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30 Maggio 2025 - 22:41
Il sindaco di Torino Stefano Lo Russo
«Urbanizzazione strisciante», «grave compromissione del paesaggio», «assenza totale di atti deliberativi». Non sono invenzioni di qualche comitato arrabbiato. Sono le parole – precise, circostanziate, pesanti come macigni – che Pro Natura Torino ha scritto nero su bianco e inviato a tutti: al sindaco Stefano Lo Russo, alla sua Giunta, ai consiglieri comunali, alla Circoscrizione 8, alla stampa. A firmarle è Emilio Soave, referente per l’urbanistica dell’associazione. E chi ha il coraggio di leggere queste righe senza fingere di non capire, sa bene che siamo di fronte a un disastro urbanistico consumato nel silenzio e nell’inerzia delle istituzioni.
Torino, maggio 2025. Mentre si riempiono i convegni e le pagine dei comunicati con parole come “sostenibilità”, “transizione ecologica” e “consumo di suolo zero”, in riva al Po, zona Fioccardo, si compie l’ennesimo scempio. Un territorio che il Piano Regolatore destina chiaramente a Parco Fluviale – un tratto delicato, inserito in area esondabile, sottoposto a vincolo paesaggistico – è stato trasformato, pezzo dopo pezzo, in un complesso sportivo privato di lusso, dove regna sovrano il padel.
Ma attenzione: non si tratta di strutture stagionali smontabili, come quelle che una volta ospitavano i campi da tennis. No, qui c’è ben altro. Qui ci sono quattro campi da padel coperti da teloni metallizzati, una megastruttura di 1.200 metri quadri che ospita altri sei campi permanenti, cabine per impianti tecnologici, spogliatoi, parcheggi, palazzine in muratura, bar “su ruote”, aree recintate e recinzioni di ogni tipo. Il tutto a pochi metri dalla riva del fiume, in un contesto naturale che avrebbe dovuto essere tutelato e valorizzato. Invece è stato sacrificato sull’altare del business, con la benedizione – o peggio, con l’omertà – dell’amministrazione comunale.
Pro Natura denuncia, senza mezzi termini, che dal 2013 a oggi nessun atto deliberativo complessivo è mai stato approvato dal Comune di Torino. Nessun progetto d’insieme, nessuno studio paesaggistico, nessuna valutazione ambientale. Tutto è andato avanti per spezzoni, con autorizzazioni frammentate, sparse, scollegate. È il classico trucco: spezzare un progetto in tanti piccoli interventi per aggirare le verifiche complessive, evitare il dibattito pubblico, nascondere il disegno generale. Un disegno che è chiarissimo: trasformare una zona verde, pubblica e delicata, in un’area commerciale sportiva privata.
E il Comune?
Il Comune non ha visto, non ha sentito, non ha parlato. Dal sindaco Lo Russo in giù, il silenzio è stato l’unico vero protagonista di questa vicenda. E quando finalmente qualcuno – nel maggio 2025 – si è degnato di presentarsi in Commissione Circoscrizionale per provare a mettere una pezza, è arrivata la farsa finale: una società, la Framar, ha presentato una proposta di “rigenerazione urbana”. Ma rigenerare cosa, esattamente? Rigenerare una struttura già costruita, una cementificazione già avvenuta, un progetto già realizzato senza trasparenza? È una presa in giro. È come costruire un palazzo abusivo e poi chiedere l’autorizzazione retroattiva dicendo che è per il bene della città.
Non bastasse l’arroganza del metodo, c’è la beffa del contenuto: nel tentativo maldestro di nobilitare il disastro, la proposta include un’area cani, qualche gioco per bambini, un truck bar, e la promessa di “convenzioni” per far finta che il tutto sia anche a beneficio della collettività.
«Non si tratta certo di area degradata o in abbandono da rigenerare», ribadisce Soave, ricordando che qui c’era già un tracciato verde, una funzione pubblica, una storia di partecipazione. Ma qualcuno ha deciso che era meglio vendere il Po ai padelisti benestanti, piuttosto che costruire un parco accessibile a tutti.
È doveroso chiedersi: dove sono finite le dichiarazioni dell’amministrazione sul “consumo di suolo zero”?
Dove sono i paroloni sulle “città verdi”, le “aree permeabili”, il “patto con la natura”?
Dove sono i vincoli del DM del 23/02/1951, che tutela tutta la sponda destra del Po nel tratto cittadino? Dove sono le Commissioni competenti – Paesaggio, Aree Verdi, Soprintendenza – che avrebbero dovuto valutare, vigilare, autorizzare?
Tutto sparito. Tutto ignorato. Tutto aggirato. Perché quando si tratta di soldi, metri quadri, affari e padel, le regole diventano un optional.
E qui il problema non è solo urbanistico. È politico. È morale. È istituzionale. È una questione di responsabilità. La lettera di Pro Natura pone domande precise, urgenti, pubbliche. E la prima, la più inquietante, è una sola: perché il sindaco Lo Russo non ha mai risposto?
Lo avevano già avvisato, con una lettera datata 23 aprile 2025. Nessuna risposta. Nessun cenno. Nessuna assunzione di responsabilità. Solo un silenzio imbarazzato, o forse compiaciuto. Perché se anche il Comune non ha firmato autorizzazioni dirette, ha permesso che tutto accadesse, non ha fermato nulla, non ha preteso chiarezza, non ha protetto il paesaggio, il verde, il fiume.
E allora diciamolo chiaramente: questa non è distrazione. È complicità. Il Comune di Torino, con la sua inerzia, ha lasciato che un bene pubblico diventasse un parco giochi privato per pochi, tradendo cittadini, associazioni, impegni politici. Ha lasciato che il padel cementificasse il Po, senza un progetto, senza un dibattito, senza una visione.
Il caso Fioccardo non è un errore. È un simbolo. È la prova che sotto la retorica della sostenibilità, Torino continua a vendere il suo territorio al miglior offerente, fregandosene dei vincoli, dei regolamenti, delle promesse.
E allora l’unica vera domanda da fare al sindaco Lo Russo è questa: fino a quando crederà di poter governare senza rispondere a nessuno?
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