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Migranti sì, cittadini no: a Nizza-Bengasi il Comune scarica il degrado

Protesta con megafoni e fischietti contro il nuovo centro d’accoglienza in via Rocca de Baldi. I residenti: “Ci usano come pattumiera sociale, nessuno ci ascolta”

Migranti sì, cittadini no: a Nizza-Bengasi il Comune scarica il degrado

Migranti sì, cittadini no: a Nizza-Bengasi il Comune scarica il degrado

Non chiamatela manifestazione. Quella andata in scena a Nizza-Bengasi è una vera e propria ribellione urbana, la rivolta di un quartiere che si sente scaricato, sporcato, usato. Un grido disperato contro l’ennesima “soluzione calata dall’alto” da chi, chiuso nei palazzi del potere, si riempie la bocca di parole come integrazione e solidarietà, ma poi scarica il peso dei propri esperimenti sociali sulle periferie già allo stremo.

Sabato pomeriggio, ottanta residenti esasperati, accompagnati da fischietti, megafoni e da uno stuolo di poliziotti, carabinieri e agenti municipali schierati manco fosse una zona rossa, hanno sfilato da piazza Bengasi a via Rocca de Baldi per dire no alla trasformazione dell’ex Telestudio – ormai simbolo del degrado metropolitano – in un centro d’accoglienza per migranti. Un altro. L’ennesimo. Dove? Ma ovviamente lì, in una zona già abbondantemente martoriata da spaccio, furti, risse e incuria.

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In testa al corteo Matteo Rossino, voce scomoda e non omologata, leader del Comitato Nizza Bengasi, che lo dice chiaro e tondo: “Creare un centro per migranti qui è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Basta guardare Alpignano, basta guardare cosa succede ovunque si apra un centro d'accoglienza: degrado chiama degrado”.

E poi ancora: “Anche oggi abbiamo dimostrato in strada, con la nostra presenza, che la scelta di aprire un centro d’accoglienza in questo quartiere è sbagliata, non è un segreto che questi luoghi portino degrado e il nostro quartiere non ne ha bisogno assolutamente. Non chiediamo la luna, ma solo di tornare a poter vivere liberamente la nostra zona, senza spacciatori, senza tossici, senza furti, senza auto spaccate. Se il sindaco pensa sia tutto a posto, dovrebbe provare a viverci per un mesetto, invece di fare inutili proclami. Noi non ci arrendiamo e non vogliamo lasciarlo morire.”

Una dichiarazione che a Palazzo Civico – dove l’assessore Jacopo Rosatelli ha annunciato il progetto lo scorso 23 aprile con aria rassicurante – faranno finta di non sentire.

E dire che i residenti non si sono limitati a sfilare. Qualche giorno prima avevano depositato 450 firme, raccolte porta a porta, per dire un “no” grande come una casa a un progetto che nessuno vuole, tranne quelli che il quartiere lo attraversano solo in macchina, coi vetri su. Ma si sa, quando c’è da redistribuire il disagio, le periferie diventano subito la soluzione perfetta: tanto lì la gente urla, protesta, ma poi viene ignorata lo stesso.

E mentre i lavori sono già partiti – la cooperativa valdostana Le Soleil ha messo le mani avanti – il quartiere si sente aggirato: niente confronto, zero ascolto, solo decisioni unilaterali coperte da buone intenzioni e da una retorica caritatevole da salotto.

Durante il corteo, lungo via Nizza e via Passo Buole, sono in tanti ad affacciarsi, applaudire, sostenere. Le auto suonano il clacson in segno di solidarietà. A dare fastidio, al solito, ci pensano gli antagonisti da centro sociale, una ventina in tutto, sbucati alla partenza per tentare – invano – la solita provocazione da manuale. Ma anche stavolta a dividerli dai manifestanti ci hanno pensato le forze dell’ordine. O forse è meglio dire: ci ha pensato la disillusione di un quartiere intero, che non ha nemmeno più voglia di litigare. Vuole solo risposte.

Perché a Nizza-Bengasi si respira stanchezza. E sfiducia. E soprattutto la sensazione che chi dovrebbe tutelare i cittadini non solo li abbia dimenticati, ma abbia deciso di usarli come discarica sociale. In nome dell’accoglienza. In nome dell’uguaglianza. Ma solo sulla carta.

Chi governa, però, fa finta di non vedere. E tira dritto. I residenti, intanto, restano a guardare i lavori che proseguono. Fino al prossimo corteo. Fino alla prossima rabbia. Fino a quando qualcuno, là in alto, non si degnerà di rispondere a una domanda semplice: “Perché sempre qui?”

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