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Lo stiletto di Clio

Quei giorni di polvere e sudore: l’estate nelle cascine di una volta

Rituali di un'estate di campagna: dal taglio dell'erba alla trebbiatura, la vita rurale tra fatica, festa e innovazione meccanica

Il taglio del fieno nei prati della casciona Rattera di Settimo Torinese

Il taglio del fieno nei prati della casciona Rattera di Settimo Torinese

Si avvicina l’estate e, con l’estate, il tempo dei grandi lavori agricoli. Da par suo, nel famoso romanzo «Anna Karenina» (1875-1877), Lev Tolstoj accenna al taglio dell’erba: si sentiva «solo lo stridere delle falci» e si vedeva «il semicerchio curvo del terreno falciato, le erbe e le corolle dei fiori che si chinavano lente e a onda intorno alla lama della falce».

In campagna, quando ancora non esistevano le moderne macchine agricole, l’estate era il periodo dei lavori più faticosi che si protraevano a lungo, impegnando un numero elevato di persone. Tra la fine di giugno e i primi giorni di luglio, in particolare, i contadini erano occupati a mietere e trebbiare il grano. Si trattava di un’autentica festa di suoni e colori che coinvolgeva tutta la gente delle cascine.

La trebbiatura del grano nella cascina Isola, fra Settimo Torinese e Brandizzo

 La trebbiatura del grano nella cascina Isola, fra Settimo Torinese e Brandizzo

Al lavoro con i correggiati

Al lavoro con i correggiati

A una scena senza eguali nel corso dell’anno si assisteva quando il frumento era stato accovonato. Le donne e i bambini sciamavano a frotte sui campi di grano per raccogliere le spighe avanzate. Il frutto della spigolatura rappresentava una preziosa risorsa per moltissime famiglie non abbienti, in epoche di povertà diffusa e di obbligate parsimonie. Durante le due guerre mondiali, in tempo di gravose restrizioni alimentari e di tessere annonarie, i campi alla periferia degli abitati erano letteralmente invasi da nugoli di gente che spigolava.

Dall’alba al tramonto, nei giorni della trebbiatura, regnava una grande animazione. In cascina nessuno restava inattivo. Gli uomini erano alle prese coi covoni di grano. Le donne, spazzata accuratamente l’aia per la battitura, preparavano cibi sostanziosi e succulenti (fra cui l’immancabile bollito), affettavano salami e formaggi, facevano la spola con bottiglie e bicchieri fra la cucina e il cortile. I ragazzini correvano schiamazzando su e giù, attingevano acqua fresca al pozzo e scioglievano i covoni dai legacci. Gli anziani badavano alle bestie nella stalla. I canti con cui i trebbiatori scandivano il ritmo si perdevano in lontananza nella campagna assolata. Tutti sapevano che in cascina si trebbiava. Spesso i vicini accorrevano a dare una mano.

La trebbiatura aveva luogo sulle aie, utilizzando il correggiato, un rustico attrezzo costituito da due bastoni di lunghezza leggermente diversa, uniti a un’estremità mediante una striscia di cuoio o una robusta corda. Il trebbiatore impugnava il bastone più lungo (il cosiddetto manfanile) e lo muoveva con forza dall’alto in basso: il legno più corto percuoteva le spighe disposte a terra in strati uniformi. Per non intralciarsi a vicenda occorreva che gli operai mantenessero un ritmo regolare, specie se erano in molti a muoversi su e giù per l’aia attorno alle spighe. Sono scene ormai dimenticate che emergono dalla memoria dei contadini più anziani.

In alcune cascine, al posto dei correggiati, si preferiva usare il trebbio o «rubat», uno speciale rullo che veniva passato e ripassato sulle spighe. I trebbi di maggiori dimensioni erano mossi dagli animali da tiro, opportunamente muniti di museruola perché non mangiassero i chicchi; gli altri venivano spinti oppure trascinati da uno o due uomini. In tempi non troppo remoti, qualche agricoltore si serviva di piccole trebbiatrici a manovella, le quali richiedevano comunque una notevole forza fisica per essere azionate.

Allo scopo di togliere di mezzo la paglia dopo la battitura si usavano forconi in legno e rastrelli. I chicchi mescolati alla pula venivano ammucchiati in disparte mediante scope di saggina. Prima del tramonto i lavoranti procedevano alla vagliatura dei chicchi, impiegando il ventilabro di biblica memoria, cioè una capiente pala di legno con la quale lanciavano il cereale in aria. La pula volava lontano, trasportata dalla brezza serale, mentre i chicchi assai più leggeri si accumulavano a terra. Alla fine della giornata, uomini e donne erano stremati dalla fatica.

L’introduzione delle grosse trebbiatrici meccaniche alleviò le fatiche dei contadini. Le prime macchine liberavano i chicchi delle spighe, ma non li separavano dalla paglia e dalle altre impurità. Tuttavia, rispetto ai sistemi tradizionali, i vantaggi erano notevoli. Di norma il movimento veniva generato da una trattrice a vapore; la trasmissione del moto ai vari organi della macchina si effettuava mediante pulegge e cinghie piatte.

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