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Cronaca

È morto Diego Benecchi, anima inquieta del ’77 bolognese e instancabile costruttore civile

Da Lotta Continua al consiglio comunale, passando per le aule scolastiche: Bologna saluta a 73 anni una figura che ha attraversato mezzo secolo di storia con passione e contraddizioni

Diego Benecchi

Diego Benecchi

C’è un pezzo di Bologna che oggi perde la voce, la memoria e la radicalità di uno dei suoi volti più autentici: Diego Benecchi è morto a 73 anni, nella città che lo ha cresciuto, ascoltato, contestato, eletto e infine accompagnato nella malattia. Nato a Domodossola ma bolognese d’adozione, è stato uno dei protagonisti del movimento del ’77, stagione infuocata e irrisolta della sinistra italiana. Una stagione che lo ha visto militante di Lotta Continua, insegnante appassionato, prigioniero politico e poi consigliere comunale per tre mandati, all’interno di quel Partito Democratico della Sinistra che accolse – non senza scosse – un uomo fuori dagli schemi.

Il suo nome è legato indissolubilmente alla morte di Francesco Lorusso, l’11 marzo 1977: la carica della polizia, i lacrimogeni, la pallottola che cambiò per sempre il volto di una generazione. Benecchi fu arrestato in quei giorni, come altri compagni, accusato di reati legati agli scontri. Non ha mai smesso, fino all’ultimo, di ricordare quella ferita, rimanendo legato alla memoria di Lorusso e a quella rabbia incisa nella pietra del movimento.

Ma la sua parabola, come quella di tanti altri militanti “irregolari”, non si è fermata alla contestazione. Entrò nel Pds, tra dubbi e critiche della sinistra extraparlamentare. E fu consigliere comunale a Bologna dal 1990 al 2004: tre mandati pieni, durante i quali si fece portavoce di un mondo che non voleva smettere di esistere. Sempre schierato, anche nei ruoli istituzionali, sempre ruvido, mai accomodante. In aula come in strada, portava lo stesso tono netto, lo stesso rigore politico.

Fu anche e soprattutto un uomo della scuola: per decenni ha insegnato con passione e rigore, credendo nel potere trasformativo dell’educazione. Era uno di quelli che non staccavano la politica dalla pedagogia, convinto che le aule fossero una palestra di coscienze e non solo di voti.

Fino a che la salute gliel’ha permesso, Benecchi è rimasto attivo nella vita pubblica della città: nelle iniziative per il diritto allo studio, nelle commemorazioni, nei dibattiti su giustizia e memoria. Testardo, lucido, mai pentito. Ma capace di cambiare pelle senza cambiare nervo.

La Bologna delle contraddizioni, delle barricate e dei compromessi, del Dams e dei centri sociali, delle istituzioni rosse e delle anime spigolose, oggi perde una voce che non si è mai fatta ingabbiare. Con Diego Benecchi se ne va un testimone e un artefice, un uomo che ha saputo vivere la politica come conflitto e come impegno, come urlo e come strumento.

Chi lo ha conosciuto lo ricorda sempre pronto a discutere, ma mai a ritrarsi. Chi lo ha avversato, gli ha riconosciuto coerenza. Chi lo ha amato, oggi lo piange. Bologna – e non solo – gli deve un pezzo della sua storia.

Benechi era stato colpito da un ictus alcuni anni fa

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