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Trovati resti di un lontano passato: stop ai lavori ai bastioni del Castello di Ivrea

Il castello di Ivrea si reinventa come polo turistico tra scoperte archeologiche e ambiziosi progetti di riqualificazione

Il passato riaffiora: stop ai lavori al Castello di Ivrea

La rampa che verrà posizionata a ridosso dei bastioni

Tra una ruspa e una pala, durante i lavori per la “riqualificazione” dei bastioni del Castello di Ivrea, sono venuti alla luce dei reperti che hanno costretto gli operai a fermarsi. Si pensava fosse il Cardo, l’antica via che tagliava in due i campi e le città romane. Illusione. I primi rilievi parlano piuttosto di fortificazioni medioevali, probabilmente parte del vecchio sistema difensivo della città.

Il cantiere, partito con l’ambizione di costruire una rampa scenografica per unire la parte bassa della città (ex area Foscale) con la sommità del castello, si è così scontrato con la Storia. Quella vera, fatta di pietre consumate e memorie sepolte.

La Soprintendenza ha imposto lo stop e preteso uno scavo manuale stratigrafico fino alla roccia madre, documentazione dettagliata e persino un modello 3D. Costo extra? Diecimila euro, ovviamente a carico del Comune.

L’impresa Intercultura di Bianzè si è occupata del lavoro di precisione. E l’architetto Francesco Bermond, autore del progetto, ha già rimesso mano ai disegni: il percorso pedonale dovrà deviare per rispettare quel muro, che resterà in bella vista.

Tornando alla rampa (l’ascensore è sparito dal progetto per i noti problemi che gli ascensori hanno a Ivrea) protagonista annunciata del progetto da 1 milione e 485 mila euro affidato al Consorzio Opera. Alta dieci metri, sarà una sorta di “torre moderna”: struttura in ferro, rivestita in legno di castagno trattato, con gradini in diorite di Brosso. Verrà montata in laboratorio e portata in città come un enorme puzzle. Alla base, un giardino. In cima, un cortile, nei pressi della Curia.

il castello

l'interno del castello

Insomma, il progetto, tra scavi, speranze e promesse, avanza tra mille aggiustamenti. Dopo una partenza zoppicante – colpa di una delle ditte del consorzio – ora il Comune assicura che tutto procederà spedito. Entro l’estate la rampa sarà realtà.

L’intenzione è di fare del castello un vero e proprio “polo turistico”, oltreché un luogo da visitare così com’è. Ma ci sono almeno un paio di problemi.

Il primo è burocratico: la corte del castello oggi può accogliere al massimo 149 persone, troppo poche per ospitare eventi degni di questo nome. Per arrivare a 500 serve una seconda uscita di sicurezza, da progettare, approvare e costruire. La Soprintendenza, per ora, ha detto sì. Ma un “sì” da intendere con le molle – cioè, molto cauto.

Il secondo problema è più prosaico: il nulla. Nel senso che, dopo la visita al castello, il turista oggi non trova nulla. Nessun bar, nessun punto ristoro, nemmeno una panchina dove sedersi con un caffè. Da qui l’idea – o la visione, dipende dai punti di vista – di un chiosco in legno, removibile, che funga da biglietteria, info point e bar. Una pezza temporanea, in attesa della ristrutturazione dell’ex casa del custode che un giorno, chissà, potrebbe diventare uno spazio permanente.

Intanto, le visite al castello restano in mano alla ditta Kalatà. Poi, magari, arriverà un nuovo bando. Con dentro tutto: visite guidate, gestione del chiosco, forse qualche sogno.

Ma che bel castello.

Se ne stava lì moribondo, utilizzato raramente e solo d’estate. Un pezzo di storia decantato da Giosuè Carducci (“le rosse torri”), guardato dal basso in alto anche dai cittadini, in una città votata all’industria e in tutt’altre faccende affaccendata.

E oggi? Dopo anni di abbandono, il castello del Conte Verde diventa per la prima volta nella sua storia un luogo per turisti, con tanto di biglietti da staccare per andarlo a visitare. Un’attrazione cittadina, insieme agli edifici dell’UNESCO, all’Anfiteatro Romano, al centro storico e, poco più in là, al Parco dei 5 Laghi raggiungibile con bus navetta, avanti e indietro tutto il giorno… Ivrea città da visitare, da vivere, da raccontare, da girare, da guardare e da amare come la amano i suoi abitanti.

L’Amministrazione comunale ce l’ha fatta ed erano in pochi a crederci, quel giorno, correva il dicembre del 2017, quando l’allora sindaco Carlo Della Pepa annunciò in “pompa magna” che la proprietà del Castello era stata trasferita dal Demanio al Comune con l’iter del federalismo culturale. Qualcuno pensò che si fosse ammattito, che avesse perso ogni ragione.

“Fermatelo!” dissero in tanti tra le file dell’Opposizione. E lì sedeva anche l’attuale assessore Francesco Comotto. Beh, ironia della sorte, è proprio Comotto in questi mesi a chiudere il cerchio, rivalutando per assurdo quel sindaco a cui le aveva fatte girare come a un ventilatore.

Antipatico fin che volete, ma Della Pepa se non altro uno sguardo al futuro ce l’aveva messo, con il castello e anche candidando la città a patrimonio Unesco. Insomma, s’era fatto un viaggio nel futuro ed era tornato indietro. Lui con una visione, gli altri no...

Non fece in tempo ad annunciare il “passaggio di proprietà” che dalle mura si staccarono (pensa te che sfiga...) alcune tegole. Solo per puro caso non caddero in testa ai passanti.

Da qui in avanti un problema dietro l’altro e, per farla in breve, il castello venne chiuso con delle onduline blu, e fu di nuovo Medioevo.

onduline

Ad un primo progetto di recupero, utilizzo e conservazione a scopo museale, con la passata Amministrazione guidata da Stefano Sertoli e con l’assessore Michele Cafarelli, ne seguì un secondo dell’architetto Ezio Ravera. Quel che mancavano erano i soldi, e ce ne sarebbero voluti almeno 825 mila. Troppi per le casse di una città che spende tutto in festival letterari, teatro e arance…

Il primo intervento, risalente all’estate del 2020, costato 260 mila euro, servì per eliminare proprio quelle orrende onduline blu che transennavano l’ingresso, sostituite con una cancellata in ferro battuto e una pavimentazione. Troppo poco!

L’occasione arriva con i 660 mila euro messi a disposizione dal Ministero della Cultura. Ad eseguire il tutto, l’impresa Sado di Pomigliano d’Arco (Napoli) che ha reso fruibile la corte interna attraverso la realizzazione di una nuova pavimentazione e la messa in sicurezza delle facciate.

Si è anche realizzata una scala interna la cui struttura rimanda a quella delle torri mobili accostate alle fortificazioni durante gli assedi e che oggi permette l’accesso ai camminamenti di ronda per un inedito punto di vista sulla città e sul paesaggio circostante.

Infine, si è pensato all’illuminazione, resa più efficiente e completa con nuovi apparecchi illuminanti a LED.

Non è ancora finita qui, considerando che, grazie ai fondi Pnrr e per un importo complessivo di 1 milione 485 mila euro, sono in corso i lavori per la risistemazione dell’area del parcheggio Foscale e la sistemazione di una scala in legno che condurrà direttamente al centro storico.

castello

Storia

La costruzione iniziò nel 1358 per volere di Amedeo VI di Savoia, detto il Conte Verde, con incarico affidato all'architetto Ambrogio Cognon, e si concluse tra il 1393 e 1395, impegnando una grande quantità di manodopera: si ritiene che in certe giornate vi lavorassero più di mille persone (si consideri che a quei tempi Ivrea aveva circa 3.500 abitanti), con maestranze qualificate provenienti da Vercelli, Milano e Ginevra.

Con la scelta del sito, Amedeo VI volle che il castello si ergesse a fianco delle sedi principali del potere politico e religioso medioevale: il Palazzo Vescovile ed il Comune (Palazzo della Credenza). Per far posto al nuovo edificio fu necessario abbattere diverse case e le mura della città verso nord.

Cessate le tensioni belliche che ne avevano determinato la costruzione, nella seconda metà del XV secolo il castello funse soprattutto da raffinata dimora dei Savoia, assistendo allo sviluppo della cultura e delle arti promosso in particolare dalla duchessa Jolanda di Valois, figlia di Carlo VII re di Francia e di Maria d'Angiò. Uno scritto del 1522, redatto in occasione della celebrazione di un battesimo, ci informa sugli arredi delle sale, gli addobbi, i balli e le feste che animavano la vita di corte.

Conosciamo anche il nome di un pittore francese tardogotico, Nicolas Robert, che affrescò nel castello l'oratorio di Iolanda di Valois (a dispetto delle testimonianze scritte, delle sue opere non è rimasta traccia). Del gusto cortese di tale periodo rimane traccia in una elegante bifora ad archi trilobati sormontata da stemmi della casa Savoia che si apre in alto sulla parete sud.

Tra il XVI e il XVII secolo, con l'infuriare nel territorio canavesano delle lotte tra francesi e spagnoli, il castello fu ristrutturato e riprese la sua funzione di presidio militare. Nel 1676 un fulmine provocò l’esplosione del deposito di munizioni collocato nella torre di nord-ovest (la torre mastra): l’esplosione, che causò assieme al crollo della torre innumerevoli morti e la distruzione di molteplici case edificate a ridosso del castello. La torre non venne ricostruita, ed oggi si presenta mozza, con una copertura conica in lastre di ardesia.

Dal 1700 l'edificio venne adibito a carcere, mantenendo poi tale funzione fino al 1970. In questo periodo intervennero significative ristrutturazioni legate ad esigenze carcerarie: così probabilmente la originaria struttura a tre piani fu modificata in quattro, ricavando un maggior numero di vani di minore altezza. Dopo il 1970, il castello rimase abbandonato e chiuso al pubblico per nove anni. Successivi restauri comportarono la eliminazione di corpi di fabbrica che erano stati aggiunti nel cortile, la revisione di tutte le coperture ed il restauro delle torri merlate.

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