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13 Maggio 2025 - 01:48
Schael
C’è un momento, anche nella sanità pubblica italiana, in cui qualcuno decide di non fare finta di niente. Di non voltarsi dall’altra parte. Di non aggiungere la propria firma in fondo a un documento solo perché “così si fa”. Quel momento, alla Città della Salute di Torino, è arrivato con l’insediamento di Thomas Schael. Un commissario chiamato a mettere ordine in un’azienda monumentale – una delle più grandi d’Italia, migliaia di dipendenti, centri d’eccellenza, un passato illustre e un presente da ricostruire.
Non è uno che ama i riflettori. Non promette miracoli. Non cerca applausi. Ma appena mette piede in corso Bramante, capisce che qualcosa non torna. E non lo dice in conferenza stampa con mezze frasi di circostanza. Lo dice con i numeri alla mano, lo dice guardando negli occhi i consiglieri regionali, lo dice alzando il velo su un sistema che da anni si muove tra stime, omissioni, e bilanci scritti con la matita più che con l’inchiostro.
Il dato più eclatante – ma non l’unico – è la voragine tra il preconsuntivo 2024 firmato dalla vecchia dirigenza (meno 41 milioni) e quello definitivo aggiornato a marzo (meno 55). Quattordici milioni di differenza. Una cifra che non dovrebbe mai sparire nel nulla. E invece è lì, nel documento che Schael dovrebbe firmare.
Ma Schael non firma. Non per sfiducia. Non per protagonismo. Ma perché “il bilancio non è un’opinione”. È la cartina tornasole di come un’azienda pubblica funziona. O non funziona. E quella della Città della Salute, dice lui, “l’anima l’ha persa per strada”. Forse nel 2012, forse con la pandemia, quando si allentarono i controlli per necessità. Forse prima ancora. Lui non lo sa. Ma ha il coraggio di fare la domanda. E soprattutto di cercare la risposta.
Lo fa con metodo. Lo fa con pazienza. Lo fa con Giampaolo Grippa, il direttore amministrativo che ha scelto come spalla. Insieme decidono di non voltarsi indietro solo di qualche mese, ma di scavare a ritroso per dieci anni. Dal 2024 al 2013. Per capire dov’è il guasto. Quando si è spenta la luce. E per farlo, vogliono coinvolgere un advisor esterno, da selezionare con procedura pubblica. Una decisione forte. Una dichiarazione d’intenti: la trasparenza non è negoziabile.
Nel frattempo, la politica guarda. Qualcuno approva, come Gianna Pentenero del Pd: “Qualunque azione volta alla legalità ci vede favorevoli”. Qualcun altro si domanda: “Ma dove sono stati i controlli in tutti questi anni?”, come Sara Disabato, capogruppo del M5S. Domande legittime. Ma Schael non risponde a voce. Risponde lavorando. Risponde leggendo riga per riga i bilanci. Risponde rifiutandosi di diventare complice.
Nel mezzo, si prende pure la colpa di essere “rigido”. Di non dialogare abbastanza. Ma la verità è che è stato chiamato a ricostruire, non a fare mediazioni. E in una macchina pubblica inceppata, dove per anni si è andati avanti con i “si è sempre fatto così”, forse un po’ di rigidità serve. Serve a risvegliare. Serve a scuotere. Serve a fermare la deriva.
Ha cominciato da simboli chiari. Il divieto di fumo nei cortili degli ospedali. Una misura che ha fatto discutere, certo. Ma che manda un messaggio potente: qui si cambia aria. Poi la riforma dell’intramoenia, l’attività privata dentro le mura pubbliche: Schael ha voluto regole più chiare, più rigide, più giuste. Ha detto che prima viene il dovere pubblico, poi tutto il resto. E poi ha messo mano ai numeri. Ha cominciato a fare domande dove per anni si erano accettate risposte vaghe. Ha voluto sapere perché i ticket non venivano riscossi. Perché certi crediti non erano stati registrati. Perché si continuava a usare stime e non dati certi.
E mentre la Regione attende di chiudere il bilancio complessivo della sanità piemontese, Schael sa bene che i suoi tempi sono incompatibili con le scadenze politiche. Ma non se ne preoccupa. Step by step, dice lui. Con la calma di chi sa che per costruire bene, prima bisogna bonificare. E per bonificare, bisogna guardare anche dentro al fango.
Certo, Torino non se l’aspettava così, questo commissario venuto da Chieti. Uno che non liscia il pelo, che non distribuisce promesse, che non cerca amici. Ma forse è proprio questo il punto. In un sistema dove per troppo tempo si è chiuso un occhio, serve uno che li tiene entrambi ben aperti. Anche da solo.
Schael non è un eroe. Non è un moralizzatore. È un uomo dei conti, del rigore, della visione. Vuole portare la Città della Salute al livello dei grandi ospedali europei. Non per vanità, ma per rispetto verso i pazienti. Verso chi soffre. Verso chi lavora ogni giorno, tra turni massacranti e mezzi insufficienti. Verso i cittadini che pagano le tasse e che hanno diritto a una sanità che funzioni davvero.
La strada è lunga. Forse impervia. Ma Schael l’ha imboccata senza esitazioni. E se anche dovesse percorrerla da solo, la percorrerà fino in fondo.
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