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28 Maggio 2025 - 22:52
L'assessora Gabriella Colosso
È apparso come una sentenza definitiva, appeso alla sbarra d’ingresso: “Io non posso entrare”, firmato simbolicamente da un cane stilizzato, barrato con decisione. Succede al cimitero di Ivrea, dove una semplice stampa A4 comunica l’esclusione di chi – da anni, da una vita – cammina al fianco delle nostre fragilità.
Non l’avessero mai fatto: in redazione sono già arrivate decine di telefonate, mail, messaggi. Tutti con lo stesso tono: indignazione, incredulità, rabbia.
Parla il cane. Ma è come se parlasse chi lo ama.
Perché dietro quella frase, che pare voler insegnare educazione e rispetto, si cela qualcosa di più profondo. Un errore culturale. Una disattenzione verso la realtà di tante persone, anziani soli o giovani famiglie, per cui l’animale domestico non è un lusso da lasciare a casa, ma un compagno di vita, di lutto, di silenzio. E se si è, soli, senza nessuno che possa “tenerlo”? Che si fa?
Chi vive in simbiosi con il proprio cane, chi ha scelto di affrontare il dolore di una perdita con quel muso accanto, oggi è costretto a decidere: entrare nel cimitero o restare fuori con il cane?
Oppure – per assurdo – lasciarlo in macchina, come fosse un oggetto. E se fuori ci sono 30 gradi?
Per non parlare delle persone non vedenti. Quelle sì, tutelate dalla legge. Eppure anche per loro, nessun cartello “esclusivo” sembra ricordarlo.
La giustificazione, si dice, sarebbe legata ad alcune deiezioni canine rinvenute tra i vialetti. E dunque via tutti i cani, senza appello. Puniti non i padroni maleducati, ma gli animali. Perchè la civiltà si difende così, con il divieto, indistinto, assoluto. Puniamo l'intera specie per colpa di pochi incivili.
Eppure se si va a leggere il Regolamento di Polizia Mortuaria del Comune di Ivrea, all’articolo 126 si legge testualmente: “Nel cimitero si entra normalmente a piedi. È vietato l’ingresso alle persone accompagnate da cani o altri animali.”
E sottolineiamo: “alle persone accompagnate”. Il che, in italiano corrente, vuol dire che il cane da solo può entrare. Il cane sì, l’umano no. Tradotto: lasciate il guinzaglio, mandate il cane a fare visita alla nonna, ma voi restate fuori. Assurdo? Forse. Ma formalmente corretto, in base al testo.
Ora: può una frase così, tanto vaga quanto ambigua, giustificare la rigidità di un divieto tanto assoluto? Può un regolamento scritto male diventare una condanna definitiva per chi ha fatto del proprio animale un compagno di cammino, anche nei momenti di dolore più profondo?
Non esiste una circolare, né un’ordinanza - comunque non ne siamo a conoscenza noi - che aggiorni questo divieto alla realtà delle cose. Non c’è traccia di una riflessione pubblica, di un dibattito con i cittadini. Solo un foglio appeso alla sbarra, come a dire: “non disturbate, non complicate le cose, non portatevi dietro il vostro affetto a quattro zampe.”
Eppure la civiltà si misura anche da come trattiamo i vivi nei luoghi dei morti. E chi ama un cane, spesso lo considera parte della famiglia, come un figlio. Esagerazione? Per qualcuno sì. Ma non per tutti.
Insomma, nel silenzio di un cimitero, ora c’è anche questo: la voce muta di chi non può entrare. E non perché abbaia, ma perché qualcuno ha deciso che la soluzione più facile è sempre un divieto.
Ci piacerebbe sapere se anche all’assessora Gabriella Colosso (che ha la delega agli animali) sono arrivate le stesse telefonate. E soprattutto: intende fare qualcosa, oppure si ritiene soddisfatta così?
C’è un limite tra la gestione ordinata degli spazi pubblici e la cieca applicazione di un divieto che esclude in modo indiscriminato chi accompagna un cane, senza alcuna distinzione tra chi rispetta le regole e chi no. Senza una riflessione, senza una discussione, senza un gesto di comprensione verso chi con quel cane condivide dolore, memoria, solitudine.
Un foglio stampato al computer non può sostituire il buon senso. Non può sostituire una norma chiara. E non può certo stabilire da solo cosa sia civile e cosa no.
Se il problema è chi sporca, si punisca chi sporca. Se il problema è l’abbaiare, si valuti caso per caso. Ma sbarrare la strada a chi cammina in silenzio accanto a un cane significa smettere di vedere le persone. E questo, in un luogo dedicato alla memoria, è il paradosso più triste.
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