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Lo Stiletto di Clio

Mi hanno fatto cavaliere!

Da Pinocchio al titolo di cavaliere: un viaggio tra ironia e onorificenze nell'Italia di oggi

Mi hanno fatto cavaliere!

Mi hanno fatto cavaliere!», esclama Bruto Tanaglia, un modesto produttore di tessuti in quel di Borgunto, «sotto-prefettura rurale e capoluogo di circondario». «Ci vuol pazienza, caro mio!», gli suggerisce un suo buon amico, il quale immediatamente aggiunge: «È una disgrazia che può toccare a tutti. Non siamo sicuri neanche a letto». «Bisogna rassegnarsi a bevere l’amaro calice fino in fondo», ribatte Tanaglia.

Ho tratto questo spassoso dialogo da un bel racconto umoristico intitolato «Un cavaliere del secolo XIX», di cui è autore il toscano Carlo Lorenzini (1826-1890), alias Carlo Collodi, il padre di Pinocchio, il più celebre burattino di tutti i tempi. Il testo fa parte della raccolta «Occhi e nasi» che apparve nel lontano 1881 e fu nuovamente edita, in una versione rielaborata, tre anni più tardi. Tutto ruota attorno all’antinomia – più apparente che reale, purtroppo – fra l’ambizione e la modestia, la riservatezza e la vanagloria. In modo brillante e ironico, Collodi scava fra le incoerenze, le debolezze e le contraddizioni della società postrisorgimentale, diversa – ma non troppo, per molti aspetti – da quella odierna.

Per giungere al punto, tralasciando i riferimenti letterari, il presidente Sergio Mattarella ha ritenuto di nominarmi cavaliere al merito della Repubblica italiana. Suppongo per ragioni attinenti al campo della cultura e del volontariato. Lunedì 2 giugno, nella Scuola ufficiali dell’Esercito italiano di Torino, il prefetto Donato Cafagna mi consegnerà il relativo diploma. Non è mia abitudine sollecitare onorificenze, ma non nego di essermi sentito lusingato e un pochino commosso per il gratificante riconoscimento pubblico. Tanto più che il titolo viene attributo, a differenza del passato, dopo attente e rigorose valutazioni allo scopo di salvaguardare il prestigio degli ordini cavallereschi repubblicani. Ringrazio, pertanto, il presidente Mattarella e chi ha ritenuto opportuno segnalarmi per l’onorificenza.

Dunque, sono Cavaliere.

Tornando a Carlo Collodi, Bruto Tanaglia si reca dal parrucchiere per una spuntatina ai capelli, in realtà per il piacere di sentirsi chiamare cavaliere dai garzoni di bottega e per diffondere la notizia della nominaperché, come si sa, i barbieri sono incorreggibili linguacciuti. Quello stesso giorno, Bruto tornerà sei volte a farsi accomodare la chioma.

Commenta Collodi: «Il parrucchiere, sebbene invecchiato nella professione, non aveva mai veduto il caso di una capigliatura che avesse bisogno di essere tagliata ogni tre quarti d’ora: per cui non sapendosi spiegare questo fenomeno, finì col credere che la croce di cavaliere, fra le altre belle cose, fosse anche un cosmetico prodigioso per far crescere i capelli».

Ebbene sì, confesso che anch’io ho fatto una capatina dal barbiere.

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