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Punto Rosso
02 Giugno 2025 - 09:29
Gaza, la politica si sveglia. Ma il conto è già troppo alto
“Le amministrazioni locali, che rappresentano tutte le componenti delle loro comunità, hanno un forte ruolo amministrativo da svolgere ma anche il dovere di coinvolgere i cittadini e il loro senso civico, offrendo occasioni di dialogo e confronto. (…) questi tempi difficili richiedono a ciascuno di noi, nei nostri diversi ruoli, di non cedere mai all’indifferenza perché tacere significa accettare.” È un passaggio dall’intervento del sindaco di Ivrea Matteo Chiantore alla manifestazione del 24 maggio per Gaza. Parole altamente condivisibili. La guida politica di una città deve avere tra le sue aspirazioni la crescita della propria comunità sia in senso materiale, perseguire il ben-essere, migliorare le condizioni di vita, sia etico, stimolando la discussione e l’intervento sui temi civili e le grandi questioni nazionali e internazionali.
È stata importante, dunque, la presenza dei sindaci e delle sindache del Canavese alla manifestazione del 24 maggio insieme a duemila persone per chiedere che cessi il massacro a Gaza. Una presenza non scontata, perché solo un mese prima, il 25 aprile a Lace, alcuni di questi sindaci avevano invece “perso l’orientamento”: di fronte all’esigenza di unire ricordo e insegnamenti della Resistenza con le resistenze di oggi, han provato fastidio e hanno abbandonato il campo. Ma li abbiamo ritrovati: un segno e un senso positivo.
Quella presenza è frutto di un cambio di atteggiamento nelle ultime settimane in tutta Italia (e nel mondo). Oggi non si contano le dichiarazioni trasversali (quasi) e le manifestazioni di condanna ad Israele per il massacro continuo di civili inermi a Gaza. Certo anche c’è della strategia politica, dell’opportunismo, il timore di perdere consensi, mancano le scuse e le azioni concrete conseguenti, ma oggi ogni parola per Gaza e la Palestina deve essere accolta, con consapevolezza di quanto sia fragile. Rimane certo la rabbia per questa reazione colpevolmente in ritardo. La classe politica ha dovuto aspettare più di 60 mila morti (alcune fonti parlano di 80 mila, difficile fare i conti, quando si han davanti corpi smebrati, cadaveri sotto le macerie). Tra questi, secondo l’Unicef, sarebbero più di 50mila i bambini uccisi o feriti. E si muore di stenti, dissanguati, mutilati, in mezzo alla strada. Il ritardo di reazione quando si parla di genocidio è colpa grave.
Ricordo con amarezza quando alla fine del 2023 chi di noi parlava di genocidio veniva tacciato, la parola era tabu, e gli espertoni si sperticavano a sciorinare l’etimologia e il significato proprio della parola genocidio per convincerci che tecnicamente non lo fosse. Ma non ci servivano i codici per capire, così abbiamo continuato a ripeterla quella parola, fino a quando anche i più riottosi sono riusciti a pronunciarla.
Sulle responsabilità però le parole non sono ancora chiare. È tutta colpa di Hamas? Colpa di un “movimento terrorista” che è anti-israele a prescindere? O forse possiamo dire che Hamas non sarebbe esistito e il “7 ottobre” non sarebbe una data da ricordare se lo Stato di Israele non trattasse da 77 anni i palestinesi come esseri inferiori, disumani, da umiliare, torturare, imprigionare senza processo, polvere da spazzare via? Da che mondo è mondo i popoli oppressi si ribellano. Lo hanno fatto anche gli italiani.
Chiediamoci se la Resistenza armata partigiana sarebbe esistita senza il nazi-fascismo o ne è stata conseguenza.
Erano terroristi i nostri Partigiani e le nostre Partigiane? Sono terroristi i resistenti palestinesi? (tutti i palestinesi per il governo israeliano)
Secondo il diritto internazionale difendersi, individualmente o collettivamente, da attacchi che minacciano la propria indipendenza o territorio e l’autodeterminazione di un popolo è un diritto, la guerra, dopo la seconda mondiale, non è più accettata per risolvere le controversie tra stati, ma la resistenza in quelle condizioni sì.
Questo non vuol dire legittimare la violenza gratuita, no di certo, ma vuol dire contestualizzare, parlare con cognizione di causa, nel diritto e nella storia.
Eppure, c’è chi finge di non vedere la realtà anche se molto tangibile: le immagini, i video, di quel che accade a Gaza sono tanti e disponibili a tutti. Non si può tenere lo sguardo fisso su quelle immagini per l’orrore che suscitano, solo una pietra può rimanere impassibile.
Eppure, c’è chi, come Fratelli d’Italia, da Ivrea a Roma, non riesce proprio a parlare di genocidio e accusa con leggerezza di antisemitismo chiunque si pronunci contro lo Stato di Israele, e quindi è tutt’al più antisionista (ma loro sanno bene la differenza). Lunedì 26 maggio i consiglieri eporediesi di FdI han presentato in consiglio comunale una mozione dal titolo “Dal pacifismo alla caccia all’uomo” dove accusano di antisemitismo i pacifisti e gli attivisti per la Palestina eporediesi (sic). Mentre nemmeno una parola sono riusciti a dedicare alle vittime della ferocia dell’esercito israeliano (armato anche con armi italiane che il governo meloniano vuol continuare a scambiare con l’occupante non interrompendo il memorandum d’intesa militare con quello stato).
E c’è chi, come il referente della comunità ebraica eporediese si pronuncia a mezzo stampa per stigmatizzare qualche slogan della manifestazione del 24 maggio e attacca l’Anpi, e i sindaci. E nulla dice, nemmeno un sospiro, per le migliaia di vittime innocenti palestinesi massacrate dall’esercito dello Stato di Israele. Nemmeno una invocazione, “fermatevi”, “non in nostro nome”. Nemmeno l’umana pietà.
Eppure, fra chi oggi difende i palestinesi (chi scrive fra questi) ci sono anche gli eredi, reali o politici, dei comunisti che lottarono contro il nazi-fascismo che compì genocidio contro gli ebrei, mentre tra chi difende Israele c’è chi è erede politico di chi stava dalla parte opposta.
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