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Giornata Mondiale della Fibromialgia
11 Maggio 2025 - 18:35
Dolore e sopportazione
La Fibromialgia è una sindrome di dolore cronico che per molti rappresenta una realtà quotidiana e invalidante, segnando profondamente la loro vita e quella dei loro cari.
Sebbene sia una sindrome (un insieme di sintomi correlati), e non una malattia con una causa precisa, per chi ne soffre la distinzione è irrilevante: il dolore e la sofferenza rimangono reali.
Per semplicità, in questo testo userò il termine malattia.
Definita "malattia invisibile" e "dai mille sintomi", la fibromialgia non presenta anomalie negli esami diagnostici tradizionali, rendendo ardua la diagnosi e la comprensione da parte di chi non ne è affetto. I sintomi debilitanti hanno un impatto profondo sulla vita dei pazienti e delle loro famiglie.
I sintomi della fibromialgia sono estenuanti, migranti e imprevedibili, con periodi di riacutizzazione che creano una forte instabilità emotiva e fisica.
Tra i sintomi più comuni e debilitanti spicca la "mental fog", una nebbia mentale che offusca la coscienza, compromettendo memoria, attenzione e concentrazione. Questa condizione è percepita come un estraniamento dalla realtà, rendendo difficile orientarsi e pensare chiaramente, con la consapevolezza della propria confusione mentale. La "mental fog" rende la quotidianità estremamente ardua, ostacolando anche le azioni più semplici.
Questa natura sfuggente della fibromialgia rende il percorso diagnostico spesso lungo e frustrante, come vedremo nella prossima sezione.
La diagnosi della fibromialgia è complessa e si basa sull'esperienza clinica del medico, data l'assenza di test diagnostici specifici. Questa mancanza di evidenze oggettive spesso porta i pazienti a sentirsi incompresi e non creduti, aumentando la sofferenza.
La fibromialgia può colpire persone di ogni età e sesso, anche se c’è una netta prevalenza femminile, e sembra esserci una predisposizione famigliare.
Il dolore cronico e la nebbia mentale hanno un impatto devastante sulla quotidianità, causando facilmente isolamento sociale, depressione e problemi relazionali.
I pazienti spesso si sentono incompresi, sminuiti e talvolta etichettati ingiustamente, un'assenza di comprensione che aggrava la loro condizione e rende la gestione della fibromialgia una battaglia continua contro un dolore logorante per corpo e mente.
Nella speranza di gestire meglio la vita, il dolore e gli altri sintomi, io stesso ho sperimentato diverse forme di lavoro, fino alla disoccupazione, ma ho compreso che stare a casa non porta sempre un significativo miglioramento. Ho realizzato che la mia condizione fisica è una costante, quindi tanto vale vivere la vita senza temere di stare male facendo ciò che desidero.
Cerco un lavoro part-time o in smart working, poiché un impiego a tempo pieno è insostenibile. Spiegare le interruzioni nel curriculum senza rivelare la fibromialgia è difficile, e la situazione non è agevolata dal mancato riconoscimento della malattia nei (LEA) o nelle categorie protette.
Ho compreso che non esiste un vero "meglio" in termini di salute, una consapevolezza triste ma che mi spinge a trovare un equilibrio tra cura e vita, accettando che il mio "meglio" potrebbe non corrispondere alle aspettative altrui.Ma in questo scenario complesso, quali sono le motivazioni che ci spingono ad andare avanti?
A chi dubita della realtà del dolore cronico, vorrei paragonare le mie passioni come la storia, la scrittura, (qui voglio ringraziare il direttore Liborio La Mattina per avermi dato la possibilità di pubblicare), e il viaggio al lavoro. La paura di non poter più lavorare deriva anche da un abilismo interiorizzato.
È fondamentale distinguere tra un'attività piacevole e momentanea, in cui posso sforzarmi, e un lavoro a tempo pieno con ritmi costanti che il mio corpo e la mia mente non possono sostenere. Comprendere la disabilità dinamica e l'abilismo interiorizzato migliorerebbe la comprensione di questa distinzione.
Il dolore cronico porta a l’introspezione sul senso della vita e sul desiderio di restare, chiedendosi se una vita piena possa bastare. È importante confrontarsi con questi pensieri, che vanno distinti da quelli negativi. Nonostante la necessità di grande forza di volontà, il dolore intenso a volte fa dubitare se ne valga la pena.
In questi momenti difficili, ciò che mi lega alla vita sono le esperienze positive e le persone care.
Senza scadere nella FOMO (fear of missing out, lett. "paura di essere tagliati fuori”, indica una forma di ansia sociale caratterizzata dal desiderio di rimanere continuamente in contatto con le attività che fanno le altre persone, e dalla paura di essere esclusi da eventi, esperienze, o contesti sociali gratificanti), penso a quante esperienze, persone e luoghi ho perso in passato e che ora non voglio più mancare.
Questo desiderio mi dà la forza di restare e andare avanti. Al contrario, nei momenti più difficili, si può perdere interesse in ogni cosa, una fase comune per chi soffre di dolore cronico.
Dopo quasi vent'anni di convivenza con la fibromialgia, sento di poter dire a chi legge di cercare dentro di sé le ragioni per alimentare la propria forza di volontà: cose, eventi e persone che portano benessere e significato. Per me, oltre alle passioni, sono fondamentali le persone perché mi migliorano, aumentano la mia consapevolezza, riempiendomi di cose nuove e riflessioni.
È cruciale sforzarsi, anche quando sembra impossibile, per trovare le proprie motivazioni e ritagliarsi momenti felici per sé.Esistono molte ragioni per vivere, sia interiori che esterne. Nonostante le negatività, il mondo è pieno di bellezza e persone positive.
Mi ricordo sempre una statistica: le probabilità di nascere è rara nell’universo, specialmente se dotati di coscienza: quindi la vita è un bene prezioso da non gettare.
Oltre al dolore e alla nebbia mentale, un altro compagno costante della fibromialgia è l'astenia, una stanchezza profondamente diversa da quella comune, come cercherò di spiegare.
Ora vorrei parlare dell'astenia, o stanchezza cronica, un sintomo persistente della fibromialgia e di altre condizioni di dolore cronico. Cercherò di spiegarla come la vivo, poiché è difficile da comprendere per chi non ne soffre.
L'astenia va oltre la comune stanchezza post-lavoro. È svegliarsi esausti, come se si fosse stati schiacciati, anche dopo aver dormito. Si manifesta come la necessità di ponderare ogni minimo movimento per conservare energia, come scegliere se salire le scale per scrivere al computer o scrivere a mano per evitare lo sforzo.
In alcuni giorni, anche queste decisioni possono essere troppo faticose. L'astenia si traduce anche in scelte quotidiane come preferire scarpe senza lacci per evitare la fatica di chinarsi.
L'astenia non è solo fisica, ma colpisce profondamente anche la mente, aggravando la "mental fog". In queste condizioni, ogni attività diventa una fatica enorme che consuma la forza di volontà.
La verità è che spesso si desidera solo restare a letto, sopraffatti dal dolore e dalla stanchezza, senza dover compiere lo sforzo di rimanere svegli. A questo si aggiunge l'auto-gaslighting, un senso di colpa che porta a pensare "sono pigro, ma se mi sforzo ce la farò".
La dura realtà è che, nonostante la volontà, a volte i sintomi rendono impossibile farcela.Ma come viene raccontata la fibromialgia al di fuori dell'esperienza diretta di chi ne soffre? Purtroppo, spesso la narrazione è distorta, con conseguenze negative sul riconoscimento e sulla comprensione.
I dibattiti sulla fibromialgia rivelano un problema cruciale: una narrazione spesso errata della malattia, un aspetto che credo valga anche per molte altre condizioni di dolore cronico. Migliorare la narrazione di queste malattie è fondamentale per diffondere conoscenza e consapevolezza.
Ritengo che la narrazione di una malattia influenzi l'opinione pubblica e la conoscenza sociale, e una narrazione corretta del dolore cronico potrebbe favorire il suo riconoscimento a livello statale (LEA), sebbene la questione sia anche politica. È fondamentale che la popolazione abbia una comprensione accurata di una condizione che colpisce milioni di persone.
L'uso istituzionale di termini come "malattia invisibile", "non riconosciuta" o l'insinuazione che possa essere inventata mina la dignità di chi soffre delle malattie croniche e del dolore cronico, invalidando una sofferenza già poco considerata.
Nonostante il riconoscimento internazionale (1992) della fibromialgia, molti continuano a negarla, ma ignorare una realtà non la fa scomparire.Dopo aver parlato della necessità di un riconoscimento sociale e istituzionale, è fondamentale considerare come la fibromialgia influenzi la sfera personale e i legami affettivi.
Dopo anni di esperienza con il dolore cronico e le relazioni, credo sia fondamentale affermare che tutti meritano legami affettivi. La salute o la malattia non dovrebbero essere criteri per determinare chi merita relazioni, così come non ha senso competere su quale sofferenza sia più valida: il rispetto per ogni forma di sofferenza dovrebbe essere universale.
Ho sofferto molto a causa delle paure di perdere i legami esistenti e di non poterne creare di nuovi, timori che mi hanno accompagnato fin dall'inizio del dolore cronico, accentuati dalla mia introversione e da una maggiore fragilità emotiva.
Nonostante una maggiore consapevolezza della mia condizione, quando sono sopraffatto da dolore, nebbia mentale e astenia, mi trovo a darmi ancora dello sciocco su dove voglio andare, a sentirmi un peso, invitando inconsciamente gli altri a lasciarmi perdere e fare quello che fanno le persone sane.
Dopo quasi vent'anni di dolore cronico e grazie alle terapie, la mia condizione è più stabile. Un principio fondamentale che ho appreso è che nessuno è obbligato a stare in una relazione: chi sceglie di restare lo fa per proprie ragioni, un aspetto importante da considerare.
In passato, il mio silenzio sulla mia condizione ha spesso compromesso l'inizio delle relazioni, sentimentali e amicali. Questo approccio non funzionava, poiché la mancanza di spiegazioni portava a fraintendere il mio comportamento e ad allontanarsi.
Forse mi autosabotavo per evitare l'attaccamento e la potenziale perdita dovuta alla paura di spaventare l'altro, un timore radicato nel senso di colpa di non permettere agli altri una vita "normale".
Questa è stata una fonte di grande sofferenza, che a volte si ripresenta ancora oggi, ma mi ha portato a una riflessione: nelle relazioni tra persone sane, è normale avere interessi diversi.
Invece, chi è malato spesso applica un doppio standard, sentendo ingiusto non poter fare ciò che l'altro fa. Ma qual è il problema? È come avere gusti diversi. L'altro farà le sue attività, magari con altre persone, così come io farò le mie, da solo o con altri.
Credo che l'equilibrio nelle relazioni si trovi attraverso la comunicazione. Il mio consiglio è sempre di parlare apertamente, poiché molti problemi relazionali nascono proprio dalla mancanza di dialogo. Ora per me è essenziale esprimere come mi sento e come desidero che gli altri vivano la relazione con me, anche se non è sempre facile, ma ho fatto molti progressi.
Un'ultima riflessione: ripetere e sentirsi ripetere "Io/tu non sono/sei la malattia" si è rivelato dannoso. Credo sia più corretto dire "Io sono anche la mia malattia, ma non solo", perché identificare completamente una persona con la sua patologia è limitante.
Noi malati cronici dobbiamo riconoscere che la malattia è parte integrante della nostra vita senza negarla con positività forzata o cercare di "apprezzarla". Bisogna accettarla e trarne il meglio possibile con le proprie risorse.
La mia malattia mi ha plasmato, influenzando il mio carattere, le mie relazioni e i miei valori, e oggi non mi sento "uno schifo", spero valga lo stesso per voi. La mancanza di comprensione spesso lascia i malati di fibromialgia in un senso di isolamento.
In questo contesto, il ruolo delle associazioni di pazienti (come AISF) diventa fondamentale, offrendo non solo supporto emotivo ma anche informazioni affidabili sulla malattia, sui diritti dei pazienti e sulle risorse disponibili.
"E alla fine, qual è la verità che mi accompagna oggi? Parafrasando un eroe improbabile, potrei dire: 'Ecco il trucco, amici. Sono costantemente nel dolore.' E imparare a conviverci, senza farmi distruggere, è la mia normalità."
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