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14 Maggio 2025 - 12:12
Vivere in un piazzale per un anno e mezzo, come “i barboni”. Come li chiamano quelli che tirano dritto, col bavero alzato e lo sguardo altrove. A cinquant’anni suonati.
Lei 52, lui 49. E King. Un bastardino senza razza, ma con una fedeltà che dovrebbe far scuola. L’unico che non ha mai avuto paura di restare.
È una storia che non ha morale, non ha lieto fine, non ha fotografia da incorniciare. È una di quelle storie che fanno male. Che sporcano la coscienza. Che si vorrebbero dimenticare in fretta, ma che tornano a bussare di notte, quando pensi: E se succedesse a me?
È una storia vera. E per questo va raccontata. Anche se fa tremare.
Florinda Baldinu e Giuseppe Belvedere sono marito e moglie. Ma prima ancora sono due persone. Due italiani qualsiasi. Due vite che, a un certo punto, si sono staccate dal mondo. Lei usciva da una convivenza finita. La casa era intestata al compagno, e quando tutto è crollato, Florinda ha perso pure il diritto a una porta dietro cui chiudersi. Una valigia. Nient’altro. Né tutele, né vie d’uscita.
Ha incontrato Giuseppe. Per un po’ hanno trovato rifugio a casa dei genitori di lui. Pochi giorni. Poi anche lì è arrivata la fatidica frase: “Non potete restare qui.”
E la strada ha preso il sopravvento. Come un destino crudele.
Per 18 lunghi mesi hanno dormito nel Parco Salvemini di Rivoli, sotto una tettoia. Come topi. Come clandestini della propria esistenza. “Ci nascondevamo. Ci vergognavamo. Cercavamo l’angolo più buio. Per sparire. Come se fossimo noi la vergogna”, sussurra Florinda.
A quell’età la vita l’hai già vista scapparti più volte. Ma non sei mai pronto a dormire all’aperto, a perdere il concetto stesso di “casa”. E ogni giorno, la dignità si sbriciola, una scheggia alla volta.
“Siamo stati anche senza mangiare, senza lavarci”, racconta Florinda.
“Mio marito ha provato a cercare lavoro, ma se non hai una casa, se non hai nemmeno un indirizzo, come puoi farcela?”
Un curriculum con scritto “senza fissa dimora” non apre porte. Le chiude. E le sbarra.
Ma c’era King. Sempre.
Un bastardino, incrocio senza razza ma con un’anima piena, taglia media, pelo bianco punteggiato da macchie scure, e occhi grandi da chiedere carezze al mondo intero. Niente pedigree, ma tanta dignità da fare vergognare molti esseri umani.
Dormiva tra di loro. Li scaldava. Li faceva sentire famiglia.
E sì, una famiglia può essere fatta anche solo da due persone e un cane.
Perché quando perdi tutto, e restano solo i respiri che ti stanno accanto, allora capisci cosa conta davvero.
E King, che dorme a pancia all’aria come solo chi si fida può fare, era ed è la loro ancora.
Poi, un giorno, una signora li ha visti. Non solo guardati. Visti. Con gli occhi e con il cuore. Ha lanciato l’allarme. Gli assistenti sociali sono intervenuti.
Una stanza per Florinda, sì. Ma solo per lei. “E mio marito? Dove lo metto?”
Quando sei povero, l’amore non esiste nei regolamenti.
Alla fine li mandano a Bussoleno, nel polo logistico della Croce Rossa, dove dormono anche i migranti. Sei mesi. Un tetto. Una doccia. Un pasto caldo. Ma sempre con la sensazione di essere ospiti temporanei del mondo.
King c’è, ancora. Nessuno ha osato separarlo da loro. E loro non lo avrebbero mai permesso.
Adesso, però, il tempo è finito. Il 17 maggio devono andare via.
Una nuova sistemazione esiste. Una stanza, a Collegno. In un alloggio condiviso. Quattro mura. Ma anche un divieto scritto nero su bianco: niente animali.
E lì si ferma tutto. Perché King non è “un animale”. King è la loro storia. Il loro legame. La loro salvezza.
E allora Florinda e Giuseppe hanno detto no.
No al letto. No alla possibilità.
No all’abbandono.
“King ha dormito con noi nel freddo. Ha saltato i pasti con noi. Ci ha visto piangere. Ci ha leccato le lacrime. Non lo lasceremo mai. Lui è la nostra famiglia.”
Spiegatelo voi, a chi non ha mai perso nulla, cosa significa dover rinunciare anche all’unico amore che ti è rimasto.
Spiegate voi quanto vale quella coda che scodinzola anche nella fame, quel musetto che si infila tra le braccia, anche quando tutto sembra perduto.
King non è un cane. È l’àncora silenziosa che ha tenuto a galla due persone mentre il mondo affondava.
Florinda e Giuseppe non chiedono la luna. Solo di non essere separati. Solo che qualcuno li veda per ciò che sono: una famiglia fragile, ma intera.
Chiedono che King non sia considerato un problema, ma una prova vivente che l’amore esiste anche nella miseria.
Hanno fame. Hanno freddo. Hanno sulle spalle ferite che non si vedono, ma che sanguinano ogni giorno.
Ma non hanno perso l’unica cosa che conta davvero: la fedeltà.
Non si tradisce chi ti ha salvato. Nemmeno se pesa pochi chili e ha quattro zampe.
Chi può, li aiuti. Chi ha una casa, un fienile, una stanza in fondo al giardino, apra la porta.
Perché le case si costruiscono.
Ma la dignità, una volta persa, non si ricostruisce più.
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