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Ivrea in Azione
25 Maggio 2025 - 21:33
La pace non si urla. Si costruisce. Palestina libera: la pace non ha bandiere
Ho partecipato alla manifestazione per la Palestina. Non con uno striscione in mano, non in mezzo al corteo. Ero lì, ma ai margini. Presente, ma non schierato incondizionatamente. Perché manifestare è un gesto importante, che va compreso fino in fondo: camminare in corteo significa condividere ogni parola urlata, ogni slogan stampato su un cartello, ogni bandiera sventolata.
E io, pur sentendomi vicino a un popolo che soffre, non mi riconosco in certe parole, in certi toni, in certe accuse. Non riesco a far parte di un corteo dove si leggono cartelli che definiscono il primo ministro israeliano “nazista”. Perché questa guerra è una tragedia, e come ogni tragedia richiede rispetto. Non banalizzazioni. Non slogan che feriscono. Non odio.
Credo nella pace. Ma in una pace vera, che non è né ingenua né gridata. È la pace di chi ha il coraggio di dire che nessun bambino dovrebbe morire sotto le bombe, né a Gaza né a Tel Aviv, né in altre parti del mondo. La pace di chi rifiuta la violenza, anche verbale, anche simbolica. Perché l’odio chiama odio, e quando l’urlo sovrasta il ragionamento, non c’è più spazio per nessun dialogo.
Ivrea, la mia città, ha una storia di impegno civile. Di battaglie giuste, di partecipazione. Ma ora rischia di diventare un luogo dove chi non si adegua a una narrazione unica viene guardato con sospetto. Chi non marcia, chi non applaude, chi si prende il tempo di riflettere, diventa il “tiepido”. Il pavido. Il disertore. Non è così che si costruisce una comunità, non è così che si cerca la verità.
Io non voglio scegliere tra Palestina e Israele. Non voglio essere “pro” qualcuno e “contro” qualcun altro. Voglio essere pro pace. Una pace giusta, difficile, complicata, ma necessaria. Una pace che riconosca il diritto dei palestinesi a vivere liberi e il diritto degli israeliani a vivere sicuri. Due diritti che possono esistere insieme. Devono esistere insieme.
E no, la pace non è una questione di sinistra o di destra. Non è una bandiera da sventolare per avere ragione. È un cammino faticoso, che chiede silenzi più che urla, ascolto più che accuse, compassione più che ideologia.
Per questo ero lì, sì. Ma da spettatore. Con gli occhi aperti e la coscienza vigile. Per dire che la sofferenza non ha confini. E che se non saremo capaci di guardare il dolore dell’altro senza giudicarlo, senza strumentalizzarlo, allora non potremo mai costruire nulla di buono. Né qui, né altrove.
Oggi, almeno su Gaza, dovremmo riuscire a essere tutti dalla stessa parte. Non per schierarci. Ma per dire basta. Basta guerra. Basta civili uccisi. Basta odio. Solo così, forse, potremo davvero iniziare a parlare di pace.
Ciao!!
P.S. E poi qualcuno mi deve spiegare una cosa... Cosa c'entravano i salari con la Palestina?
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