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01 Giugno 2025 - 01:05
L'assessore regionale Federico Riboldi
C’è chi festeggia con i numeri e chi i numeri li subisce. C’è chi comunica, per iscritto, toni entusiasti e orgogliosi, e chi invece li legge seduto in sala d’attesa da mesi. Il comunicato stampa diffuso dalla Regione Piemonte e firmato dal presidente Alberto Cirio e dall’assessore alla Sanità Federico Riboldi annuncia con enfasi il superamento dell’obiettivo delle 50 mila prestazioni sanitarie extra-orario, raggiunto – si sottolinea – “con un mese di anticipo”, e addirittura oltrepassato, fino a quota 65.146. Un dato che, stando alle parole dello stesso Riboldi, sarebbe “un risultato straordinario, certificato dall’apprezzamento dei pazienti e portato come esempio a livello nazionale”.
Ma mentre a Torino si stende l’ennesima autocertificazione di eccellenza, nei territori si lotta con un’altra realtà, che emerge con la forza dei dati ufficiali. Proprio quelli elaborati dall’Asl To4 a maggio 2025, che rivelano tempi di attesa da record – negativi – per molte delle visite ed esami più richiesti.
Partiamo dalla prima visita cardiologica con ECG, prestazione che può letteralmente fare la differenza tra la prevenzione e il disastro. A Chivasso, il tempo di attesa è di 280 giorni. A Settimo Torinese si scende (si fa per dire) a 269, mentre a San Mauro siamo a 260. Male anche Ivrea, con 141 giorni, mentre a Cirié si registra il dato più “veloce”: 59 giorni. Si tratta della stessa Asl in cui l’assessore Riboldi rivendica l’efficienza del sistema, parlando di “azioni strutturate nel tempo”. Ma se strutturale dev’essere l’attesa, forse si sta davvero esagerando.
Non si tratta di casi isolati. L’elenco delle prestazioni con tempi d’attesa insostenibili è lungo, e parla da sé. Un’ecografia dell’addome completo, ad esempio – esame di routine ma essenziale per individuare patologie epatiche, pancreatiche o renali – richiede 550 giorni di attesa a Chivasso. Un anno e mezzo. Ma anche Ivrea (225 giorni), Castellamonte (226), Caluso (263) e Cirié (263) non scherzano.
La risonanza magnetica della colonna vertebrale? A Ivrea, che risulta essere uno dei centri “più attivi”, ci vogliono 207 giorni, lo stesso a Chivasso. Anche in questo caso i numeri di Cirié sono meno gravi, ma non per questo soddisfacenti. Per la mammografia bilaterale – esame salvavita nella prevenzione oncologica – servono 367 giorni a Chivasso, 260 a Ivrea, 263 a Cirié. Sono numeri da zona rossa sanitaria.
La situazione è tragica anche per le prime visite ortopediche: 337 giorni a Caluso, 374 a Caselle, 323 a Cirié, 276 a Settimo, 267 a Rivarolo, 284 a Castellamonte, 215 a Ivrea. Un anno per sapere come trattare un’ernia, un problema di anca o una spalla bloccata. Una condanna per chi convive con il dolore.
Le visite fisiatriche seguono lo stesso copione. A Caselle si segnano 374 giorni, a Caluso 337, a Castellamonte 337, a Lanzo 375. Prestazioni considerate “di recupero funzionale”, ma che col tempo diventano “di rassegnazione cronica”.
E se vi state chiedendo quanto si aspetti per una colonscopia, sappiate che a Chivasso il tempo segnalato è di 574 giorni. Sì, più di un anno e mezzo per un esame fondamentale per la diagnosi precoce dei tumori al colon-retto. Altrove va un po’ meglio, ma spesso i tempi sono ancora superiori all’anno, o nemmeno rilevabili perché la prestazione è “non disponibile”.
Di fronte a tutto questo, l’entusiasmo istituzionale appare fuori luogo.
“Siamo soddisfatti - dicono in coro, come Cip e Ciop, Alberto Cirio e Federico Riboldi - della risposta da parte delle Aziende sanitarie, degli oltre 5.000 professionisti e operatori del comparto sanitario che hanno dato la loro disponibilità e dei cittadini che hanno apprezzato la novità”.
E ancora: “La struttura dell’assessorato lavora ogni giorno… con il monitoraggio dei dati in tempo reale”.
Peccato che a giudicare dai dati di maggio dell'Asl To4, i cittadini più che apprezzare la novità, probabilmente la stanno ancora aspettando. E quanto al monitoraggio in tempo reale, la sensazione è che ci si sia dimenticati di accendere i monitor.
Ma quanti di questi 65 mila “interventi extra-orario” hanno riguardato davvero le prestazioni più critiche?
A leggere i numeri reali, forniti in allegato allo stesso comunicato, si scopre che nell’Asl To4 le prestazioni aggiuntive realizzate sono state 4.269.
E dentro queste: 399 prime visite cardiologiche, 434 urologiche, 374 ortopediche, 324 ecografie tiroidee, 606 ecografie addominali. Numeri che, per carità, testimoniano uno sforzo, ma non intaccano davvero un sistema in profonda sofferenza.
Perché la verità è che i medici hanno lavorato di sera, nei weekend, spesso in condizioni logistiche complesse, con pochi strumenti e molta buona volontà. Ma il piano delle prestazioni straordinarie non è strutturale, non risolve.
È un pannicello caldo, una toppa rattoppata sopra a una voragine.
Eppure Riboldi chiude così il suo comunicato: “Questi sono fatti concreti, apprezzati a tutti i livelli: il resto sono polemiche inutili e propaganda”.
Tradotto: chi denuncia i dati ufficiali è un polemico, chi racconta la realtà – riportando tabelle firmate Asl To4 – fa propaganda.
Ma se c’è una propaganda, è forse proprio quella che esulta mentre migliaia di cittadini sono congelati in attesa, da mesi, da anni. Cittadini che non possono permettersi il privato, che rinunciano alle cure, che vivono nell’ansia dell’incertezza, che si sentono abbandonati.
Ecco perché il comunicato stampa di Riboldi, più che un’analisi, sembra una scrollata di spalle. Si celebra una vittoria parziale come fosse la fine della guerra. Si cita la premier Meloni e il ministro Schillaci come sponsor istituzionali del “modello Piemonte”. Ma se davvero questo è un modello, la domanda è: un modello per chi?
Insomma, a leggere bene i dati e a viverli sulla propria pelle, l’unico “miracolo” sanitario piemontese è quello della pazienza infinita dei suoi cittadini. Che nonostante tutto aspettano, si affidano, e resistono. Fino a quando?
C’è chi festeggia con i numeri e chi i numeri li subisce. C’è chi aspetta una visita medica da nove mesi e chi, invece, riesce a partorire un comunicato stampa in meno di un’ora. Un parto semplice, indolore, privo di referti, esami e cartelle cliniche, ma zeppo di trionfalismi istituzionali, aggettivi e punti esclamativi.
Parliamo del capolavoro letterario firmato da Federico Riboldi, assessore regionale alla Sanità del Piemonte, e dal sempreverde Alberto Cirio, presidente entusiasta di ogni cosa, anche del nulla. Un testo memorabile in cui si esulta per aver superato il tetto delle 50 mila prestazioni sanitarie extra-orario, “con un mese di anticipo”, arrivando – rullo di tamburi – a 65.146.
Il messaggio è chiaro: il Piemonte è una specie di Svizzera con la Mole, un modello nazionale da studiare a Oxford e imitare a Berlino. E i pazienti? “Hanno apprezzato”, dicono. Già. Hanno apprezzato talmente tanto che, per sicurezza, qualcuno è passato direttamente al privato. Altri invece restano in attesa – ma con riconoscenza.
Perché, diciamolo, qui siamo oltre la propaganda. Siamo alla santificazione dell’ovvio, alla glorificazione dell’eccezione elevata a sistema. I turni serali dei medici diventano un miracolo, le prestazioni nei weekend un dono divino. Si racconta la sanità piemontese come se fosse la Apple: innovazione, efficienza, soddisfazione del cliente. Solo che il cliente, in questo caso, aspetta. E spesso peggiora.
Il trucco è semplice: si mostra il dito, ma si nasconde la luna. Si esalta il “di più” – quelle prestazioni straordinarie strappate con i denti e il sacrificio del personale – ma si tace sul “di meno”, cioè la quotidiana impossibilità di accedere a un diritto costituzionale. L’eccezione diventa la regola. L’ordinario scompare.
E così, mentre alcuni medici si spaccano la schiena per fare il doppio dei turni (e tanti altri continuano a fare visite private dalle 14 di tutti i pomeriggi della settimana, svuotano gli ospedali e se ne fottono) in un sistema già logoro, la Regione sventola comunicati come fossero medaglie. Il tutto, ovviamente, condito da sigle misteriose – control room, RUAS, osservatori nazionali – che servono solo a una cosa: coprire l’assenza di una riforma seria e strutturale.
Si rincorrono le toppe come fossero soluzioni definitive e nel frattempo, chi ha bisogno di una colonscopia aspetta più di un anno e mezzo. Ma guai a dirlo: “Il resto sono polemiche inutili e propaganda”, recita la chiusura del comunicato.
In questa narrazione allucinata, il problema non sono le liste d’attesa, ma chi osa leggerle. Non sono le migliaia di persone che rinunciano a curarsi, ma quei pochi rompiscatole che chiedono conto delle priorità. Non è l’agonia dei reparti, ma il tono scomodo di qualche giornalista. Il disastro? Secondo loro è “percezione”. La realtà? Un fastidio da spazzare sotto il tappeto.
E allora avanti, si continui pure così. Con i selfie, i sorrisi e la retorica da libro Cuore. Con i numeri sbandierati, le frasi fatte, le pacche sulle spalle. Con i ringraziamenti ai professionisti della sanità. Tutto molto bello, tutto molto lineare. Peccato che manchi solo una cosa: la verità.
Perché una Regione che si autodefinisce modello, mentre migliaia di cittadini non riescono neanche a prenotare una risonanza, non ha bisogno di fondi. Ha bisogno di uno specchio.
E magari, già che ci siamo, anche di un po’ di vaselina. Perché a furia di infilare questi comunicati trionfali nel fondoschiena degli utenti, qualcuno comincia a sentire bruciore. Altro che “apprezzamento dei pazienti”.
QUI I TEMPI DI ATTESA A MAGGIO NELL'ASL TO4 CLICCA
Commenti all'articolo
Sovietico Eporediese
01 Giugno 2025 - 11:00
"godere" sui risultati sanitari quando la realtà è ben diversa e gli ospedali Piemontesi sono in gravi condizioni e mancanza di personale e reparti interi non presenti in tutti gli ospedali.. forse sono più interessati alla sanità privata del tipo il gruppo del Policlinico di Monza e cliniche allegate in Piemonte? Assumere personale e fare ospedali nuovi e completi.
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