Cerca

Attualità

Lavoratori DHL lasciati a casa con una "email"

A Cocconato 54 lavoratori abbandonati. Il caso DHL: tra ferie forzate, sostituzioni illegittime e il silenzio complice delle istituzioni

Lavoratori DHL rischiano di perdere il posto di lavoro

DHL

Si chiama DHL Supply Chain, ma oggi di “catena” resta solo quella che tiene in ostaggio 54 lavoratori. Stretti tra ferie forzate, trasferimenti punitivi e l’incubo – concreto – di perdere tutto. A Cocconato, in provincia di Asti, va in scena l’ennesima commedia amara dell’Italia industriale: l’impresa che cambia padrone, la logistica che si smonta, il lavoro che sparisce. E lo Stato? Assente. O peggio: complice.

Venerdì 23 maggio i sindacati UILTRASPORTI Piemonte e FILT CGIL scenderanno in piazza: un’assemblea nel magazzino DHL di Braiasse, un presidio davanti alla sede di Conbipel dalle 10 alle 14. Il messaggio è chiaro: fermate questo scempio, prima che sia troppo tardi.

Da quando Arcadia, nuova proprietà di Conbipel (con Invitalia, cioè lo Stato italiano, dentro al 49%), ha deciso di gestire in proprio la logistica, il disastro ha preso forma. Nessun confronto coi sindacati. Nessuna tutela. DHL messa alla porta. E decine di lavoratori lasciati a casa, con una mail. Alcuni “in ferie” forzate. Altri trasferiti a centinaia di chilometri, senza spiegazioni. E intanto, nuovi lavoratori – precari, in somministrazione – vengono introdotti al loro posto. Uno scandalo.

dhl

Una parola: dumping. Contrattuale, umano, istituzionale. Il paradosso? Questi lavoratori non sono né fannulloni né privilegiati. Applicano il contratto nazionale della logistica, lo stesso che userebbe qualunque altro operatore. L’unica “colpa”? Avere anni di servizio, esperienza, tutele. Costano qualche euro in più. Tanto basta per buttarli via?

Arcadia ha provato a giustificarsi: “Il costo del lavoro è troppo alto”. Ma è solo un pretesto. Lo sanno tutti, perfino in Prefettura. Perché DHL ha già dato disponibilità a rivedere le tariffe. Ma qui non interessa più trattare, si vuole solo tagliare, cambiare, rimpiazzare. Fare tabula rasa. E il fatto che tutto ciò avvenga con il placet di Invitalia, ovvero con i soldi pubblici, è un insulto ai cittadini e ai contribuenti.

La domanda è brutale: Conbipel vuole delocalizzare? Il sito di Cocconato è destinato alla chiusura? Si sta cercando di far fuori i lavoratori “storici” per sostituirli con precari da sfruttare a basso costo? Tutti gli indizi portano lì. Intanto si fa ricorso alla cassa integrazione per oltre 100 dipendenti. Una cassa integrazione pagata da noi, mentre qualcun altro entra dalla porta sul retro.

Dove sono le istituzioni? Dov’è Invitalia, che dovrebbe garantire trasparenza e legalità, e invece tace? Dov’è il Ministero dello Sviluppo Economico? Dove sono i parlamentari piemontesi? Tutti zitti. Tutti immobili. Come se il problema non esistesse.

I sindacati annunciano battaglia: «Se non arrivano risposte, andremo fino in fondo». E hanno ragione. Perché qui non si tratta solo di lavoro: si tratta di giustizia, dignità, rispetto. Si tratta di famiglie che non sanno più cosa dire ai figli. Di operai trattati come numeri. Di un sistema che prende i soldi pubblici e poi scarica chi ha fatto la sua parte.

Il 27 maggio ci sarà un nuovo tavolo in Prefettura. Ma la verità è che il tempo è finito. O si salva il sito di Cocconato, oppure si firma l’ennesima condanna a morte per un pezzo di territorio e per decine di lavoratori che non meritano di essere cancellati.

Se non ora, quando?

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori