (presente al convegno) che con Scuderi gestì tutta questa operazione e poi si fermò per 17 anni in Giappone come capo marketing.  

Beh, qui, si è davvero percepito il senso più profondo del convegno: non solo memoria, ma riscatto di un’eccellenza mondiale dimenticata.

A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, il Giappone era la Mecca della tecnologia, con giganti come NEC, Fujitsu e Toshiba dominanti. Eppure, in quel panorama blindato, l’unico outsider occidentale a sopravvivere – e a vincere – fu Olivetti. La sua consociata OCJ, che forniva terminali intelligenti alle agenzie agricole Nokyo, stava perdendo terreno quando il governo giapponese decise di sostenere con miliardi di yen la localizzazione linguistica dei sistemi informatici (l’uso dei 40.000 kanji). “Fu allora – racconta Scuderi – che Osnaghi e il suo team riuscirono in un’impresa considerata impossibile: rendere il MOS capace di gestire l’interazione in lingua giapponese”. Una mossa che salvò l’intera operazione in Asia e che portò a un’adozione anticipata del MOS nel 1983, prima ancora del rilascio ufficiale della Linea 1

Un’altra vicenda straordinaria è stata quella illustrata da Vincenzo Baruzzi, che ha ripercorso le tappe dell’adozione del MOS da parte di Bank Leumi in Israele e della successiva espansione nei Paesi Bassi con ABN-RABO. La banca israeliana cercava una soluzione autonoma, scalabile e meno costosa dei terminali IBM collegati ai mainframe. “Olivetti – ha spiegato Baruzzi – propose una soluzione client-server con Ethernet e transazioni in COBOL, ben prima che questi standard si affermassero nel mercato”. Il sistema si dimostrò così robusto ed evoluto che, anche dopo la fusione tra ABN e AMRO nel 1994, la soluzione Olivetti risultò superiore a quella IBM, nonostante la fine della produzione del MOS.

Infine, Gianfranco Casaglia ha tracciato l’arco evolutivo dell’intera offerta Olivetti, dagli anni Settanta ai Novanta. Dalla A7 al TC800, dai sistemi BCS alla Linea 1, fino alla fusione con AT&T, all’introduzione di Unix, ai server multiprocessore LSX5000 e al passaggio – strategicamente rischioso – verso la telefonia mobile. Un quadro che mostra, nella sua interezza, la grandezza e l’audacia di un’impresa che ha provato a tenere insieme hardware, software e visione.

Durante il convegno si è più volte ricordata Clara Mancinelli, braccio destra di Osnaghi, fondamentale nella implementazione del TC800 e di MOS.
"Non ho mai conosciuto nessuno - confessa oggi John Lomas - che sapesse capire il codice come lei. Sembrava che parlasse con il computer. Dico questo io che ho conosciuto bene anche Bill Joy (cofondatore di Sun Microsystems nel 1982 e uno degli autori del linguaggio di programmazione Java, ndr). Lui è considerato il più grande programmatore unix della storia, Clara ce la ricordiamo noi. Se Sandro era il re, Clara era la regina...".
E, solo per la cronaca, Clara, è una persona molto schiva e non ama che si parli di lei, ... ma noi siamo disobbedienti!

In sala, oltre agli addetti ai lavori e agli ex colleghi di Sandro Osnaghi, anche molti cittadini di Ivrea e del Canavese. E proprio a loro si è rivolto l’appello finale del convegno: “Ai figli e nipoti di questa terra, che forse non sanno quanto la loro città abbia significato per il mondo, ricordiamo che l’Olivetti degli anni ’80 era sinonimo di eccellenza globale. Non solo nelle idee, ma nei fatti”.

Perché sì, è vero: Olivetti è stata anche poesia industriale, comunità, cultura. Ma è stata – ed è giusto dirlo con fierezza – una delle aziende tecnologicamente più avanzate del pianeta.

Clara Mancinelli

Clara Mancinelli

Quelle voci che non si spengono

Ci sono giorni in cui il passato torna a bussare. Non per chiedere spazio, ma per illuminare il presente. A Ivrea, il 29 maggio, è accaduto qualcosa che va oltre un convegno, oltre una commemorazione. È accaduto che un gruppo di uomini — non più giovani, ma non per questo meno vivi — si è seduto davanti a una platea per raccontare, con lucidità e passione, una storia che nessuno dovrebbe permettersi di dimenticare.

Hanno raccontato gli anni straordinari dell’informatica Olivetti. Ma non lo hanno fatto come ex dipendenti, né come ex dirigenti. Lo hanno fatto come testimoni. Testimoni di un tempo in cui l’Italia stava in prima fila nella rivoluzione digitale globale. Un tempo in cui Ivrea dialogava con Cupertino, in cui si scriveva codice che avrebbe cambiato il modo di pensare i sistemi operativi, il lavoro in rete, l’interoperabilità tra macchine e persone.

A guidarli, allora come oggi nel ricordo, c’era Sandro Osnaghi. Di lui hanno parlato tutti. Non con la retorica delle celebrazioni, ma con l’affetto e la stima che si riserva a un padre professionale, a un pensatore rigoroso, a un uomo che sapeva tenere insieme visione e metodo. Non era un uomo da palcoscenici, Osnaghi. Preferiva il codice alla ribalta, l’architettura alla diplomazia. Ma tutti sapevano che senza di lui, MOS non sarebbe mai nato, la Software Factory non sarebbe mai esistita, e forse nemmeno quel ponte straordinario tra Ivrea, Israele, Giappone e California.

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Ed è così che Franco Marra, con voce calma e precisa, ha tracciato il contesto storico e tecnico in cui tutto cominciò. Ha parlato del TC800, del COSMOS, delle prime intuizioni su un’architettura che anticipava le LAN quando ancora nessuno usava quel termine. Ha ricordato gli anni in cui IBM era il riferimento assoluto, e Olivetti cercava — e riusciva — a fare diversamente.

Poi è stato il turno di John Lomas, e nel suo intervento si è sentito qualcosa che va oltre la cronaca: una fierezza profonda, mista a gratitudine. Lomas ha parlato della nascita del MOS, del laboratorio di Cupertino, dei giorni in cui si disegnava il futuro scegliendo un Pascal esteso, un file system distribuito, una logica real-time in tempi in cui il termine stesso era sconosciuto ai più.

Gianluigi Castelli ha raccontato l’impossibile: un compilatore FORTRAN 77 costruito in quattro mesi, riassemblando pezzi di codice presi qua e là, fondendoli con ingegno e incoscienza creativa. Lo chiamarono il “Progetto Frankenstein”, ma quello che traspariva nel suo racconto era l’entusiasmo di chi lavorava con urgenza, con passione, con un senso di sfida quasi adolescenziale.

Enrico Frascari, dal canto suo, ha ricordato l’altra frontiera: l’intelligenza artificiale. In un tempo in cui nessuno, o quasi, osava pronunciare quella parola, Olivetti ci credeva. Collaborava con Stanford, con SRI, con Caltech. E sviluppava sistemi esperti per le banche, per le decisioni, per la comprensione del linguaggio. Parlava di Smalltalk quando ancora Java non esisteva. E lo faceva con i mezzi di allora, ma con uno spirito che oggi suona più che mai contemporaneo.

Flavio Serughetti ha disegnato la mappa della Software Factory: un ambiente produttivo distribuito tra Ivrea, la California, e perfino il Giappone, con 2000 utenti collegati in rete negli anni Ottanta, su VAX e PDP, con Unix BSD, database Ingres, mailing system. Un embrione di Internet aziendale ante litteram. Un ecosistema avanzatissimo, che nessuno in Europa aveva mai visto.

Poi è arrivato il momento forse più emozionante. Quando Tonina Scuderi ha parlato del Progetto Nokyo, e della lotta per salvare la posizione di Olivetti in Giappone. Una sfida che sembrava persa in partenza: 40 mila kanji da integrare, un mercato chiuso, un governo che finanziava i campioni nazionali. Ma Osnaghi non si tirò indietro. E ce la fecero. Il MOS giapponesizzato arrivò prima della Linea 1 ufficiale, e salvò la consociata OCJ. Anche in questo, Osnaghi fu testardo e visionario insieme.

Vincenzo Baruzzi, con la calma di chi ha visto tutto da dentro, ha raccontato la conquista di Bank Leumi in Israele e la successiva diffusione nei Paesi Bassi. Anche lì, la tecnologia Olivetti arrivava prima del mercato. Anche lì, MOS si rivelava molto più che un sistema operativo: era un’idea di infrastruttura. Di affidabilità. Di futuro distribuito.

Gianfranco Casaglia ha chiuso il cerchio, raccontando l’evoluzione dei sistemi Olivetti fino agli anni Novanta. Fino alla difficile stagione delle scelte strategiche, delle alleanze, della transizione verso la telefonia. Ma anche lì, ha ricordato, c’era ancora lo spirito degli anni gloriosi: quello che credeva nella connessione tra ingegneria e umanità.

A Ivrea, in quella sala gremita, non c’erano solo slide e nomi in agenda. C’erano vite che si riaccendevano. C’era la consapevolezza che la memoria non è nostalgia, è costruzione di senso. C’era il bisogno — urgente, quasi commosso — di dire: noi c’eravamo. E quello che abbiamo fatto contava.

Oggi che tutto sembra liquido, smaterializzato, volatile, quelle voci — ferme, precise, animate — ci restituiscono una lezione che vale più di mille piani industriali: che l’innovazione vera nasce dove ci sono competenze, fiducia, collaborazione. E una visione che sa guardare oltre il trimestrale.

Sono passati quarant’anni. Eppure quelle voci, oggi, brillano ancora.

Perché il futuro, quello vero, è sempre costruito da chi ci crede davvero. E loro, quegli uomini dell’Olivetti, ci avevano creduto fino in fondo.

Sandro Osnaghi

Sandro Osnaghi 2014

Sandro Osnaghi, il visionario che vide il futuro da Ivrea a Cupertino

Dietro ogni grande rivoluzione silenziosa, c’è spesso una figura che lavora lontano dai riflettori, preferendo la sostanza alla scena, la visione alla ribalta. Sandro Osnaghi è stato una di queste figure. E se oggi si parla, finalmente, degli “anni straordinari dell’informatica Olivetti”, è anche per rendere giustizia a un uomo che ha inciso profondamente nella storia dell’innovazione, senza mai mettersi al centro della scena.

Ingegnere, architetto di sistemi, pioniere delle architetture aperte, Osnaghi entra in Olivetti nel 1974 e in breve ne diventa Director of Software Development nella Divisione Computer Products, nel cuore di Ivrea. Ma è negli Stati Uniti, dove guida il dipartimento dei sistemi operativi all’Advanced Technology Center di Cupertino, che Osnaghi diventa qualcosa di più di un dirigente tecnico: diventa una testa pensante globale, capace di dialogare con Stanford, UCLA, e con i grandi centri che in quegli anni stavano plasmando l’era digitale.

Non gli interessava rincorrere le mode. Osnaghi puntava dritto all’essenza: costruire sistemi robusti, scalabili, realmente al servizio delle persone. Fu per questo che, quando altri si chiudevano in soluzioni proprietarie, lui scommise su interoperabilità e standard aperti. Nel 1985 fu tra i membri fondatori di X/Open, consorzio internazionale che prefigurava il mondo del software libero ben prima che diventasse mainstream.

La sua figura aleggia in molti dei racconti ascoltati al convegno del 29 maggio a Ivrea: ogni volta che si parla di MOS, della Software Factory, del Giappone, di Bank Leumi, di quel laboratorio a cielo aperto che fu l’Olivetti ATC di Cupertino. Osnaghi era il filo che teneva insieme talento, metodo e visione. Un direttore d’orchestra tecnico, che sapeva ascoltare, decidere, innovare.

Celebre – e quasi leggendario – è rimasto l’incontro con un giovanissimo Bill Gates, che si presentò a Ivrea con una proposta commerciale per MS-DOS. Olivetti, allora guidata da altri indirizzi strategici, decise di non investire. Osnaghi ascoltò, valutò, e continuò sulla sua strada. Non era un uomo da rimpianti. L’informatica, per lui, non era conquista di mercato, ma progetto di futuro. Uno strumento di civiltà, non solo di profitto.

Questa visione lo accompagnò anche oltre gli anni Olivetti, quando si dedicò a progetti di digitalizzazione della pubblica amministrazione. Fu tra i promotori dello SPC – Sistema Pubblico di Connettività, e non esitò a criticarlo, anni dopo, quando ne vide i limiti evolutivi. Perché Osnaghi aveva il coraggio di dire che non basta digitalizzare, serve farlo bene, serve farlo pensando in avanti.

Schivo, riservato, lucidissimo, amava la concretezza del codice più delle narrazioni retoriche. Chi lo ha conosciuto parla di un maestro esigente ma generoso, di un uomo che insegnava per coerenza, non per autorità. “L’ingegnere che sussurrava a Bill Gates”, scrisse L’Unità nel 2003. Un’immagine perfetta per raccontare la sua forza silenziosa.

A Ivrea la sua presenza si sente ovunque: nelle parole dei colleghi, nelle architetture di sistema raccontate, nei ricordi condivisi con precisione affettuosa. Non come un’ombra, ma come un riferimento. Un uomo che ha fatto da ponte tra mondi, che ha lasciato un’eredità fatta di idee, metodi e futuro.

Perché senza Sandro Osnaghi, molti dei successi che oggi si ricordano non sarebbero mai esistiti. E oggi, più che mai, si comprende quanto fosse giusto – e doveroso – rimettere il suo nome al centro della narrazione.

Sandro Osnaghi si è spento a Milano il 9 febbraio 2025, all’età di 84 anni. Ma il suo codice continua a girare. E la sua visione, ancora oggi, ci insegna a guardare avanti.

Castelli, Scuderi, Casaglia, Marra

Castelli, Scuderi, Casaglia, Marra

gruppo, con le 3 figlie di Osnaghi davanti

Il gruppo, con le 3 figlie di Osnaghi davanti

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