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24 Maggio 2025 - 18:30
Tiziana Tiraboschi
“Cos’è l’arte?” La domanda, tanto antica quanto irrisolta, è risuonata nell’aula dell’Unitre di Cuorgnè, dove la docente Tiziana Tiraboschi ha concluso, la scorsa settimana, il ciclo di conferenze dell’anno accademico 2024-2025 con una lezione appassionata, sorprendente, a tratti provocatoria, ma soprattutto illuminante.
La professoressa ha esordito con un esperimento visivo: tre linee proiettate sullo schermo. Al pubblico è stato chiesto quale fosse la più lunga. Le risposte si sono sprecate, ma la verità è arrivata come una doccia fredda: erano tutte identiche. “Gli artisti ci ingannano”, ha spiegato. Lo fanno da sempre. Usano la prospettiva non per rappresentare la realtà, ma per piegarla al loro sguardo, ai loro fini, al loro messaggio.
L’arte, secondo Tiraboschi, non è mai stata oggettiva. “Se fosse bastato rappresentare la realtà, con l’invenzione della fotografia l’arte sarebbe morta”, ha detto. Invece ha continuato a vivere, a evolversi, a scandalizzare.
L’arte contemporanea, ha sottolineato, non vuole essere religiosa, né decorativa, né storica. Non vuole spiegare nulla. Vuole semplicemente esistere. Vuole essere. Come la famosa banana di Maurizio Cattelan, attaccata con un nastro adesivo al muro e venduta per sei milioni di euro. Un’opera d’arte deperibile, effimera, che sfida ogni concetto di bellezza e di durata.
Con ironia e rigore, Tiraboschi ha attraversato secoli e stili, spaziando da Michelangelo a Kandinskij, da Arcimboldoa Picasso, da De Chirico a Fontana. Ha smontato pregiudizi e ricostruito significati. Ha mostrato che l’arte non è mai stata solo tecnica, né solo emozione, ma anche concetto, provocazione, riflessione.
“Se pensiamo che l’arte debba durare nei secoli, come spiegare l’azione di artisti che bruciano le proprie opere o le impacchettano?”, ha domandato al pubblico. E ha citato Christo, che impiegò 24 anni per impacchettare il Reichstag di Berlino. Non per nasconderlo, ma per farcelo guardare meglio.
Attraverso esempi concreti – la “Merda d’artista” di Manzoni, i “tagli” di Fontana, i materiali bruciati di Burri, le illusioni prospettiche di Canaletto – la docente ha dimostrato come l’arte possa essere qualunque cosa: un gesto, un’idea, un urlo, una ferita.
Ha ricordato che persino la Pietà di Michelangelo, simbolo universale di bellezza, cela un’irrealistica Madonna adolescente che regge un Cristo appena più giovane. E che i corvi di Van Gogh, nel suo campo di grano, anticipano l’angoscia dell’Espressionismo.
L’arte, ha ribadito, non sempre emoziona. A volte lascia indifferenti. A volte provoca rabbia, confusione, rifiuto. Eppure, entra comunque nei nostri occhi. “Accettiamo un disegno su un vestito o una tenda senza sapere cosa rappresenti. Lo giudichiamo bello se ci piace, punto”, ha osservato con acume.
E allora, che cos’è davvero l’arte? Tiraboschi ha risposto citando Picasso: “L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni.” E ha aggiunto: “Ogni opera autentica ha due facce: una per il proprio tempo, una per l’eternità.”
Un finale che ha lasciato il pubblico in silenzio. Un silenzio carico di pensieri. Perché quando si parla d’arte – e lo si fa con passione, competenza e profondità – è impossibile uscire dalla sala uguali a come si è entrati.
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