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Cronaca

Addio, Pepe. L'uomo che faceva vergognare i "potenti"

José Mujica è morto nella sua fattoria a 89 anni. Guerrigliero, prigioniero, presidente. Ma soprattutto uomo libero. Con la sua vita ha scritto una poesia che ora ci manca come l’aria. E noi, orfani di umanità, impariamo a piangere davvero

Addio, Pepe. L'uomo che faceva vergognare i "potenti"

José Mujica (2015)

È morto José “Pepe” Mujica. È morto davvero. Non è più una voce, non è più solo quella notizia che inizia a girare sui social con le foto del Maggiolino azzurro, del cane con tre zampe, del volto stanco e gentile, segnato da ogni battaglia.

José Mujica se n’è andato. E con lui, se ne va qualcosa di enorme. Qualcosa che forse non siamo nemmeno in grado di spiegare, ma che ci tocca nel petto come un colpo secco: il mondo ha perso uno degli ultimi uomini liberi.

Si è spento nella sua fattoria, là dove ha sempre vissuto. Tra la terra e il cielo dell’Uruguay, tra i fiori, le galline, gli alberi. Nessuna stanza d’ospedale, nessun letto sterile. Solo la casa che ha amato, quella casupola col tetto storto, dove i ministri arrivavano a piedi e lui rispondeva alle lettere dei bambini seduto sotto un portico, con una matita. Aveva 89 anni. Eppure era già eterno.

Il cancro se l’è portato via piano, ma non ha potuto nulla contro quello che lui era. “Sono spacciato, fratello. Fino a qui sono arrivato”, aveva detto a gennaio. Non c’era rassegnazione in quelle parole. Solo consapevolezza. Solo verità. Una verità che sapeva dire solo lui. Una verità che ora brucia.

José Mujica era il contrario di tutto ciò che la politica è diventata. Non aveva bisogno di protezione, di potere, di lusso. Non indossava giacche firmate, non saliva su jet privati.

Saliva sul suo Maggiolino del 1987, guidava da solo, con il cane Tripa accanto. Dormiva in una stanza spoglia, coltivava fiori, donava il 90% dello stipendio presidenziale ai poveri. Diceva: “Non è povero chi ha poco. È povero chi ha bisogno di tanto”.

E oggi quel pensiero ci dilania, perché lo abbiamo dimenticato, seppellito sotto la corsa, il rumore, l’ingordigia.

OSCAR CAMPS DIRETTORE E FONDATORE OPEN ARMS JOSÉ MUJICA EX PRESIDENTE DELL'URUGUAY

OSCAR CAMPS DIRETTORE E FONDATORE OPEN ARMS e  JOSÉ MUJICA EX PRESIDENTE DELL'URUGUAY

MILENA GABANELLI PEPE MUJICA ROBERTO SAVIANO

MILENA GABANELLI PEPE MUJICA ROBERTO SAVIANO (2015)

Era nato nel 1935, figlio di agricoltori. Aveva conosciuto la fame, l’ingiustizia, la rabbia. Era diventato un Tupamaro, un guerrigliero, un idealista armato. Aveva lottato contro la dittatura e per questo aveva pagato: 13 anni in prigione, 13 anni di oscurità, molti dei quali da solo, nel silenzio delle celle di isolamento. Ma ne era uscito con un sorriso ancora intatto. Con l’anima viva. “Non odio nessuno”, disse un giorno. “L’odio è un peso che non voglio portare.”

Dopo la prigione, Mujica non cercò vendetta. Cercò giustizia. Si mise al servizio del popolo. Si fece ministro, poi senatore, e infine, nel 2010, divenne presidente. Il presidente più strano, più scandaloso, più rivoluzionario che il mondo abbia visto. Non per le sue leggi – sebbene legiferò cose impensabili: l’aborto, il matrimonio egualitario, la legalizzazione della cannabis. Era rivoluzionario perché non volle nulla per sé.

Eppure ricevette tutto. Tutto il rispetto. Tutto l’amore. Tutta la fiducia.

In un mondo in cui la politica è diventata carriera, strategia, guerra per il consenso, Mujica era l’uomo che parlava all’Onu della felicità, che parlava di sobrietà come valore, che chiedeva ai leader mondiali: “Ma dove andiamo? Dove corriamo così, se perdiamo la capacità di vivere?”. E tutti tacevano. Perché avevano vergogna.

Era un uomo che faceva vergognare i potenti. Ma non lo faceva per accusarli. Lo faceva con l’esempio. Camminando, sedendosi per terra, bevendo il mate con i contadini, abbracciando i bambini, abitando la vita come se fosse sacra. “La mia filosofia è vivere con leggerezza”, diceva. Ma dietro quella leggerezza c’era tutto il peso della storia.

Non era un santo, Mujica. Era di più: era un uomo. Con le sue ferite, con i suoi errori, con le sue cicatrici. Ma mai, nemmeno per un istante, fu incoerente. Mai tradì ciò in cui credeva. Mai si piegò. Anche quando era in cella, anche quando il cancro gli divorava l’esofago, mai si arrese. “Mi preparo a morire come ho vissuto”, disse pochi mesi fa. “Con gratitudine.”

E adesso, mentre il suo corpo riposa sotto la terra che ha amato, ci sentiamo smarriti. Perché la sua morte non è solo la fine di una biografia. È la fine di un tempo. È il tramonto di un’idea. È il silenzio che cala quando il mondo perde una voce che diceva la verità.

José Mujica è stato l’ultima poesia della politica. Non una poesia retorica, ma una poesia vissuta. Ogni sua scelta, ogni suo gesto, ogni suo discorso era un verso, una preghiera laica, un richiamo alla coscienza. Ed è difficile trovare oggi un solo leader, uno solo, che sappia anche solo avvicinarsi a quella grandezza silenziosa, a quella maestà umile, a quel coraggio disarmante.

Ora il suo volto ci guarda dalle foto. Sorridente, stanco, sereno. E piangiamo. Piangiamo non solo per la sua morte, ma per ciò che rappresentava: la possibilità che il potere possa essere umano. La speranza che si possa governare senza rubare, parlare senza mentire, vivere senza schiacciare.

Pepe era l’amico che avremmo voluto avere, il padre che avremmo voluto abbracciare, il maestro che ci ha insegnato tanto senza mai voler insegnare niente. Se n’è andato così come ha vissuto: in silenzio, con dignità, senza clamore.

E ora tocca a noi. Tocca a noi non dimenticare. Tocca a noi non lasciarlo morire davvero. Perché José Mujica non è solo un ricordo. È un testimone che ci è stato lasciato tra le mani. Sta a noi decidere se raccoglierlo o lasciarlo cadere nel fango del cinismo.

Addio, Pepe. Ti promettiamo che non ti dimenticheremo. Ti promettiamo che ogni volta che vedremo un’ingiustizia, penseremo a te. Che ogni volta che sentiremo il profumo della terra bagnata, ti sentiremo vicino. Che ogni volta che qualcuno avrà il coraggio di dire “non ho bisogno di tanto”, sarà grazie a te.

E anche se non credevi in Dio, ci piace pensare che adesso, da qualche parte, stai seduto su una sedia di legno, con il mate in mano, a parlare con gli angeli delle cose semplici. Con loro in silenzio. Perché sanno di avere davanti un uomo vero.

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