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22 Maggio 2025 - 21:33
Il ponte che non c’è (ma costa lo stesso)
Esiste un luogo in Italia dove il tempo si è fermato. Non è un borgo dimenticato, ma un tratto di mare: lo Stretto di Messina. È lì, tra la Calabria e la Sicilia, che da oltre 150 anni si consuma una delle più esilaranti epopee infrastrutturali del nostro Paese: quella del ponte mai nato.
L’idea – che non è neanche nostra, a ben vedere – viene partorita nel 1840, in pieno Regno delle Due Sicilie. Ferdinando II di Borbone guarda la mappa e, probabilmente col dito unto di cannolo, esclama: “Facciamo un ponte!”. Visionario o forse semplicemente annoiato, lascia ai suoi tecnici l’onere di inventarsi qualcosa. Naturalmente, nessuno osa dirgli che la tecnologia dell’epoca era più adatta a costruire una barca che una mega-struttura sospesa.
Poi arriva l’Unità d’Italia, con i suoi sogni, i suoi disastri e le sue tasse. Nel 1870 la questione torna sul tavolo, e il ponte comincia a prendere la forma che manterrà nei decenni successivi: quella del grande annuncio. Si susseguono proposte, bozze, rilievi. Ma tutto finisce in fondo a un cassetto, tra la carta bollata e i telegrammi ministeriali. Perché si sa: l’Italia è il Paese dove si preferisce progettare il futuro piuttosto che costruirlo.
Negli anni ’20, il regime fascista non si fa mancare nulla, nemmeno il ponte. "Ci vuole un tunnel!" suggeriscono alcuni tecnici. Peccato che a quell’epoca manchino pure i mezzi per scavare decentemente una galleria metropolitana. Il progetto naufraga ancora una volta, ma lascia dietro di sé un’ondata di fiducia nell’impossibile. Del resto, siamo italiani: ci basta sognare in grande per sentirci già un passo avanti.
Arrivano gli anni del boom economico, l’Italia si scopre industriale, moderna, automobilistica. Quale momento migliore per rilanciare il ponte? E infatti ci si riprova. Nascono comitati, commissioni, studi universitari e perfino una società ad hoc: la Stretto di Messina S.p.A., fondata nel 1981 per un solo scopo: realizzare l’opera. In quarant’anni ha costruito… rendering.
Il vero trionfo, però, arriva nel 2001 con il secondo governo Berlusconi. Il ponte diventa il simbolo del genio italico, la chiave per il rilancio del Sud, l’eredità faraonica da lasciare ai posteri. Si fa sul serio: si bandisce una gara, si affida il progetto al consorzio Eurolink guidato da Impregilo, si disegna un ponte lungo 3.666 metri con una campata centrale da record mondiale e torri alte 382 metri, più della Tour Eiffel. Costo previsto: 6,1 miliardi di euro. Una cosa seria, insomma. Berlusconi promette che i lavori inizieranno a breve. E infatti iniziano… le polemiche.
Nel 2006, con l’arrivo di Romano Prodi, tutto si blocca di nuovo. Il governo decide che il ponte è inutile, costosissimo, e forse anche un po’ brutto. Si cancella tutto, si scioglie la società, si paga la penale. Milioni di euro per non costruire nulla. Un capolavoro. In nessun altro Paese al mondo si riesce a spendere tanto per restare fermi.
Nel frattempo il ponte diventa una figura mitologica. Lo si evoca in campagna elettorale, lo si cita nei comizi, si promette, si difende, si attacca. Ogni tanto spunta un nuovo rendering, un aggiornamento del progetto, un’intervista a un ingegnere giapponese. Il ponte vive in una dimensione parallela, dove tutto è possibile tranne i cantieri.
Nel 2023 accade l’impensabile: il governo Meloni annuncia la resurrezione ufficiale del progetto. La società Stretto di Messina viene rianimata come un Frankenstein infrastrutturale, i fondi ricompaiono, e si mette mano al progetto con tanto di aggiornamento post-pandemia. L’obiettivo? Iniziare i lavori nel 2024. Anche stavolta l’ottimismo è alle stelle: “È un’opera strategica, cambierà la storia del Sud”. Un déjà-vu con sfumature drammatiche.
Naturalmente, non mancano le voci contrarie. Gli ambientalisti gridano al disastro, i tecnici parlano di rischio sismico, i sindacati vogliono prima treni decenti e strade asfaltate. In Sicilia i treni ancora deragliano a passo d’uomo e i pullman sono del pleistocene, ma il ponte è prioritario. Perché, in fondo, non serve costruirlo davvero. Basta continuare a parlarne.
E così il ponte resta lì, come il Monolite nero di Kubrick, immobile ma potentissimo. Unisce solo una cosa: la retorica politica. Divide il Paese, ma non la Sicilia dalla Calabria. Produce conferenze stampa, ma non gettate di cemento. È il ponte più costoso mai realizzato… senza realizzarlo. Una leggenda tutta italiana, dove ciò che conta non è fare, ma dire che si farà. E intanto, i traghetti continuano a fare avanti e indietro, a ricordarci che alla fine l’unica cosa stabile sullo Stretto… è l’instabilità del ponte.
Insomma, la storia del ponte sullo Stretto è un po’ come il finale di certe serie TV italiane: piena di promesse, avvolta nel mistero, ma con la sensazione che gli sceneggiatori non sapessero bene dove andare a parare. E nel frattempo noi restiamo lì, sul molo, a guardare verso l’orizzonte… in attesa della prossima conferenza stampa.
Il Ponte sullo Stretto di Messina, pur non essendo mai stato costruito, ha già comportato per lo Stato italiano una spesa superiore a un miliardo di euro. Questa cifra comprende:
Circa 300 milioni di euro investiti dalla società Stretto di Messina S.p.A. dal 1981 al 2023 per studi di fattibilità, progettazioni e gare internazionali .
Oltre 130 milioni di euro spesi negli anni '80 e '90 per studi e gestione .
300 milioni di euro stanziati nel 2012 dal governo Monti per coprire penali e indennizzi derivanti dalla mancata realizzazione dell'opera .
Costi legali e di gestione della società in liquidazione, inclusi emolumenti annuali per il commissario liquidatore e spese legali legate a contenziosi con il consorzio Eurolink .
In totale, si stima che il progetto abbia già comportato una spesa pubblica superiore a un miliardo di euro, senza che sia stata posata una sola pietra. Eppure, il progetto è stato recentemente riattivato, con una stima aggiornata dei costi di realizzazione pari a 13,5 miliardi di euro .
Insomma, il Ponte sullo Stretto rappresenta un caso emblematico di investimento pubblico in un'opera mai realizzata, con costi già sostenuti che superano il miliardo di euro.
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PRO: I motivi per cui costruire il ponte (almeno sulla carta) avrebbe senso
1. Connessione fisica stabile tra Sicilia e continente
Il ponte rappresenterebbe il primo collegamento terrestre diretto tra la Sicilia e il resto d’Italia, sostituendo il servizio di traghetti soggetto a condizioni meteo, attese, costi e ritardi. Significherebbe una Sicilia meno isola e più inserita nei flussi logistici nazionali ed europei.
2. Potenziale rilancio del Mezzogiorno
Secondo i sostenitori, l’opera sarebbe un volano economico per il Sud, in grado di attrarre investimenti, creare occupazione e stimolare l’industria locale (costruzioni, turismo, logistica). Alcune stime parlano di 100mila posti di lavoro attivati tra diretti e indiretti.
3. Alta velocità ferroviaria e intermodalità
Il ponte ospiterebbe strade e binari ferroviari, consentendo il passaggio diretto dei treni ad alta velocità. A quel punto, in teoria, si potrebbe andare da Torino a Siracusa senza scendere dal treno (o quasi). Una piccola rivoluzione logistica, almeno a progetto ultimato e binari mediante.
4. Simbolo di modernità e sfida ingegneristica
Dal punto di vista tecnologico, sarebbe un'opera da Guinness dei primati: il ponte sospeso a campata unica più lungo del mondo (3.300 metri), in un'area sismica e ventosa. Un biglietto da visita mondiale per l’ingegneria italiana.
5. Risparmio ambientale sul lungo periodo
Se sostituisse in parte i traghetti, potrebbe ridurre emissioni di CO₂, traffico marittimo, rumore e inquinamento nelle aree portuali. A patto però che treni e camion non si moltiplichino senza controllo.
CONTRO: Perché il ponte potrebbe essere un costosissimo errore
1. Costi astronomici e incerti
Il preventivo ufficiale oggi è di 13,5 miliardi di euro, ma molti esperti parlano di possibili lievitazioni fino a 15 o 16 miliardi. E intanto abbiamo già speso oltre 1 miliardo solo per progetti, consulenze e penali. Un pozzo senza fondo che rischia di prosciugare risorse da opere più urgenti e utili.
2. Rete infrastrutturale inadeguata
A che serve un ponte se, una volta arrivati in Sicilia o in Calabria, ci si trova davanti a strade dissestate e linee ferroviarie obsolete? Le infrastrutture di collegamento sono spesso assenti o mal funzionanti: senza un massiccio investimento sulla rete locale, il ponte rischia di restare una cattedrale nel deserto.
3. Rischio sismico e vulnerabilità ambientale
Lo Stretto è una delle aree più sismiche d’Europa. La progettazione prevede accorgimenti tecnici avanzati, ma molti geologi e ingegneri sottolineano i rischi ambientali connessi a un'opera di queste dimensioni: impatti sull’ecosistema marino, sull’avifauna, e sulle coste.
4. Dubbi su costi-benefici reali
I flussi di traffico (merci e passeggeri) attualmente non giustificano un’infrastruttura di questa portata. Secondo vari studi, il ponte non si ripagherebbe mai. Il rischio è costruire un'opera scenografica ma poco utile: bella da vedere nei documentari di Discovery Channel, ma economicamente disastrosa.
5. Priorità sbagliate e strumentalizzazione politica
Per decenni il ponte è stato strumento di propaganda, più che di sviluppo. Lo si tira fuori a ogni elezione, lo si usa per conquistare titoli sui giornali, salvo poi dimenticarlo nel cassetto. Intanto, scuole che crollano, ospedali in sofferenza, e intere province senza trasporti pubblici restano senza risposte.
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