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Lo Stiletto di Clio
21 Maggio 2025 - 23:38
Soldati di Settimo Torinese e di Mezzi Po (allora Mezzi di Gassino) in Etiopia
È un anniversario che non desterà particolari interessi, ma all’epoca il provvedimento mobilitò enormi folle nell’intera penisola. Il 18 novembre di novant’anni fa la Società delle Nazioni colpì l’Italia fascista con le sanzioni economiche, intendendo così rispondere alla campagna di guerra per la conquista dell’Etiopia. Le approvarono cinquanta paesi; si astennero Austria, Albania e Ungheria; votò contro, ovviamente, l’Italia. Le respinsero la Germania nazista e gli Stati Uniti che non appartenevano alla Società delle Nazioni.
Anche a Settimo Torinese il provvedimento fu visto come una macchinazione internazionale ai danni dell’Italia. A ricordo dell’«assedio economico», il podestà Silvio Jean fece murare una lapide, in marmo di Carrara, nel palazzo municipale. Fra la popolazione di ogni ceto sociale si diffuse un vivo sentimento di orgoglio nazionalistico per l’impresa africana.
Il quotidiano «Il Popolo d'Italia» del 18 novembre 1936 celebra irriverentemente un anno di sanzioni economiche
Un effetto positivo determinarono le sanzioni per il settore delle penne. La propaganda del tempo, deplorando che le stilografiche di fabbricazione straniera seguitassero a «giungere e, quel che è peggio, a essere vendute in Italia», cercò fortemente di scoraggiare «l’importazione di un prodotto che ci facciamo egregiamente in casa e che, a pari bontà e requisiti, costa il doppio del nostro». Gli artigiani di Settimo non persero tempo nel mettere a profitto le opportunità offerte dal regime autarchico, benché le prospettive a lungo e medio termine apparissero forse confuse. Aziende da tempo attive poterono consolidare la propria posizione, riorganizzandosi su nuove basi produttive.
Alla luce dei futuri sviluppi, il caso più interessante fu quello della Luigi Pagliero & Fratelli che, fin dagli anni della «grande depressione», aveva cercato spazio nel settore delle penne. L’azienda abbandonò progressivamente le tradizionali chincaglierie in osso e avorio, indirizzandosi verso le stilografiche in celluloide, il cui mercato era in espansione e offriva allettanti possibilità di successo commerciale. Alla Pagliero si affiancarono ben presto altre aziende, tutte di piccolissime dimensioni e a conduzione artigianale. La penna finì per rappresentare una sorta di sbocco quasi obbligato per le fabbrichette settimesi che tornivano l’avorio, la galalite e l’ebanite.
Buoni risultati diede pure la campagna per la «battaglia del grano», anche se i piccoli coltivatori del territorio avrebbero assai presumibilmente auspicato più efficaci misure di sostegno nel campo del credito e dell’assistenza tecnica. Giustamente è stato osservato come l’indirizzo di politica agraria adottato dal fascismo, assecondando lo sviluppo della produzione granaria e delle monocolture estensive, rispondesse soprattutto alle attese della media e della grande proprietà terriera.
Mentre gli scolari di Settimo seguivano sulla carta geografica l’avanzata delle truppe italiane in Etiopia e piantavano bandierine tricolori in corrispondenza delle località conquistate, il bollettino parrocchiale pubblicava ampi stralci di lettere dei soldati settimesi. Euforia ed entusiasmo traspaiono dalle parole di un ufficiale dei bersaglieri della divisione «Sabauda» che, il 19 febbraio 1936, dalla vallata di Antalò, informava: «La zona di Amba Aradàm è ora completamente liberata dagli Abissini, e Ras Mulughietà [...] sta avvicinandosi con i suoi neri guerrieri alla capitale. E pensare che voleva conquistare Asmara e buttarci in mare! Forse avrà sbagliato i suoi calcoli nel piano strategico preparato. Sperava forse in un aiuto dalle sanzioni. Gliele diamo noi le sanzioni se non scappa al più presto».
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