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A Torino si muore di tasse: parte la purga contro i negozianti

Il Comune va a caccia di 24 milioni mai incassati dal 2005: 259 attività rischiano la licenza. Nessuna pietà per chi è in difficoltà, mentre la città si svuota e chiude

A Torino si muore di tasse: parte la purga contro i negozianti

Mentre Torino arranca, si svuota, si sfalda. Mentre il centro storico perde attrattività, i quartieri si impoveriscono e la rete commerciale si assottiglia ogni mese che passa, a Palazzo Civico si festeggia un’idea geniale: punire chi non riesce a pagare. E poco importa se sono passati diciotto anni dal primo mancato versamento. Poco importa se i protagonisti di questa nuova caccia al tesoro sono proprio quei commercianti che – tra crisi economiche, pandemia, inflazione e rincari – hanno fatto i salti mortali per sopravvivere.

Stefano Lo Russo e la sua giunta hanno deciso che la priorità, oggi, è recuperare 24 milioni di euro di IMU e TARI mai incassati dal 2005 a oggi. Una misura tardiva, certo. Ma guai a chiamarla così: il Comune la chiama “lotta alla concorrenza sleale”, come se i piccoli negozianti del centro fossero furbetti e approfittatori. Come se ogni mancato pagamento fosse frutto di dolo e non, più banalmente, di un sistema che ha lasciato interi comparti economici a sprofondare nell’abbandono.

Così, con grande enfasi, si parte con la stretta: 259 attività commerciali e produttive sono nel mirino perché hanno accumulato debiti superiori a 50 mila euro. Loro, e solo loro per ora, riceveranno un avviso. Se entro 120 giorni non avranno definito un piano di rientro con Soris, la società in house per la riscossione dei tributi, perderanno la licenza. Chiudere o pagare. Nessuna alternativa. Nessuna attenuante. Nessuna pietà.

Il meccanismo prevede rateizzazione fino a sei anni, 72 mesi, che possono diventare anche uno stillicidio per chi già arranca a far quadrare i conti ogni mese. Perché va bene la teoria del “pagare tutti per pagare meno”, ma qui siamo di fronte a una gigantesca operazione di maquillage contabile, buona per dimostrare che il Comune “fa qualcosa” per il bilancio, ma totalmente scollegata dalla realtà vissuta da chi quel bilancio, a fatica, prova ancora a sostenerlo aprendo bottega ogni mattina.

I numeri, se letti con attenzione, non giustificano l’entusiasmo. Dei 4.391 commercianti morosi, solo una piccola parte rientra nella fascia dei “grandi debitori”. Gli altri – quasi 3.850 – hanno debiti che vanno dai mille ai trentamila euro. Una situazione diffusa, cronica, che andava affrontata con politiche di sostegno, rientro graduale, rinegoziazioni, ascolto. E invece no: si parte col bastone. Si parte dalla repressione. Si parte dalle revoche.

Intanto la città soffre. Il commercio al dettaglio è in agonia, i negozi sfitti aumentano, e il cuore pulsante di Torino – la Circoscrizione 1, quella del centro – è proprio l’area in cui si concentra la maggior parte dei morosi. Segno che il problema non è la malafede, ma l’impossibilità strutturale di far fronte a tasse pensate per un mondo che non esiste più.

Ma Lo Russo, evidentemente, vive in un’altra Torino. Una Torino fatta di grafici, delibere e progetti mai realizzati. Una città ideale in cui il Sindaco si preoccupa del bilancio come un ragioniere dello Stato, dimenticandosi che fuori da Palazzo Civico ci sono persone in carne e ossa, imprese in bilico, vite che si consumano dietro una vetrina vuota.

Non una parola, in questa manovra, su chi ha già chiuso. Non un’analisi su cosa abbia portato centinaia di commercianti a smettere di pagare. Non uno straccio di autocritica su come il Comune abbia potuto tollerare – per anni, decenni – l’accumularsi di questi debiti. E adesso, all’improvviso, la grande idea: revochiamo le licenze. Come se fosse questo il problema.

Come se a Torino mancasse la repressione, e non invece un progetto, una visione, un piano di rilancio vero per i negozi di prossimità. Come se bastasse recuperare 24 milioni di euro – che, ricordiamolo, sono una minima parte del disavanzo complessivo – per risolvere una crisi profonda che affonda le radici in anni di disattenzione politica.

E non è finita qui. Altri 21 milioni di euro di IMU e TARI sarebbero da recuperare da soggetti senza licenza commerciale. Nessuno sa chi siano, dove siano, cosa facciano. Ma ci sono. E verranno. Intanto si parte dai 259 “grandi debitori”, perché servono numeri e titoloni. Serve dimostrare che il Comune è forte con i deboli, dopo aver mostrato tutta la sua debolezza con i forti.

Insomma, la Torino di Lo Russo stringe il cappio a chi fatica a respirare, mentre continua a ignorare le ragioni profonde di una città che si sta svuotando. E lo fa con il tono compiaciuto di chi crede di aver trovato la soluzione, mentre in realtà rischia di spegnere le ultime luci rimaste accese.

il sindaco

Il Grande Inquisitore

A Torino, l’aria è cambiata. Lo ha detto l’assessora al Bilancio con la solennità di chi annuncia l’arrivo della primavera dopo vent’anni di inverno fiscale. L’aria è cambiata, sì, peccato che sia diventata irrespirabile.

Il Comune ha deciso di mettersi a fare sul serio: dopo due decenni di distrazione selettiva e riscossione da divano, ora si sveglia e scopre che ci sono commercianti che non pagano IMU e TARI. Ma va? Che sorpresa! Dunque, avanti con le fiamme purificatrici della legalità. Parte la Santa Inquisizione Tributaria. Caccia al moroso. Licenza o penitenza.

Si comincia dai 259 cattivoni con più di 50mila euro di debito, e poi chissà. Magari domani toccherà a chi ha un’insolvenza da mille euro. Si sa, l’ordine pubblico va difeso, soprattutto da chi ha una vetrina.

Il sindaco Lo Russo, che nella Torino vera non mette piede dal giuramento, ha capito tutto: meglio fare il rigorista con chi non ha più nulla da perdere, piuttosto che cercare di capire perché questa città si svuota come un uovo dopo Pasqua. Del resto, prendere a calci un negoziante sul lastrico non comporta il rischio che ti quereli, ti faccia una controproposta o – orrore – ti chieda una politica urbana.

E pazienza se molti di quei debiti risalgono a quando Torino ancora ospitava le Olimpiadi e il PD sembrava un partito. Pazienza se in mezzo c’è stata una crisi economica, un’altra crisi economica, e nel mezzo una pandemia. Dettagli. Quando si tratta di risanare il bilancio, non si fanno prigionieri. E nemmeno autocritica.

La macchina del fango, però, funziona al contrario: i morosi diventano evasori, i debitori diventano furbi, e i furbi diventano nemici della collettività. Un bel capro espiatorio collettivo su cui scaricare vent’anni di incapacità gestionale, mentre Torino cade letteralmente a pezzi, ma con grande rigore contabile.

È il trionfo dell’ipocrisia travestita da virtù. Prima li hai lasciati soli, poi li hai ignorati, poi hai finto di dimenticarti di loro. E ora – sorpresa! – arrivi con il foglio excel in mano e la mannaia nell’altra.

Questa non è giustizia fiscale, è storia revisionista con annesso avviso di pagamento.

E attenzione, perché i numeri non mentono, ma neppure parlano. Dei 4.391 commercianti morosi, il grosso ha debiti piccoli. Ma vuoi mettere la soddisfazione di mettere in croce quelli con il “maxi debito”? Fa titolo, fa scena, fa propaganda. Peccato che non faccia una città. Anzi, rischia di farla finire.

Ma non c’è da preoccuparsi: il sindaco Lo Russo ha tutto sotto controllo, e Torino ha un piano. Solo che, come al solito, è un piano inclinato.

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