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27 Maggio 2025 - 10:43
Chivasso, scontro in consiglio comunale su armi e welfare
Pubblichiamo di seguito un intervento della consigliera comunale Claudia Buo nel consiglio di maggio. L’intervento costituisce una replica alla mozione dal titolo “L’EUROPA SCELGA LA PACE E NON INVESTA NELLE ARMI A DISCAPITO DEL BENESSERE DEI SUOI CITTADINI” presentata dalla collega Veronica Davico di “Sinistra Ecologista Chivassese”.
A nostro avviso il testo è perfetto, ricco di dati e considerazioni, e avremmo ben poco da aggiungere. Anzi, l’intervento stimola ulteriori osservazioni.
Una prima di tutto: Claudia Buo fa notare alla presentatrice della mozione che non è certo colpa del programma europeo “ReArm Europa” se a Chivasso chiuderà il dormitorio comunale, se l’ospedale continuerà ad essere depotenziato, ecc. Appunto, ma estendiamo questa consideriamo al livello nazionale. Curiosamente, fino al 24 febbraio 2022, data dell’invasione russa dell’Ucraina, la sinistra e il M5S, più parte dell’ANPI, imputavano l’infragilimento dello stato sociale (sanità, scuola, pensioni, tutela dei più deboli) o al “capitalismo”, o alla classe politica dedita ai propri interessi particolari o prona alle richieste dei potentati economici, o alla immancabile “casta”.
Poi, improvvisamente, dopo il 24 febbraio 2022, sinistra e Cinque Stelle hanno cominciato ad attribuire il declino del welfare alle spese per aiutare l’Ucraina aggredita e in particolare alla fornitura diretta o indiretta di armi. Un cambiamento dovuto a profonda riflessione? Direi piuttosto uno spregiudicato riposizionamento acchiappa voti, che conta sulla vasta area del cosiddetto “pacifismo” di varia origine. Non a caso Sabino Cassese ha definito Giuseppe Conte una espressione del tradizionale “trasformismo meridionale”. La consigliera Buo fa inoltre notare a Veronica Davico quanto sia grande la quantità di risorse che la Federazione Russa impiega nella costruzione di armi, una quantità ben superiore a quella dei paesi dell’Unione europea. I sociologi dell’Ottocento distinguevano due tipi di società: quella industriale, pacifica, e quella “militare”, bellicosa e aggressiva. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, una pattuglia di intellettuali francesi di sinistra ma antistalinisti definirono l’Unione Sovietica uno “stato militare”.
Oggi la Federazione Russa di Putin continua per la medesima strada: dopo la parentesi di Eltsin, peraltro discutibile, poco alla volta Putin ha proseguito nella conversione dell’economia russa in un complesso industriale che produce armi e altri strumenti per le forze armate. Per quali motivi uno Stato diventa uno Stato militare? O perché teme di venire aggredito, ma nessun paese europeo intendeva aggredire la Russia. O perché, al contrario, mira ad aggredire esso stesso altri paesi. E infatti in questi 25 anni di potere putinista la Russia ha via via aggredito la Cecenia, la Georgia, la Moldavia, la Crimea nel 2014 e nel 2022 l’Ucraina. Per conseguenza altri paesi confinanti, nel timore di venire a loro assaliti, sono entrati nella NATO e si armano.
Hanno tragici ricordi delle invasioni delle armate sovietiche, esperienze che noi italiani non abbiamo. Sotto questo aspetto c’è una continuità nella storia russa: da Ivan il Terribile a Pietro il Grande a Stalin e a Putin la Russia ha costantemente occupato o tentato di occupare o di controllare i paesi confinanti: come fece nel dopoguerra coi paesi che furono costretti ad entrare nel Patto di Varsavia. Alcuni di essi, come l’Ungheria nel 1956 e la Cecoslovacchia nel 1968, pagarono caro il tentativo di ribellarsi. C’è un’altra continuità alla quale la consigliera Buo non accenna perché non è quello il suo argomento. È la continuità del “dispotismo orientale” come forma specifica e naturale del governo russo, dagli zar a Putin. Caratterizzato da elementi come il potere assoluto del despota, l’assenza di poteri intermedi in grado di raffrenare il potere centrale, l’espansionismo imperialista, la quasi naturale propensione dei cittadini ad essere sudditi obbedienti, e in parte l’utilizzo strumentale della religione.
La categoria del dispotismo orientale è una costruzione dell’Occidente, non priva di pregiudizi: per i greci erano despoti orientali i re persiani. Machiavelli vi aggiungeva la “Monarchia del Turco”. Per Montesquieu dispotici erano la Persia, i paesi maomettani in generale, e il “governo moscovita”. Marx dava un pesante giudizio dello zarismo e lo considerava un dispotismo asiatico di origine mongola. E via dicendo. Quando nel 2022 la Russia di Putin invase l’Ucraina, l’ex diplomatico e ora editorialista Stefano Stefanini pubblicò un lungo articolo, nel quale puntigliosamente ripercorreva la storia millenaria della categoria del dispotismo orientale… e terminava con la Russia di Putin. Ciò che ho scritto non è nulla di nuovo, a condizione di togliersi il salame dagli occhi. Serve soltanto a comprendere meglio con chi abbiamo a che fare. Mostra quanto sia infantile sottovalutare il pericolo russo, e quanto sia facilone e populista gridare meno armi e più welfare. Meglio di me lo spiega Claudia Buo. Ma questo è ormai il mondo capovolto della sinistra, di Giuseppe Conte e di Travaglio (più la Lega Salvini), per i quali guerrafondai sono i paesi europei. Una salamica visione del mondo attuale.
Claudia Buo consigliera comunale di Chivasso
Prima di affrontare il merito delle valutazioni politiche, ritengo necessario chiarire alcuni elementi fondamentali, sia sul piano dei dati, sia su quello dei presupposti. Nell’ordine del giorno si sostiene che la spesa militare dell’Europa superi quella della Russia del 58%, citando 730 miliardi contro 461. È vero, ma il raffronto – se si vuole discutere seriamente del piano “ReArm Europe” – dovrebbe essere limitato ai Paesi dell’Unione Europea. In tal caso, sempre come indicato nell’ordine del giorno, la spesa si attesta intorno ai 540 miliardi di dollari, riducendo il distacco dalla Russia al 18,6%. Alla discussione andrebbe però poi aggiunto un dato essenziale: il rapporto che c’è tra spesa militare e PIL. Qui il quadro si discosta ancora di più dalla narrazione del documento: la Russia destina addirittura il 7% del proprio PIL alla difesa, mentre i Paesi dell’Unione Europea si collocano al di sotto del 2%. È piuttosto evidente quindi quale delle due realtà stia effettivamente sostenendo un’economia orientata al conflitto.
Sarebbe poi necessario sottolineare come la Russia abbia aumentato assai bruscamente la propria spesa militare negli ultimi anni, a dimostrazione di una chiara strategia politica di lungo periodo. Non si tratta di una risposta emergenziale, ma di un riassetto strutturale del sistema industriale in funzione bellica, con costi altissimi – sia economici che umani – e una chiara impostazione sistemica.
In tutto questo non dovrebbe mancare un riferimento alla forza nucleare russa, composta da oltre 5.000 testate attive. L’Unione Europea, invece, può contare su circa 290 testate, tutte francesi – un dato non comparabile né sul piano quantitativo né, fortunatamente, per quanto riguarda la dottrina d’impiego. Pur condividendo il principio che anche una sola testata è una di troppo, dobbiamo prendere atto che questo è il contesto reale del confronto, e tenerlo nascosto non aiuta a elaborare soluzioni consapevoli.
Nel testo si afferma infine che “la storia insegna che l’accumulo di armamenti non porta alla pace”. È una riflessione che merita rispetto, ma che dovrebbe confrontarsi con la realtà dei fatti. Uno dei fattori che hanno reso possibile l’aggressione russa all’Ucraina nel 2022 è stato proprio il disarmo nucleare unilaterale attuato da Kiev all’inizio degli anni ’90. All’epoca, l’Ucraina ereditò il terzo arsenale nucleare del mondo, ma fu convinta a dismetterlo in cambio di garanzie internazionali da parte di Stati Uniti, Regno Unito e Russia. Garanzie mai rispettate, come dimostrano tragicamente l’annessione della Crimea nel 2014 e l’aggressione del 2022.
Proprio di fronte a questo mutato scenario, alcuni Paesi europei hanno adottato una posizione di pragmatismo che, forse, sorprenderà qualcuno. La Polonia, ad esempio, ha varato il più ampio programma di riarmo dalla fine della Guerra Fredda. Un passo più che comprensibile per uno Stato che ha avuto la fortuna di godere di tutti i “benefici” del regime sovietico, e che oggi si trova in prima linea sul fronte orientale della NATO.
Anche i Paesi nordici, da sempre sinonimo di cultura pacifista e welfare avanzato, hanno cambiato in modo radicale il proprio approccio alla sicurezza. Svezia e Finlandia, dopo decenni di neutralità, hanno scelto di aderire con decisione alla NATO, riconoscendo come concreta e strutturale la minaccia russa. Insieme a Norvegia e Danimarca, hanno avviato una politica di difesa integrata, con condivisione di risorse, interoperabilità e coordinamento strategico. È la prima volta, dal tardo Medioevo, che questi Paesi adottano una visione di sicurezza regionale condivisa e formalizzata.
Particolarmente significativa è la posizione della Norvegia, storicamente nota per la sua bassa spesa militare nonostante sia in possesso del più grande fondo sovrano al mondo, ha recentemente annunciato il raddoppio del proprio sostegno a Kiev, portandolo a 8 miliardi di dollari entro il 2025.
Voler vedere tutto questo come un’impennata di militarismo sarebbe non solo sbagliato, ma anche ingeneroso. Si tratta piuttosto di una ragionata volontà di costruire una capacità di deterrenza credibile a fronte della radicale mutazione delle sicurezze consolidate nei decenni.
Infine, sarebbe importante ricordare che il piano "ReArm Europe" non è finalizzato all’incontrollata proliferazione degli armamenti, ma punta alla costruzione di una difesa comune europea più coordinata, meno frammentata e più efficiente. Esattamente ciò che – paradossalmente – auspica anche l’ordine del giorno, quando invoca “un sistema di difesa comune europea che porti risparmi e maggiore efficacia”. In questo senso, il nome “ReArm Europe” appare quanto di più infelice ed inefficace si potesse scegliere; al contrario, un nome come “Defense Europe” avrebbe illustrato meglio gli obiettivi reali del piano.
Tutto ciò premesso, non è accettabile affrontare un tema di questa complessità basandosi su dati imprecisi e analisi parziali. Così facendo, si alimenta soltanto una dinamica ideologica, che poco ha a che vedere con una riflessione seria e costruttiva.
Se l’intenzione dei proponenti era quella di stimolare una riflessione seria e costruttiva in Consiglio Comunale, sarebbe stato necessario un percorso diverso, fondato su condivisione ed equilibrio. Un lavoro preparatorio basato su dati precisi ed oggettivi, scevro per quanto possibile da preclusioni ideologiche. Perché la politica è anche mediazione, e misura il suo valore nella capacità di costruire sintesi. Ma nulla di tutto questo è stato fatto, considerando che questa mozione non viene nemmeno presentata da tutta la maggioranza unita. È evidente quindi che il tutto nasce dalla volontà di piantare bandierine politiche, riducendo un dibattito sui tempi della pace e della difesa europea strumenti di volgare propaganda.
Ci rattrista constatare, oltretutto in un momento in cui le alluvioni hanno messo in ginocchio i comuni collinari, come la consigliera Davico abbia sentito l’urgenza di presentare una mozione di questo genere.
Infine vorrei, appropriandomi per un momento del “pragmatismo” del sindaco, ricordare a tutti voi come non sarà certo responsabilità del "ReArm Europe" se chiuderà il dormitorio per i senzatetto, se l’ospedale civico continuerà ad essere depotenziato, se la stazione ferroviaria sarà un luogo sempre più insicuro, o se l’area della ex Marsan, con il suo amianto, non sarà bonificata. Questi ricadono esclusivamente sulle vostre responsabilità amministrative, e sulle gravi lacune che avete dimostrato negli anni.
Per questi motivi, lascio ai proponenti la prosecuzione della discussione, e mi asterrò da ulteriori commenti, auspicando per il futuro un ritorno a un’agenda politica di maggiore serietà.
Claudia Buo
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